300 opere dal ‘600 ai giorni nostri, per un denso percorso nella storia dell’arte, osservata dal punto di vista dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, con tutte le peculiarità del caso. Così, dipinti, disegni, sculture, fotografie, installazioni, in gran parte poco conosciuti, conservati nei depositi per anni e tutti realizzati dai Maestri che hanno attraversato, pur con diversi ruoli, le vicende dell’istituzione partenopea, fondata nel 1752 da Carlo III di Borbone, tornano finalmente alla viva luce di un display espositivo aggiornato, sviluppato da Federica De Rosa e Marco Di Capua, con gli allestimenti curati da Lucio Turchetta e visual design di Enrica D’Aguanno. I lavori di risistemazione iniziarono già nel 2005 ma, da oggi, secondo quanto emerso dalle parole dei curatori De Rosa e Di Capua e dagli interventi del Presidente e del Direttore, Rosita Marchese e Renato Lori, oltre che del sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, presenti all’inaugurazione, il nuovo logo GAN – Galleria dell’Accademia di Napoli entrerà nel gioco di equilibri e di forze delle altre realtà museali della città.
Pur sottrando spazio all’allestimento, la scelta dai curatori di destinare un’ala della GAN allo “Spazio Lea Vergine”, una zona libera dalle opere della collezione, dedicata alla progettazione di mostre temporanee, dibattiti e presentazioni, lascia presagire la possibilità di un coinvolgimento nel prossimo futuro. Insomma, uno spazio con una identità forte deve contaminarsi in qualche modo per vivere. Contando, d’altra parte, su una specificità imprescindibile, tutta da valorizzare, cioè quella della funzione stessa dell’Istituzione formativa, che è non solo eminentemente laboratoriale ma anche perdurante. Attraversare le gremitissime sale vuol dire anche addentrarsi in una storia comune: la condivisione dei medesimi spazi e contesti di vita e di lavoro, il coinvolgimento nella costruzione di relazioni simili, pur se a distanza di secoli, gusti, personalità e stili, non potevano che lasciare una traccia comune anche nelle opere, i cui piani sono avvicinati da una sensazione di prossimità diffusa.
I protagonisti dunque sono gli artisti ma qui considerati, prima di tutto, nella loro veste di Maestri di una materia così difficile da definire, a prescindere dalle declinazioni dei corsi, degli ordinamenti e dei crediti formativi. Il primo nucleo è quello delle opere del XVI e XVIII secolo, alle quali proprio i Maestri e anche gli allievi dovevano guardare, per lasciarsi ispirare nell’apprendimento e nell’insegnamento. Importante il nucleo sui disegni e gli studi dal nudo, con opere di Saverio Altamura e Domenico Morelli, al quale si deve la nascita della Galleria, fondata insieme a Filippo Palizzi. Si arriva quindi allo snodo dell’800, tra Romanticismo, Simbolismo e Verismo, con le sensualissime sculture di Vincenzo Gemito e i paesaggi di Giacinto Gigante.
Densamente documentato il ‘900 e tutte le stagioni della pittura, dall’Astrattismo all’Informale, passando per il Realismo, da Emilio Notte ad Armando De Stefano, da Domenico Spinosa a Giovanni Pisani, Renato Barisani e Carlo Alfano, fino alle declinazioni più recenti di Nino Longobardi. Di impatto le serie fotografiche di Mimmo Jodice e Fabio Donato, nutrita la sezione della scultura, con opere di Augusto Perez, Giuseppe Pirozzi e Raffaele Iandolo, significativa la presenza femminile, a testimonianza di una vitalità di genere forgiata attraverso dure lotte politiche e sociali oltre che artistiche, con Mathelda Balatresi, Marisa Ciardiello, Loredana D’Argenio, Rosaria Matarese, Rosa Panaro, Clara Rezzuti e Maria Paliggiano, che entrano in Galleria con questo nuovo ordinamento. A chiudere – o a riaprire – idealmente il percorso, una estroflessione inaspettata eppure necessaria, considerando il carattere laboratoriale di questo corpus, con un QR Code che rimanda a una pagina di Instagram sulla quale è stata archiviata la documentazione delle attività e delle esperienze degli allievi dei corsi di Pittura di Nini Sgambati.
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