L’architettura che danza. Con l’arte

di - 23 Settembre 2013

“Una Buster Keaton post-architettonica” così l’amico e collega John Kelsey definisce Klara Lidén e, osservando il lavoro dell’artista svedese, non risulta difficile comprendere il parallelo con l’acrobatico maestro del cinema muto, dato il funambolico e paradossale approccio fisico e spaziale di Lidén nei confronti di spazi urbani pubblici e privati, che l’artista carica di nuove e inaspettate potenzialità.
“Invalidenstraße” è la prima personale in Italia dedicata alla ricerca di Klara Lidén che, fino al 12 gennaio 2014 è ospitata a Museion di Bolzano. La mostra, a cura di Letizia Ragaglia, porta al quarto piano del museo una trentina di opere provenienti da collezioni pubbliche e private, molte delle quali, vengono esposte al pubblico per la prima volta. Tra fotografie, video e installazioni, si viene subito catapultati nel mondo dinamico e bizzarro che Lidén plasma con incredibile energia e ritmo sincopato. Appena si accede al piano che ospita la mostra, si viene subito accolti da Yourway, opera che cala immediatamente l’osservatore all’interno di una delle tematiche cruciali nella ricerca dell’artista, ossia l’esperienza dello spazio come scoperta che lacera i ristretti confini delle convenzioni sociali e il confronto con l’architettura, una materia con la quale Klara Lidén si rapporta a partire dalla propria formazione, visti gli studi di architettura, che hanno preceduto quelli svolti all’Universität der Kunst di Berlino e successivamente presso lo University College of Arts, Crafts, and Design di Stoccolma.

Il lavoro che apre la mostra è infatti un’installazione composta da 50 porte sovrapposte, che rovescia la valenza dell’ingresso, bloccando la visuale e costringendo ad un accesso che rinuncia alla logica della linea retta, con i suoi vincoli di ottimizzazione e risparmio delle energie a tutti i costi. Attraverso questo gesto, Lidén costringe da subito l’osservatore a rapportarsi allo spazio, quello museale in questo caso, con metodiche diverse rispetto alle usuali, grazie a un avvicinamento al reale, che sperimenta lo spazio con curiosità ed entusiasmo, ricercandone i limiti per superarli, anziché evitarli. Un approccio che Lidén incarna nelle proprie azioni, immortalate dagli scatti e dai video in mostra, che la vedono oltrepassare numerosi limiti, attraverso un atteggiamento osmotico, nel quale spazio e idea si mescolano indissolubilmente. Non dimentichiamo che Lidèn, a proposito di sé dice: «Una parte di me è la povera architetta, che si confronta con i problemi delle strutture esistenti nella città, l’altra parte è la danzatrice o performer amatoriale, che vuole restituire l’idea del ritmo all’attività del costruire».
Lidén si appropria delle geografie urbane, esplorandole e caricandole di nuove valenze, attraverso azioni che la vedono impegnata in attività paradossali, come quella di entrare ed uscire da un tombino (Untitled (Down), 2011), o arrampicarsi su di un pilastro, fino ad assumere i tratti di quello che appare quasi come un “elemento architettonico umano”, che riscrive storia e significato del grigio edificio da periferia urbana che lo ospita e che, con gesto ironico e pungente l’artista intitola Monkey. Nel video Der Mythos der Fortschritt (Il mito del progresso), in un condensato di ironia e profondità, troviamo Klara Lidén impegnata a percorrere le strade notturne di una New York calata nell’anonimato delle periferie urbane, solo che l’artista anziché procedere, emblematicamente retrocede, camminando (o forse sarebbe meglio dire danzando) alla Moonwalker.

Al centro dello spazio dedicato alla mostra, troviamo invece la serie di sculture Autostrada Cafè che, come spesso accade all’interno delle mostre dedicate all’artista, la vede attingere direttamente al contesto urbano sede dell’esposizione. In questo caso è il manto stradale di Bolzano, ad entrare letteralmente all’interno del museo, in un gesto fisico e potente, che ripete quello simbolico messo in atto dalle pareti trasparenti dell’edificio di Museion, il superamento dei confini dentro/fuori.
Alle pareti, campeggia poi una serie di poster painting, opere realizzate attraverso la sovrapposizione di innumerevoli poster pubblicitari, rimossi direttamente dal contesto ed emblematicamente coperti da una superficie bianca, che rovescia la loro vocazione d’uso, quella comunicativa, trasformandoli in un’opera silenziosa, che oscilla tra la pittura e gli echi di un Nouveau Réalisme, scardinando ancora una volta la logica dell’utilità e del limite. Con spirito affine, l’artista stipa in uno spazio ristretto, innumerevoli strati di tela cerata, tende da doccia e tovaglie si ammassano l’una sull’altra, a parlarci di un ambiente che diviene tanto intimo e domestico, quanto estraneo e violento, che verrebbe da definire “Unheimlich”, sulla scorta della definizione freudiana della categoria del perturbante.
Klara Lidén reagisce con forza e rabbia ai limiti, sia quelli dello spazio, che delle convenzioni, come accade nei video che ritraggono le sue performance. Emblematico tra tutti il celebre Paradise, che la vede ballare ferocemente, all’interno di una metropolitana. Quella messa in scena dall’artista, diventa un’azione che supera i confini della danza e della performance, per divenire scoperta, esplorazione spaziale e interiore, che sonda i limiti del proprio essere fisico e mentale, accanto a quelli imposti dallo spazio angusto del mezzo dentro al quale prende vita. Lidèn balla, cade, si arrabbia e si oppone al limite imposto, così come accade in tutti i suoi lavori, fatti per abbattere i confini spaziali, aprendo e riscrivendo nuove e appassionanti geografie urbane e sociali.

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