-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
La vita, con ironia e realtà: il progetto di Vincenzo D’Argenio da Spazio Altrove
Progetti e iniziative
Tutti abbiamo disegnato da piccoli. Il primo scarabocchio, quel disegno di cui andavamo così fieri, è stato un modo per capire, interpretare, esprimere e vedere quello che ci stava attorno. Col tempo si studiano – laddove si studia ancora la storia dell’arte – i grandi artisti, nomi indelebili ma anche meno noti che hanno fatto la storia con le loro opere, alcune immortali, altre spesso giacciono dimenticate, in attesa di una flebile riscoperta, in qualche grande o troppo affollato, deposito museale. Potrà capitare a qualcuno di vedere l’opera da sempre sognata in un museo ma di rimanerne in qualche modo deluso, dopo essersi reso conto di esser stato, per anni, bombardato da una quantità di immagini difficile da decifrare. A qualcun’altro potrebbe capitare di mettere un “mi piace” alla foto di un’installazione pubblicata su un profilo social e decidere, perché no, di iniziare a seguirlo. Ma cosa succede se, nel 2023, si vuole essere un artista? La figura dell’artista è cambiata nel tempo, il lavoro in bottega, le grandi commissioni, i rivoluzionari, i rinnovatori, fino ad arrivare a oggi, alle star dell’arte contemporanea sostenute da collezionisti, gallerie, Musei e Fondazioni. Oggi, sebbene ci siano nuovi modi di farsi conoscere, come ad esempio grazie alle tecnologie, può essere difficile per un giovane artista entrare nel folle, molto spesso spietato, Sistema dell’Arte.
Abbiamo intervistato Vincenzo D’Argenio, artista nato a Benevento e da tempo a Bologna che incarna lo spirito dell’outsider, con tutti gli ostacoli e le speranze che ne comporta, in occasione di E ORA, VI PRESENTIAMO UN PICCOLO DRAMMA – Tragedia in pochi atti e in alcuni quadri, progetto espositivo allo Spazio Altrove, per la 19ma Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI – Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani.
Ci parli di come è nata l’idea del progetto “E ora, vi presentiamo un piccolo dramma. Tragedia in pochi atti e alcuni quadri”? Avevi già l’idea e cercavi un luogo per accoglierlo o il contrario?
«Il progetto si è creato quasi da solo. Da tempo volevo proporre alcuni lavori, mai mostrati a Bologna, con altri, invece, già esposti in contesti come Art City. Il problema di partecipare ai grandi eventi, seppur belli e interessanti, è che ci sono troppe cose da vedere in tempi spesso ridotti, tanto che il pubblico non pronto a quei livelli di “bulimia artistica” finisce spesso per essere quasi recalcitrante ai linguaggi del contemporaneo. Per quanto riguarda gli addetti ai lavori, fanno presenza per lo più ai progetti dei nomi più quotati o considerati come nuovi prodigi. Delle volte, penso, si ha la sensazione di imbastire eventi più per se stessi, sperando di riuscire a mostrare i risultati della propria ricerca a più persone possibili, ma poi capita siano decisamente meno di quelle che ci si aspetta».
Vivi a Bologna da ormai diversi anni. Quanto è importante l’apertura degli spazi indipendenti o che hanno altre finalità, anche non per forza artistiche, per un artista?
«Bologna è una città interessante dal punto di vista artistico ma, per me, ripiegata un po’ su sé stessa rispetto alle grandi realtà italiane. Perciò se non fai parte del cosiddetto “giro giusto” non riesci ad avere molta visibilità, soprattutto nei cosiddetti luoghi deputati. Per fortuna ci sono tutta una serie di realtà “alternative”, più o meno note, che hanno la voglia ed il coraggio di aprirsi alle arti visive, pur non essendo nate con questa finalità. Personalmente ho quasi sempre lavorato con queste “altre realtà” e credo che continuerò finché ci riuscirò, perché è una duplice sfida: sia dal punto di vista relazionale, nel fare network con chi li gestisce, che spaziale, perché ti permette di realizzare allestimenti in luoghi non sempre pronti ad accogliere installazioni di arte contemporanea.
L’incontro con Spazio Altrove e con Vincenzo Corigliano, che hanno accolto il mio progetto, è stato molto naturale. Con Vincenzo abbiamo alcune amicizie in comune, mentre lo spazio lo conoscevo solo di nome ma non ci ero mai stato. Un luogo dedicato al teatro, alla danza e alle arti performative molto particolare perché ha le fattezze di un salotto dal sapore vintage, con una serie di elementi che mi hanno ricordato la mia infanzia. Dopo il primo sopralluogo è stato chiaro il taglio che avrei dato al tutto».
In questo progetto c’è la tua vita, raccontata con ironia ma con verità. Nel mondo dell’arte, diversi artisti decidono di fare questa scelta, nonostante sia spesso un processo doloroso che richiede coraggio. Tu come hai capito di esser pronto?
