L’esigenza inarrestabile

di - 4 Aprile 2017
“La fotografia del no” è il titolo dell’esposizione che la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo ha organizzato e dedicato all’opera di Mario Cresci dal 1964 ad oggi.
Si tratta della più vasta e ragionata mostra antologica dedicata al lavoro del fotografo (Chiavari, 1942) la cui personalità artistica rappresenta, per sperimentazione ed esiti, una tra le figure più complesse e articolate della scena italiana a partire dagli anni Sessanta.
La mostra restituisce, in un percorso espositivo articolato in dodici stanze, la produzione dell’artista dalle prime sperimentazioni sulle geometrie alle indagini di carattere antropologico sulla cultura lucana, dai progetti dedicati alla ricerca della scrittura fotografica alla transitorietà della percezione. Caratteristica del progetto espositivo è la rappresentazione per immagini, disegni, video e installazioni del dispositivo stesso della ricerca di Cresci giocato tra analogie formali e correlazioni concettuali.
Un percorso che non privilegia lo sviluppo cronologico della sua produzione ma che tende invece a esplicitarne le strutture interne e le connessioni di senso e di forma con un andamento serrato che conferma l’autonomia di ricerca e la singolarità poetica di uno sguardo errante. L’esito è una mostra che evidenzia l’attualità della ricerca di Mario Cresci nel contesto delle più recenti tendenze artistiche e, al contempo, la capacità di sedimentare e restituire per singole opere o per cicli, oltre cinquant’anni di lavoro tra esperienze e ricerche, attività e progetti, viaggi e studi, scrittura e insegnamento.

“La fotografia del no” è dunque una mostra che esplicita la riflessione costante condotta da Cresci sulle potenzialità del linguaggio fotografico in un dialogo autonomo e insieme stringente con la più amplia ricerca artistica e, più significativamente, con la multidisciplinarietà, verso la quale di volta in volta l’artista intrattiene relazioni di analisi e di senso. La sua fotografia, intesa appunto come medium della ricerca artistica e come riflessione teorica connessa a pratiche e saperi diversi, approfondisce aspetti legati alla memoria, alla percezione e alle analogie che dal senso o dall’istantaneità di una visione, derivano la loro forma.
L’invito che l’autore pone, a fronte di singole immagini, cicli, disegni e installazioni, è quello di un confronto inedito con la realtà di cui sottolinea il particolare, la stratificazione, la fuggevolezza interna alla storia, la corrispondenza intima così come la caducità oggettuale. Per questo nelle sue fotografie luoghi, persone, architetture ed elementi naturali sono intesi e restituiti come deposito di relazioni, memorie e tracce di cui possiamo farci a nostra volta tessitori di senso e memoria.
Nella mostra anche grandi installazioni, rivisitazioni di esperienze spaziali e oggettuali: ecco la  libertà formale di Cresci, che si trasmette nell’uso di materiali eterogenei e soprattutto, per una pratica di pensiero dell’artista, nel concetto di riproduzione dalla riproduzione (ovvero del visibile? O della sua rappresentazione?) che nell’azione stessa della moltiplicazione difforme riconduce alla molteplicità del reale, attraversata però dall’irriproducibilità dell’arte.

Curata da Maria Cristina Rodeschini e da Mario Cresci stesso, la mostra in GAMeC rappresenta un punto di osservazione privilegiato sul lavoro di Cresci, permettendo di comprenderne e contestualizzarne gli esiti in una cornice aperta e empatica che sottende in parallelo rigore e determinazione, studio e confronto. La stessa relazione tra analogico e digitale, tra nero e colore, tra carta e superfici plastiche, tra segno di luce e disegno a matita, tra carta copiativa e riproduzione fotografica ne sono esito e insieme espressione. Unica esigenza che Mario Cresci pone, in maniera sottile, a volte ironica e a volte intima e personale – cioè in grado di esprimere esperienze liberatorie o focalizzazioni di analisi complesse – è lo sguardo libero di chi si avvicina al farsi di una visione aperta e contraddittoria che sollecita la nostra singolare capacità partecipativa.
Come suggerito dal titolo stesso della mostra, a sua volta riferimento al recente libro di Goffredo Fofi Il cinema del no. Visioni anarchiche della vita e della società, la fotografia è infatti intesa dall’artista come un atto globale, non circoscrivibile al singolo scatto ma più efficacemente rappresentativa di una scelta di vita e di relazione con gli altri. Presa di posizione che emerge anche nella pubblicazione per la mostra, scandita nelle sezioni da saggi diversi per impostazione e interpretazione che, nell’unità delle diverse prospettive, restituiscono anche sul piano teorico una piattaforma combinatoria inedita.

In conclusione la mostra di Mario Cresci in GAMeC è occasione da non perdere: errare tra le stanze che la compongono, perdersi negli anni e accorgersi di assistere al disvelarsi di una ricerca svincolata da abilità formali, tendenze o preconcetti, rappresenta l’opportunità di comprendere una parte fondamentale della storia della fotografia italiana e al contempo di aprirci spontaneamente all’esercizio della complessità. È anche l’occasione per restituire a Mario Cresci la voce e l’importanza di una ricerca profonda, lucida e poetica, mai succube delle richieste di adeguamento e di riconoscibilità, sviluppata nel tempo con la costanza e la determinazione di una esigenza inarrestabile.
Paola Tognon

Laureata e specializzata in storia dell’arte, docente, critica e curatrice. Mi interessa leggere, guardare, scrivere e viaggiare, fare talent scout, ascoltare gli artisti che si raccontano, seguire progetti e mostre, visitare musei e spazi alternativi, intrecciare le discipline e le generazioni, raggiungere missions impossible. Fondo e dirigo Contemporary Locus.

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