L’arte di rubare

di - 6 Aprile 2016
Si è appena aperta alla Fondazione Prada di Milano, una realtà sempre più densa di progetti, servizi e visitatori, un’esposizione che ci accompagnerà sino al 28 agosto. Un nuovo bersaglio raggiunto accanto alla straordinaria mostra di Goshka Macuga e alle proposte permanenti della fondazione che restituiscono a Milano un ruolo internazionale nell’offerta artistica contemporanea. Si tratta della mostra collettiva “L’image volée”, curata e partecipata dall’artista Thomas Demand e allestita su progetto dello scultore Manfred Pernice per proporre più di 90 lavori realizzati tra il 1820 ed oggi da oltre 60 artisti.
“L’image volée”, letteralmente l’immagine rubata, è un progetto di notevole interesse che s’inserisce in una grammatica di stretta attualità nella quale l’artista è autore, curatore e critico di progetti che articolano, in una soluzione espositiva, il pensiero autoriale dentro una più vasta riflessione sull’arte.
Il risultato, che Prada Milano offre con i progetti Macuga- Demand un confronto  molto stimolante,  è lo svolgersi e l’affermarsi, intorno a tematiche originali che si discostano dal brusio  comune,  il lavoro di artisti internazionali conosciuti e sconosciuti, l’intreccio tra discipline ed epoche diverse e infine la sottoposizione interpretativa di documenti, immagini e oggetti. In concreto è un’avvincente affermazione dell’artista che diventa regista, sceneggiatore e attore restituendo alla macchina curatoriale e organizzativa un ruolo di servizio; è il pensiero dell’arte che s’intreccia a quello filosofico per consegnarci di volta in volta nuove appropriazioni del reale.
Per questi motivi l’esposizione “L’image volée” non si caratterizza a primo impatto come una mostra gratificante o di facile lettura: la sua struttura, il necessario ausilio didascalico, i rimandi e gli intrecci tra le opere così come gli argomenti affrontati chiedono ai visitatori uno sforzo di attenzione e un parallelo processo di elaborazione senza i quali la complessità e l’ambiguità della proposta è difficilmente raggiungibile.
Soggetto dell’indagine di Thomas Demand è l’esplorazione dei limiti tra originalità, invenzioni concettuali e diffusione di copie: limiti che sono esemplificati in mostra mediante l’analisi di casi diversi di furto, lo sviluppo della nozione di autore e in parallelo l’appropriazione e il potenziale creativo delle ricerche che ne sono conseguenza o esito. Grazie ad un viaggio di scoperta nella ricerca artistica del XX e del XXI secolo che segue un andamento anticonvenzionale ed empirico, Demand offre una prospettiva inaspettata interna ad un percorso espositivo che presenta tre direzioni d’indagine: l’appropriazione fisica dell’oggetto o la sua assenza, la sottrazione relativa all’immagine piuttosto che all’oggetto concreto e, infine, l’atto del furto attraverso l’immagine stessa.
Nella prima sezione della mostra sono raccolte fotografie, dipinti e film in cui l’oggetto rubato o mancante diventa il corpo del reato o la scena del crimine. Come succede nella denuncia incorniciata da Maurizio Cattelan a seguito di un furto di un’opera immateriale – Senza Titolo del 1991 – o nei casi di alterazione di opere d’arte preesistenti, come per il quadro di Gerhard Richter trasformato da Martin Kippenberger in un tavolino: Richter-Modell (interconti) del 1987. Nella seconda sezione si analizzano le logiche dell’appropriazione all’interno del processo creativo: dall’idea di contraffazione e falsificazione legata al denaro e alle opere d’arte si arriva all’ Appropriation Art accanto ad esempi nei quali gli artisti si impossessano dell’identità di un altro artista o di immagini preesistenti come per Erin Shirreff e Rudolf Stingel che realizzano dipinti o video usando riproduzioni fotografiche di opere d’arte del passato. In questa seconda sezione è numerosa anche la presenza di opere in cui gli artisti sottraggono l’elemento visivo da un altro medium o mediante un processo di decontestualizzazione dell’immagine stessa.
Di rara forza e intensità in questo gruppo l’opera di Guillaume Paris che nel video Fountain del 1994 ripropone una breve sequenza del film di animazione di Pinocchio del 1940: davanti all’opera il nostro occhio, disorientato e ansioso, attende inutilmente che il piccolo eroe si alzi sottraendosi alla morte inaspettata di un loop che annulla ogni speranza di continuità nella vita e nella storia di Pinocchio. La terza parte della mostra, ospitata al livello interrato della galleria Nord, aperto al pubblico per la prima volta, affronta la questione della produzione di immagini che, per loro stessa natura, rivelano aspetti nascosti sul piano privato o pubblico della vita. Un’indagine con afferenze alla sfera politica della socialità nei Paesi occidentali che attraverso opere di forte impatto restituisce labirinti di riflessione tra giochi di telecamere, riprese a circuito chiuso e fotografie. Come nelle opere di Trevor Paglen dove si documenta l’infrastruttura materiale della sorveglianza di massa attraverso le riprese fotografiche del sistema interoceanico di cavi sottomarini che trasmettono dati sensibili. Ma anche con esempi di ricerca intima come per Sophie Calle nella serie The Hotel del 1981 dove rivela dettagli intimi della vita di persone sconosciute.  La sezione si chiude con una mostra nella mostra che riunisce, in una logica di bellezza anticipatrice delle tecnologie odierne e del loro design, veri dispositivi di spionaggio usati dalla DDR e dall’Unione Sovietica per controllare i propri cittadini.
Infine la mostra “L’image volée” è a sua volta accompagnata da una pubblicazione, sempre edita da Fondazione Prada, che include racconti inediti di Ian McEwan e Ali Smith, saggi di Russell Ferguson, Christy Lange e Jonathan Griffin oltre ad interventi di Rainer Erlinger e Daniel McClean.
E, per chi volesse approfondire la conoscenza di Thomas Demand, certamente uno degli artisti più amati dal team ristretto che orienta e stabilisce le scelte della fondazione, tra le opere permanenti nella Fondazione Prada a Milano è sempre possibile visitare nella sala Cinema il suo mastodontico lavoro Processo Grottesco.

Laureata e specializzata in storia dell’arte, docente, critica e curatrice. Mi interessa leggere, guardare, scrivere e viaggiare, fare talent scout, ascoltare gli artisti che si raccontano, seguire progetti e mostre, visitare musei e spazi alternativi, intrecciare le discipline e le generazioni, raggiungere missions impossible. Fondo e dirigo Contemporary Locus.

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