10 ottobre 2018

La versione di Alberto Bonisoli

 
Intervista a tutto campo con il Ministro ai Beni Culturali, dal Decreto Dignità al Padiglione Italia, passando per la situazione romana e immaginando il futuro

di

Alberto Bonisoli, classe 1961, già direttore di NABA-Nuova Accademia delle Belle Arti di Milano, esperto di Education Management e di design e sviluppo di progetti internazionali e dal 2013 alla guida della Piattaforma Sistema Formativo Moda è Ministro ai Beni Culturali dallo scorso 31 maggio. Lo abbiamo incontrato, a quasi sei mesi dal suo insediamento, per tracciare un bilancio a 360 gradi e discutere del “domani” dell’arte in Italia.
Lei è stato direttore di Domus Academy, poi di NABA, Presidente dell’Associazione “Coordinamento Istituzioni AFAM non Statali”. Che cosa sta riversando, di queste precedenti esperienze, nel suo mandato di Ministro dei Beni Culturali? 
«Quello che sto cercando di applicare qui al Ministero è il metodo che ho utilizzato come direttore dell’Accademia, basato fondamentalmente su due principi. Il primo è l’introduzione di cambiamenti in maniera graduale e sistematica, così che abbiano il modo e il tempo di sedimentarsi e consolidarsi giorno dopo giorno. L’altro è quello del coinvolgimento delle diverse competenze: se si vuole cambiare qualcosa in un settore bisogna ascoltare i pareri e i contributi di chi in quello specifico campo lavora, ha maturato un’importante esperienza e ha le competenze specifiche migliori «». 
Si sono scaldati molto gli animi rispetto alla questione delle domeniche gratuite al museo. Chiariamo un po’ il suo punto di vista e le sue indicazioni? 
«La gratuità nei musei è l’esempio di una decisione presa applicando il metodo che ho appena spiegato. Le domeniche gratuite andavano superate da un sistema strutturale, che possa funzionare nel tempo adattandosi in modo armonico alle diverse situazioni presenti nel nostro Paese. Trattandosi di un cambiamento, era necessario introdurlo con una certa gradualità e con il coinvolgimento di persone competenti: non a caso il nuovo sistema delle gratuità è stato impostato dopo aver ascoltato e coinvolto i direttori dei musei, le persone che meglio conoscono queste dinamiche. Innanzitutto, le giornate gratuite aumenteranno e diventeranno 20. Di queste, 12 saranno fissate a livello centrale e saranno condivise da tutti i musei statali: rimarranno gratuite le prime domeniche del mese da ottobre a marzo. Inoltre, si aggiungerà un’intera settimana gratuita, probabilmente a marzo, che servirà come lancio ideale della nuova stagione turistica. Ogni museo avrà poi a disposizione altre otto giornate gratuite da gestire in maniera autonoma e applicherà un biglietto ridotto a soli 2 Euro a tutti i giovani dai 18 ai 25 anni. Il mio augurio è che i musei comunali e quelli privati si allineino al calendario dei musei statali in modo da garantire un’offerta omogenea».
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Domenica gratis alla Reggia di Caserta
Franceschini ha introdotto l’Art Bonus. Ci saranno novità? 
«No, rimane quello che è».
Parliamo del Decreto Dignità che impedisce la sponsorizzazione culturale da parte degli enti del gioco legalizzato (statali). Non le sembra una assurdità che poco ha a che fare con la dignità inerente al gioco d’azzardo? In UK con la lotteria si finanzia l’arte, e i musei per anni hanno utilizzato sovvenzioni private da holding legate al petrolio e dunque ben meno pulite che il gioco legale…
«Sono assolutamente contrario. Non vorrei un singolo euro dal gioco del lotto, lo dico apertamente. Esattamente per le stesse ragioni per cui non lo vorrei dalle sigarette».
L’arte contemporanea è ancora vista – soprattutto in alcune città – come la Cenerentola della cultura, quando non completamente inutile. Che fare? Quale la strategia di promozione e degli artisti italiani contemporanei sia in patria sia all’Estero? 
«L’Italian Council è un esempio di come un’iniziativa, seppure di piccola portata e poco finanziata, possa funzionare: ha avuto risultati importanti ed è un progetto che deve continuare. Detto questo, è necessario ampliare il discorso: fino ad ora il Ministero non è stato abbastanza attento a quello che è il secondo termine della missione, vale a dire le ‘attività culturali’. Ci occupiamo di arte, di musei, di archivi, di tutela – che è importantissima – ma non ci occupiamo abbastanza della produzione di arte. Per questo motivo, vorrei convocare un vero e proprio comitato che aiuti il Ministero a individuare delle azioni che favoriscano la crescita, il diffondersi, lo stesso mercato, ma in particolare la produzione di arte contemporanea, che deve essere distribuita sul territorio. L’arte contemporanea in Italia deve essere vissuta e sicuramente avrò un occhio di riguardo nell’incentivare questo processo».
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Milovan Farronato
Sono molto curioso del Padiglione Italia di Milovan Farronato alla prossima Biennale di Venezia. Come sarà secondo lei? 
«Anch’io sono curioso di vedere il risultato finale di questo progetto; quando ho incontrato Farronato gli ho detto “Faccia quello che le viene meglio” e gli ho detto di épater les bourgeois. D’altronde, l’arte contemporanea provoca dibattito e capita che a qualcuno non piaccia. Se questo valeva ai tempi Rubens, non vedo perché non debba valere adesso».
