Un edificio mastodontico sulla riva del Tamigi. Era la vecchia centrale elettrica di Backside come è testimoniato dalle eccezionali dimensioni. Entrati, siamo assaliti da un senso di vastità e di vuoto. Al posto delle turbine, grandi spazi tra il cafè, il guardaroba, le scale mobili e le esposizioni temporanee. Saliamo al piano superiore, lì comincia la vera esposizione, ma già l’edificio, ristrutturato dagli architetti svizzeri Herzog & de Meuron, merita la visita.
Tre piani di esposizione e poi un incredibile apparato luminoso sul tetto, sempre ideato dagli stessi architetti. Le opere sono quelle della vecchia Tate, ma l’apparato organizzativo e pedagogico può fare concorrenza e addirittura superare quello del MOMA di New York. E’ un nuovo modo di proporre l’arte per mettere in grado tutti di capire e di apprezzare l’opera singola ed accostamenti particolari. L’ordine non è cronologico, né tanto meno in base all’autore. Basta alla vecchia barba sempre uguale: prima un Monet, poi un Van gogh, quindi un Matisse, andando avanti fino ad arrivare a Gilbert e George.
Le opere spaziano sempre dai primi del ‘900 a oggi, come in tutti i musei di arte moderna e contemporanea, ma sono organizzate secondo un criterio tematico. Quattro diverse sezioni tra cui scegliere secondo la nostra personale sensibilità. Still Life/Object/Real Life: quanti artisti ci hanno parlato del mondo degli oggetti, c’è chi ha tentato di ordinarlo e automatizzarlo come Leger, o chi voleva rovesciarlo illuminando accostamenti inaspettati e un po’ fastidiosi per lo spettatore,come nel caso dei Dadaisti. Ogni artista poi ha dovuto mettersi in rapporto con i problemi della propria epoca. Come gli organizzatori hanno messo in evidenza nella sezione History/Memory/Society, alcuni hanno cercato di fuggire ripiegandosi in se stessi, altri hanno utilizzato la loro arte per cambiare il mondo e per manifestare il proprio impegno socio-politico, come il gruppo Fluxus o Andy Warhol. Questi sono solo alcuni dei percorsi che possiamo scegliere, ancora la Tate ci propone Nude/Action/Body e Landscape/Matter/Environment.
Qual è l’eccezionale novità di questo nuovo modo di esporre? Ad alcuni può sembrare caotico, il frutto di qualche mente un po’ malata, ma in realtà un allestimento espositivo di questo tipo, se periodicamente rinnovato come è nelle intenzioni della Tate, ci permette di tornare più volte in uno stesso museo, vedere sempre le stesse opere, ma scoprire ogni volta qualcosa di nuovo. Insomma è come vedere ogni volta un museo diverso. Inoltre, questo cambiamento chiude le porte dei musei a noia, banalità e pedanteria. Chi può sapere qual è il prossimo quadro che ci aspetta? Niente è dato per scontato, vengono proposte nuove associazioni che ci indicano in che chiave leggere l’opera che abbiamo davanti, ma anche ci spingono a modificare l’immagine che ci eravamo appena creati di quella precedente.
Negli ultimi anni, altri musei hanno tentato di esplorare questa nuova strada di comunicare l’arte, attirando anche numerose critiche. Il timore fondamentale è quello di creare una mostra che può essere vista e compresa solo dagli organizzatori. Accostamenti troppo ostici o non spiegati attraverso qualche tipo di supporto rischiano di essere scoraggianti piuttosto che stimolanti. Ed ecco la “ciliegina sulla torta” della Tate Modern: qui, il problema non potrà mai essere la mancanza di spiegazioni, ma al massimo la mancanza di tempo. Cartelli esplicativi sono presenti all’inizio di ogni sezione, in ogni sala e anche a fianco ad alcune opere.
Questi non parlano solo della collocazione cronologica e artistica delle opere, ma anche delle motivazioni dell’accostamenti scelti dai curatori. In più per i più pigri o per chi vuole approfondire ancora maggiormente sono a disposizione anche delle guide audio. Starete pensando “Chissà quanto costano?!” Solo $ 1, che possiamo anche spendere dato che alla Tate entriamo gratis. Così possiamo ascoltare abbinamenti musicali con alcune opere, interviste ad artisti o a curatori. Forse sembra che sto facendo propaganda alla Tate, forse è anche un po’ vero. Non se ne può più di tutti quei musei in cui facciamo il giro davanti a ciò che già ci aspettiamo: la Gioconda, la Vergine delle Rocce, La Zattera della Medusa e poi la Cattedrale di Monet e il cielo stellato di Van Gogh. E’ bello uscire da un museo con qualcosa di più di quando siamo entrati, una nuova sensibilità con cui avvicinarci all’arte.
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Per Saperne di più:
http://www.tate.org.uk
Marta Severo
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