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È ancora possibile scoprire in un piccolo museo di provincia un bel dipinto italiano su fondo-oro o, nella penombra di una chiesa, un’importante tela del Seicento? Non è inimmaginabile”. Con queste parole Michel Laclotte, già direttore del Grand Louvre, annuncia la messa in rete sul sito dell’Institut National d’Histoire de l’Art di Parigi del
Retif, il repertorio dei dipinti italiani nelle collezioni pubbliche francesi.
Secondo un calcolo orientativo, circa 12mila dipinti italiani sono conservati nei musei, nelle chiese e negli edifici pubblici francesi. Cifre da capogiro, che lasciano intravedere la portata del progetto e permettono d’immaginare le difficoltà che l’intera équipe ha dovuto superare. È oggi possibile consultare circa un sesto delle schede dei dipinti, mentre le altre dovrebbero essere aggiunte nel corso dei prossimi anni.
Dopo le regioni della Bretagna, del Centre, del Nord-Pas-de-Calais, dei Pays-de-Loire e del Poitou-Charentes, il gruppo attualmente lavora sulla regione dell’Auvergne e sulle due normandie (Basse-Normandie e Haute-Normandie).
Ogni scheda riporta le informazioni generali: dimensioni, supporto, bibliografia sommaria. Grande attenzione è stata data alla qualità delle immagini, che illustrano nella maggior parte dei casi le schede. Ma il
Retif ha anche voluto essere un momento di riflessione e un banco di prova, in un periodo storico in cui si assiste un po’ dappertutto a una digitalizzazione forsennata – e a volte insensata – delle collezioni pubbliche.
Due punti meritano particolare attenzione: l’attribuzione dei dipinti e la sua provenienza. Non tutti i potenziali consultatori del sito sanno infatti che non sempre si conosce l’autore di un dipinto. A volte l’opera è firmata o esistono documenti che ne segnalano la paternità, ma in molti casi è una categoria particolare di storici dell’arte – i cosiddetti “
connaisseur” – a proporre un’attribuzione (si legga il romanzo di Henry James,
La protesta, tradotto da Fazi nel 2006). Capita allora di ritrovare nel
Retif le proposte di Federico Zeri, di Roberto Longhi o di Bernard Berenson, nonché quelle di alcuni loro “eredi”, tra i quali si segnala qualche italiano: Roberto Contini, Andrea De Marchi, Mina Gregori e Giovanni Romano. Le opere più importanti sono state studiate e presentate in convegni e mostre, ma si possono pure inviare le proprie proposte via mail. Ogni sei mesi circa, il materiale raccolto sarà valutato e le indicazioni più pertinenti segnalate sulla scheda dell’opera.
La provenienza dei lavori potrebbe essere invece argomento spinoso per un pubblico, quello italiano, assuefatto all’idea dei “furti d’arte” di Napoleone. Se è innegabile che alcuni dei capolavori italiani di Francia siano il frutto delle campagne militari dell’esercito rivoluzionario prima e di quello napoleonico poi, non bisogna dimenticare che la maggior parte delle opere sottratte fu restituita nel 1815 e che il bottino supera oggi di poco i cento dipinti.
La
Gioconda è stata portata in Francia dallo stesso
Leonardo, mentre – durante il regno di Luigi XIV – il re, i suoi ministri e tutta l’aristocrazia hanno fatto a gara per acquistare le opere dei migliori artisti italiani dell’epoca. Nell’Ottocento, molti collezionisti privati hanno acquistato dipinti durante i loro soggiorni in Italia, o per il tramite di alcuni mercanti italiani, prima di farne dono al museo della propria città. Poche settimane fa, il museo di Fontainebleau ha acquisito un’
Allegoria del mondo marino di
Francesco Albani: la passione dei francesi per l’arte italiana non accenna dunque a diminuire.
Con un pizzico di sarcasmo, alcuni si son chiesti come si potesse esser sicuri che nessuna opera fosse sfuggita al censimento. È a loro che Michel Laclotte risponde nella presentazione del progetto: “
Osiamo pensare che sia inevitabile e non necessariamente drammatico: che la gioia di scovare un capolavoro nei depositi dei musei, in una sacrestia o in un ufficio, sia offerta anche ai ricercatori di domani”.