La Tokyo inquieta di Moriyama |

di - 7 Maggio 2016
Dirompente e sfigurata è la città in Tokyo Color (2008-2015) di Daidō Moriyama (1938, Ikeda, Osaka – vive e lavora a Tokyo), titolo della serie fotografica che celebra il quartiere Shinjuku della capitale giapponese attualmente esposta alla Fondation Cartier pour l’Art Contemporain. Dopo aver presentato il lavoro in bianco e nero di Daidō Moriyama in una retrospettiva del 2003, la Fondazione Cartier ne propone ora la versione cromatica con Tokyo Color, un aspetto poco conosciuto di uno dei fotografi più emblematici della fotografia nipponica odierna, tra i fondatori della rivista giapponese Provoke che promuoveva il concetto di foto come linguaggio a sé stante, svincolato dal potere delle parole.
In mostra è presente anche la più nota foto in bianco e nero, che per l’artista rappresenta il suo mondo interiore. È in Dog and Mesh Tights (2014-2015), uno slideshow di 25 minuti creato da Moriyama per l’attuale esposizione, che comprende 291 immagini che scorrono su musiche di Toshihiro Oshima.
In Tokyo Color si assiste ad una sorta di dissacrazione della società urbana attraverso una serie di 86 scatti, tutte stampe cromogeniche, che presentano la sorprendente città di Daidō Moriyama ritratta con una fotocamera compatta, errando come un cane segugio per le strade di notte come anche di giorno, secondo la tecnica cara all’artista, cioè dell’istantanea. Tokyo Color ci regala immagini piene di sensualità, finanche di carnalità che turbano lo spettatore perché completamente prive di quell’alone di sacralità che le renderebbero più distanti. Colori accesi, tra cui il rosso presente in molti scatti, che rimanda alla vitalità, ma anche il blu legato al silenzio, tra passione e oblio, entrambi sembrano riflettere la vita del quartiere Shinjuku, in cui l’artista risiede.

Una fotografia che afferra la vita nel suo divenire impulsivo ed endemico, attraverso corpi decentrati e come catturati di sorpresa, volti, labbra carnose e lucide,trame di tessuti, calze a rete che ritroviamo poi in un primo piano avvolgere gambe femminili. Ancora texture, colte tra locandine strappate o in un assemblaggio di tubi metallici, ovunque e in luoghi disparati s’incontrano nelle foto che l’artista ama giustapporre l’una accanto all’altra come fogli di un libro. E come in un romanzo lui ci racconta, attraverso volti e paesaggi urbani, brani di vita. Vedi l’immagine di una ragazza dai capelli scuri che nascondono un viso minuto che lo spettatore potrebbe cercare e inseguire attraverso altre immagini tra vicoli illuminati e poi lungo una scala interna di cui non viene svelato lo sbocco.
Qui si celebra la foto digitale che l’artista ama per il vantaggio della quantità e per la facilità che essa rende nel passaggio dal colore al bianco e nero, ma anche la foto a colori che Moriyama definisce « volgare, banale e triviale». Immagini fluide e leggere, rese allo spettatore senza cornice, che celebrano il dettaglio impercettibile di scorci urbani a volte laidi.

Con le sue locandine e insegne luminose poste in alto, la scenografia labirintica della mostra ricorda la strada, ma presenta anche foto dalle dimensioni spettacolari abbinate per affinità di contenuto e di trama, tenute assieme da robusti pilastri. Durante la mostra, curata da Hervé Chandès e Alexis Fabry, non poteva mancare un printing show. Di che si tratta? Nel 1974, Daidō Moriyama a Tokyo realizza il suo primo laboratorio di stampa del libro di produzione partecipativo dal titolo printing show appunto. Questo offre ai visitatori l’esperienza di realizzare da sé un proprio libro di foto selezionando 40 immagini che vengono poi stampate, assemblate e arricchite da una serigrafia su copertina, il libro viene poi firmato dall’artista stesso. Il libro, come la serigrafia, sono due elementi che ricorrono sovente nell’opera dell’artista. Nel 1967 Moriyama scopre la serigrafia attraverso lavori di Andy Warhol, diventando per lui una sorta di estensione della fotografia. Tra i suoi photobook, ricordiamo l’apprezzatissimo Terayama (2015), Labyrinth (2012).
Aggiungiamo infine che la collezione della Fondation Cartier accoglie 6 stampe della serie Osaka (1998), 18 stampe di grande formato in bianco e nero, Polaroid Polaroid, un’installazione di oltre 3200 fotografie del 1997, ma anche un ritratto di Nobuyoshi Araki in uno scatto di Daidō Moriyama e, fra l’altro, un ritratto di quest’ultimo realizzato da Tadanori Yokoo in occasione dei 30 anni della Fondation Cartier pour l’Art Contemporain, festeggiati nel 2014. Se volete saperne di più sul lavoro dell’artista di certo da non perdere #DaidoParis ovvero 160 foto su Parigi realizzate tra il 1993 al 2003, queste sono online per la prima volta da scoprire e riscoprire sul sito della Fondazione Cartier.
Livia de Leoni

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