Il tempo è «il più grande e il più antico di tutti i tessitori», scriveva Charles Dickens. Lavora in silenzio e in segreto, ma niente resta immune al suo tocco. In un’epoca in cui tutto è riproducibile e realizzabile in serie, il trascorrere del tempo sembrerebbe dare un valore aggiunto alle cose, figurare come una variabile che le rende uniche. La forma degli oggetti che cambia lentamente ma irrimediabilmente, quasi questi fossero vittime di uno scultore la cui mano è libera di agire senza curarsi dell’esito finale. Da queste osservazioni parte la riflessione di Franco Guerzoni. I suoi lavori si mostrano come vere e proprie epifanie di oggetti ritrovati, “reperti” – come ama definirli – colti nel loro “rinnovato” splendore.
L’incuria e l’abbandono sono le tappe di un viaggio in un passato non troppo remoto, tracce che raccontano di ciò che è stato e ormai è perduto. Lo sguardo dell’artista emiliano si sofferma sui particolari, sulle incrostazioni di sporco e polvere, sulla ruggine che ricopre questi oggetti e sui loro bordi erosi da acqua e vento. È uno sguardo sensibile al tempo che passa e che muta la forma delle cose, consapevole dell’irrecuperabilità di una loro purezza originaria. I suoi sono reperti a cui è negato ogni possibilità di reintegro, sono delle vere e proprie “archeologie senza restauro”, come recita il titolo dell’esposizione (fino al 19 aprile).
«C’è in questa mostra al MAMbo – evidenzia Franco Guerzoni – un filo che tiene unito tutti i miei lavori, dal più remoto a quello di oggi, ed è il grande fascino che ho sempre avuto per gli oggetti sottoposti al tempo. Cioè il fascino per le patine degli oggetti antichi, per la rovina. Dice bene Marc Augé quando afferma che la rovina basta a se stessa. E non mi riferisco alle rovine del mondo classico, a quelle etrusche, greche o romane di cui il nostro territorio è pieno. Per me hanno ancor più fascino le pietre di un crollo qualsiasi. Mi rendo conto che per questo spesso il mio lavoro viene interpretato nella sua dimensione drammatica. Questa di certo c’è, ed è evidente. Ma non è mai il crollo ‘cattivo’ che mobilità la mia attenzione verso la rovina. È piuttosto l’idea di un qualcosa che si consuma».
Nato a Modena nel 1948, dall’inizio degli anni Settanta, Guerzoni si avvicina all’arte sperimentando il linguaggio fotografico, seguendo un proprio percorso di ricerca sull’immagine e sui sistemi di rappresentazione. Sono gli anni in cui la fotografia cerca il proprio riscatto come genere artistico autonomo.
Dalla Francia e dall’America arrivano i modelli da seguire per i giovani artisti italiani, che restano affascinati dalle nuove teorie concettuali. E in particolare, queste teorie attecchiscono nell’ambiente artistico emiliano, dove Guerzoni cresce e si forma, tra continue collaborazioni e scambi intellettuali con gli altri giovani artisti: Franco Vaccari, Claudio Parmiggiani e Luigi Ghirri tra tutti. Se la recente mostra alla Triennale di Milano si è soffermata sugli esiti fotografici della produzione di Guerzoni, Archeologie senza restauro va oltre e mette in relazione i suoi esordi artistici con la sua produzione matura, in un racconto che si concentra sugli aspetti pittorici della sua ricerca. Ai primissimi anni Settanta risalgono gli Affreschi (1972) e le Archeologie (1973) seguite dalle due Antropologie (1976-78) che l’artista ha voluto donare al MAMbo insieme al Libro del 1971. Sono lavori in cui Franco Guerzoni si concentra sull’idea di “antico” intesa come perdita. Le Antropologie si presentano come accostamenti di piccoli oggetti e di immagini fotografiche. Appena visibile, a loro interno celano un piccolo segreto, una vecchia lastra fotografica ai sali d’argento, uno scatto dell’amico fraterno, Luigi Ghirri. Ed è proprio il segreto una delle tematiche che collega questi vecchi lavori di Guerzoni alla nuova produzione.
«Ho scelto di esporre alcune opere che contenessero dei segreti. È tutta la vita che voglio lavorare con i segreti, ma mi sono reso conto che è stato più difficile di quanto avessi potuto immaginare perché più le cose sono piccole e nascoste, più hanno bisogno di macchine importanti per funzionare. Sono uno grandissimo appassionato di Calder e della scultura animata come quella di Pier Paolo Calzolari, ma non volevo che la tecnologia fosse troppo visibile, doveva restare quasi impercettibile. Può accorgersi del meccanismo solo chi presta attenzione alle cose, perché questi “segreti” non funzionano sempre. Fare delle cose che funzionano sempre avrebbe voluto dire mettere due orologi e non era questo il mio obiettivo». Appositamente realizzate per il MAMbo sono Affresco in corso d’opera (2014), un lavoro installativo di dimensioni variabili; le due Stanze e la Grotta (2014), ispirata al complesso pittorico della Grotta dei Cervi di Porto Badisco (Puglia).
“Archeologie senza restauro” è una mostra che non si rivela semplicemente come un’antologia del lavoro di Guerzoni, ma preferisce concentrarsi sulla poesia che è alla base del suo lavoro e della sua ricerca, creando un ambiente piccolo ma prezioso in cui tutte le opere scelte dal maestro modenese confluiscono in un unico insieme, un ensemble che promette un’immersione nel suo mondo fatto di rovine e ricordi, quasi un ingresso all’interno di un’opera d’arte totale.
Leonardo Regano