Si è pentito di aver assunto la carica di Ministro? 
«Mai, neanche un minuto, assolutamente no!».
Cosa si aspettava e cosa non si aspettava? 
«L’aspetto che mi ha più sorpreso, soprattutto per inesperienza mia, è il rapporto con i media. Prima di diventare Ministro, il rapporto era soprattutto tecnico, incentrato su approfondimento di temi, esplicazione di contenuti. Ora, a questo aspetto, si aggiunge quello del dibattito politico che, spesso, diventa polemica. Forse è questa la cosa più difficile che sto imparando a gestire, non avendo un passato da politico».
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Paestum
Qual è il museo o sito archeologico o il palazzo a cui è più affezionato? 
«A me piacciono moltissimo i siti archeologici. Voglio andare a rivedere Paestum, che ho visitato parecchio tempo fa e che mi era piaciuto molto. Per non parlare di Pompei e di tutto il patrimonio romano. Una delle cose positive di lavorare a Roma è che è piena di angoli che nascondono meravigliosi tesori. Un museo visto recentemente che ho apprezzato molto è il Museo del Violino di Cremona. Ha una parte didattica, di racconto, molto forte: racconta come si fa un violino e, al termine del percorso, il visitatore può ammirare pezzi unici – quali Stradivari e Guarnieri del Gesù – che fanno parte della collezione. È molto ben strutturato, interattivo soprattutto per i bambini. Può essere un modo nuovo di proporre il discorso museale. Anche perché, e questa è un’altra riflessione, mentre una volta se volevo vedere un Caravaggio dovevo andare a una mostra o al museo, oggi non serve più, posso vederlo in varie forme. Le nuove tecnologie hanno cambiato – e continueranno a farlo – il modo di fruire l’arte. Anche per questo motivo il museo deve essere in grado di offrire qualcosa di più rispetto all’ordinario. Se vado fisicamente in un posto devo poter avere un valore aggiunto che non posso vedere su Google, su internet o su altre piattaforme».
Il ponte Morandi a Genova (in fondo un simbolo del paesaggio tanto quanto lo è un acquedotto romano) e poi San Giuseppe dei Falegnami a Roma. Cosa si sta sbagliando? E come si può metterci una pezza? 
«L’Italia è un Paese che impara velocemente e questo mi piace molto: magari non ci rendiamo conto di un problema, ma quando lo vediamo ci muoviamo molto rapidamente. L’ho notato nel caso di San Giuseppe dei Falegnami: in meno di un’ora sono immediatamente intervenuti vigili del fuoco, protezione civile e tecnici del MiBAC. A causa dei sismi abbiamo sviluppato una capacità di pronto intervento molto forte e veloce. Nel sisma la prevenzione ha a che fare con le tecniche costruttive, il monitoraggio serve poco perché non si riesce a prevedere. Qui invece stiamo scoprendo che abbiamo forse un punto debole nel monitoraggio di strutture che, se non manutenute con efficacia, possono darci seri problemi. Non importa di chi sia la proprietà: abbiamo già avviato un dialogo molto serio con la CEI perché, a prescindere dalla proprietà – del demanio o della Chiesa – gli edifici a rischio siano oggetto di operazioni di tutela e messa in sicurezza».
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Ponte Morandi, Genova
Milano e Roma. Mai come negli ultimi tempi, sul piano della produttività, della cultura, delle infrastutture, Milano sembra essere partita a velocità WARP (per dirla alla Star Trek) lasciando Roma anni luce indietro. Cosa ne pensa? Si può invertire questo processo? 
«Alla fine degli anni Ottanta, Roma era assolutamente comparabile con Milano dal punto di vista della vitalità. Poi probabilmente si è inceppato il modello di sviluppo e da lì, prima dal punto di vista economico e poi anche in altri campi, la città è come se si fosse inaridita, mentre al contrario Milano è riuscita con maggiore successo a fare la transizione del modello economico trasformandosi da città industriale a città di servizi. Ecco, è un po’ quello che è mancato a Roma. Certamente si può invertire questo processo. Secondo me per esempio, sta lavorando bene il comune di Roma, unendo una più rigorosa pratica nell’amministrazione ad un’offerta culturale innovativa e varia».
Su questo abbiamo parecchi dubbi, ma andiamo avanti. Immagini di poter fare un viaggio nel futuro: che Italia vorrebbe ritrovare tra 50 anni? 
«È un’Italia che – e ne sono sicuro perché è la ragione per cui alla fine ho deciso di cambiare mestiere e per cui ci stiamo impegnando con tutti i colleghi del Governo – deve superare questo momento di discontinuità a livello economico, sociale, politico. E per farlo è necessario usare anche la cultura: la cultura può essere uno dei principali strumenti per superare quelle che sono delle fratture all’interno della nostra società, tra cui quella tra le generazioni. Tra cinquant’anni mi aspetto che l’Italia sia un paese europeo in un’Europa diversa da quella di oggi, meno sorda, meno miope su quelle che sono le esigenze delle persone, non solo delle grandi aziende, e dove le persone possano avere una qualità della vita superiore a quella attuale».

Mario Finazzi

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