«Come scrivo nel testo di sala che accompagna il progetto, ci ho messo oltre quarant’anni per capirlo. Forse è una scelta non particolarmente originale ma è l’unica possibile secondo me, se si vuole essere intellettualmente onesti e tentare di essere credibili, in primis con se stessi. Mi piace pensare di dover dare tutto o niente, non sono obbligato a fare l’artista, perciò ci tengo a farlo al meglio delle mie possibilità. L’Arte è forse la parte più pura della mia vita, che tutto sommato non è poi così diversa rispetto a quella di chiunque altro, quindi cerco di tenere questo aspetto piuttosto riguardato».
Non tutti gli artisti possono fare solo gli artisti. Molti insegnano o fanno altri lavori. Tu come vivi questa doppia vita, come un limite o come una sfida?
«Purtroppo o per fortuna, il pane non me lo porta l’Arte. Non posso nascondere che questo mi dispiaccia un po’ perché in un mondo perfetto, forse, non vorrei essere a una scrivania otto ore al giorno e vivere la realtà “ordinaria” che vivo. Col tempo però ho imparato a capire quanto questo mi permetta di non avere particolari “rischi” e non vivere come un lavoro quello che considero realmente il mio “lavoro”. Questa cosa mi concede il tempo di pensare con molta calma, a volte troppa, ma senza l’obbligo di produrre necessariamente e con costanza “qualcosa”».
Hai scelto la giornata del contemporaneo, il 7 ottobre, per presentare la tua “tragedia in pochi atti e alcuni quadri”. Perché?
«È la data scelta dall’Amaci per sentirsi parte di qualcosa. Inoltre essendo un evento one shot di un solo giorno, anzi nel mio caso poche ore, dalle 15 alle 21:30, è un’occasione in più per esserci ed entrare in contatto con gli altri, provando a mostrare il mio lavoro in sinergia con uno spazio che magari non tutti conoscono e che possono venire a scoprire indipendentemente da me».
Ci anticipi qualcosa su alcuni dei “quadri” in mostra?
«Di quadri veri e propri non ce ne saranno ma l’idea è presa in prestito dal gergo teatrale, nello specifico tutto parte dal titolo “rubato” che è l’incipit di un pezzo musicale che, da tempo, avrei voluto usare. Il riferimento è alla messinscena di un “piccolo dramma” attraverso alcuni miei lavori, recenti e non, piuttosto eterogenei ma legati tra loro da quelli che ho definito “non-lavori”, vale a dire piccoli elementi progettuali che fungono da raccordi di senso che implementeranno la narrazione assieme al foglio di sala. Quest’ultimo funge da canovaccio dei principali eventi della mia vita, che ho finito per cristallizzare in lavori, più o meno, in maniera cosciente. Sicuramente sarà presente un piccolo disegno (Punctum) che ha per me una forte carica di senso, in quanto contiene la scena ritratta, ormai molte estati fa, del piccolo panorama dalla mia camera, nella casa dove sono cresciuto a Benevento. Ci sarà poi un lavoro molto recente, ˈɡrōniNG, che ha più livelli di lettura: la malattia, la paternità, la dimensione onirica. In mostra anche un legame con le mie radici artistiche e affettive, Robin, uno stencil che è ormai diventato il mio totem, la stilizzazione di un pettirosso realizzato circa quindici anni fa. Lavoro legato appunto alla leggenda del pettirosso che mi raccontava mia nonna quando ero bambino».
Nel progetto, ti sei in parte affidato anche all’AI di cui si parla tanto. Molti artisti la trovano rischiosa, mentre altri la studiano con curiosità. Tu come l’hai utilizzata?
«Ho un’idea piuttosto scettica se parliamo di NFT e simili ma per quanto riguarda le tecnologie che pure mi affascinano molto, mi sono sempre approcciato a esse in modo semplice, cercando di piegarle al mio scopo comunicativo, nel modo più semplice e lineare possibile. Relativamente all’intelligenza artificiale, mi sono limitato ad usare chat GPT come interlocutore/correttore di bozze e assistente come un’Alexa/Siri qualsiasi per la stesura del testo presente in mostra che è un po’ il “pezzo” inedito di questa personale collettiva spazio-temporale, se mi passi il termine. Mi ha colpito, nei primissimi confronti tra input e output del testo, l’approccio molto “puro” della macchina nell’esprimere opinioni sui miei scritti, che è poi quello che ho tentato di fare mettendomi a nudo nella stesura di questo testo».
Che progetti hai per il prossimo presente?
«Vorrei realizzare un libro d’artista sulla nascita dei miei figli. È un lavoro che lascio e riprendo a sprazzi perché è basato sulla memoria e sul viaggio mentale anche qui coadiuvato dalla tecnologia. A novembre parteciperò ad alcune collettive e a dicembre un progetto a cui tengo molto, che sto contribuendo ad organizzare, con alcuni amici e colleghi a Castelvenere, in provincia di Benevento, assieme alla supervisione di Maria Venditti e Flavio Romualdo Garofano della galleria Mondoromulo, che avrà come focus il tema della “cura”. Mi piacerebbe fare di più ma questo è il rovescio della medaglia, se fai altro per vivere e hai famiglia. Per il resto la mia è una progettualità piuttosto lenta ma con alcuni momenti frenetici e va bene così».