Quest’estate CHEAP fa parlare parecchio di sé. Le iniziative dedicate all’arte pubblica continuano con due progetti di poster art realizzati con la partecipazione di artistз internazionali su questioni di stringente attualità. Il femminismo intersezionale è la radice che da anni informa i lavori di CHEAP, e che ancora adesso è la risposta politica che dai muri di Bologna viene rivolta ai problemi del nostro tempo, come il cambiamento climatico e la violenza di genere. Su exibart vi abbiamo presentato numerosi poster realizzati in passato da CHEAP (come Concertata, Her Name Is Revolution e Preferirei di NO). Questi e molti altri sono raccolti nel libro fresco di stampa AS CHEAP AS POSSIBLE, dedicato proprio alla storia del collettivo, dalle origini alle ultime iniziative.
L’estate torrida che stiamo vivendo è solo una delle terribili conseguenze del climate change. Bisogna intervenire, e in fretta, per arginare la crisi. