L’arte degli outsider vista dal mercato

di - 24 Gennaio 2016
La 24.ma edizione dell’Outsider Art Fair ha aperto i battenti al Metropolitan Pavillion, nella zona sud-est di Chelsea, dal 21 al 24 gennaio. Superman, teschi, Madonne, spaventapasseri, principesse senza occhi: guerrieri che costruiscono nel quotidiano una mitologia urbana che sfida gli eccessi, sfiorando il kitsch, in un tripudio di colori e di spontaneità in parte solo apparente. Il successo di questa fiera dedicata agli artisti che (in teoria) sono al di fuori dei meccanismi commerciali dell’arte contemporanea è confermata dall’aumento degli stand (60) con la presenza di un gran numero di dealer di base a Lower East Side e di importanti gallerie come le newyorkesi Ricco/Maresca Gallery, Hirschl & Adler Modern, Cavin-Morris Gallery e Fleisher/Ollman Gallery di Philadelphia accanto a quelle internazionali, tra cui Rebecca Hossack Art Gallery (Londra), Macaulay & Co. Fine Art (Vancouver), Bourbon-Lalli (Haiti) e le italiane Galleria Centro Steccata (Parma) e RIZOMI_art brut (Torino). E il mercato, probabilmente in questo caso, segue l tendenza critica, perché l’arte fatta dai non artisti è stata fortemente sdoganata dalla Biennale di Venezia del 2013 di Massimiliano Gioni e, sempre a Venezia, ai Giardini in quello periodo, un’altra mostra celebrava le virtù dell’Outsider Art.
Per Andrew Edlin (amministratore delegato di Wide Open Arts, organizzatore della fiera) l’interesse per l’arte naïf ha avuto un grande impulso anche grazie al riconoscimento in ambito museale di un genere che coinvolge artisti prevalentemente autodidatti, come ad esempio la mostra Art Brut in America che si è appena conclusa all’American Folk Art Museum di New York.

È il caso di Hawkins Bolden (1914-2005), presentato dalla galleria newyorkese Shrine, e dei suoi assemblaggi di oggetti riciclati, legni, pezze, rottami metallici nati dalla percezione tattile dei materiali che Bolden, rimasto cieco da bambino dopo una partita di baseball, cominciò a realizzare non come opere d’arte, piuttosto come una sorta di spaventapasseri per preservare l’orto-giardino della sua casa a Memphis, Tennessee. Analogamente Situations (progetto curatoriale fondato a New York nel 2015) mette a confronto il lavoro grafico di due artisti visionari: Henry Darger (1892-1973) che visse a Chicago in solitudine, in una casa-ospedale (dove lavorò per tutta la vita come custode) con annessa una chiesa (devoto cattolico andava a messa ogni giorno) raccogliendo e collezionando riviste e giornali che utilizzò per realizzare un racconto visivo di oltre 15mila pagine con cui, insieme alle centinaia di disegni, ricoprì le pareti del suo appartamento. L’altro, messo a confronto, è Tabbooi (Stephen Tashjian), drag performer, cantante, attore protagonista negli anni Ottanta della scena underground dell’East Village sono presentati disegni, dipinti e collage che riflettono la teatralità punk vissuta in prima persona dall’artista, a cui è stata dedicata la monografia Taboo! The Art of Stephen Tashjian (Damiani, 2013).
È autodidatta anche Jill Galliéni (nata ad Aix en Provence nel 1948), che debutta nella Grande Mela insieme a Marie-Rose Lortet (presentate dalla galleria parigina Marie Finaz). Alla fine degli anni Settanta Galliéni ha iniziato a cucire le sue “poupées” di stoffa: solo figure femminili, sensuali, silenziose spesso in gruppo, ma quasi sempre senza gli occhi oppure bendate, che non sorridono mai. Un riflesso, come spiega la gallerista, della storia personale dell’artista che non ha mai conosciuto la madre, convivendo da sempre con questo dolore, ma trovando nell’arte una formula liberatoria.

Il passato riaffiora, declinato con intonazioni surreali nei lavori di alcuni artisti che usano il medium della fotografia. All’Outsider Art Fair c’è chi ricorre alle fotografie d’epoca manipolandole ironicamente, è il caso del cinese Cai Dongong (Klein Sun Gallery, New York-Beijing), di cui è imminente la prima personale negli Stati Uniti o della ceca Jana Paleckova (Fred. Giampietro Gallery, New Haven), che riscrive la storia di sconosciuti creando un universo fantasioso in cui convergono ansia e stravaganza. Mettendo in piedi un’operazione più complessa, Malcom McKesson (Marion Harris, New York) crea l’opera My family affiancando bambolotti con il cuore segnato di rosso e la faccia sostituita da piccolissimi ferrotipi che ritraggono figure maschili e femminili.
Astrazione e ripetizione seriale con l’impiego di elementi di uso quotidiano, definiscono la pratica di due artisti giapponesi: Momoka Imura (Yukiko Koide Presents, Tokyo), che ha partecipato anche all’Outsider Art Fair nel 2014, usa il filo e i bottoni, mentre Hidehito Matsubara (Yod Gallery, Osaka), taglia con le mani infiniti pezzetti di carta che dipinge e assembla dando a queste sue opere “meditative” una tridimensionalità scultorea.

Ma ad attrarre il pubblico, delineando una nuova tendenza confermata dai bollini rossi, sono soprattutto i “segni magici”, investiti di significati spirituali, tracciati da artisti indiani per lo più anonimi del XVIII-XIX e prima metà del XX secolo per illustrare testi sacri induisti, trattati di yantra, astrologia e veterinaria, combinando il rigore con un’estetica che irradia energia primordiale. Una serie di questi “Tantra paintings”, che includono i lavori dell’artista indiano Vyakul (1930-2000), è presenta dalla galleria parigina Hervé Perdriolle, ma il nucleo più cospicuo appartiene alla collezione personale dell’artista inglese Alexander Gorlizki che viaggia in India da 35 anni e ha lo studio a Jaipur, dove collabora con il miniaturista Riyaz Uddin. Realizzati con pigmenti naturali, spesso in relazione a testi scritti in sanscrito, questi disegni passano dal sacro al profano con estrema disinvoltura, come vediamo nel disegno con il volto della donna affiancato a quello dell’uomo usato per studiare la compatibilità della coppia in vista del matrimonio.
I prezzi? Dai 450 ai 4500 dollari. Se prima si acquistava “outsider art” per una manciata di dollari, in strada o nei flea market, la sua “istitualizzazione” ha dato vita a un vero mercato, specchio delle dinamiche dell’arte contemporanea.
Manuela De Leonardis

Foto in Home Page e in alto di Manuela De Leonardis

Nata a Roma nel 1966, è storica e critica d’arte, giornalista e curatrice indipendente. Con Postcart ha pubblicato A tu per tu con i grandi fotografi - Vol. I (2011), A tu per tu con i grandi fotografi e videoartisti - Vol. II (2012); A tu per tu con gli artisti che usano la fotografia - Vol. III (2013); A tu per tu – Fotografi a confronto – Vol. IV (2017); Cake. La cultura del dessert tra tradizione Araba e Occidente (2013), progetto a sostegno di Bait al Karama Women Center, Nablus (Palestina). E’ autrice anche Taccuino Sannita. Ricette molisane degli anni Venti (ali&no, 2015) e Isernia. L’altra memoria – Dall’archivio privato della famiglia De Leonardis alla Biblioteca comunale “Michele Romano” (Volturnia, 2017).

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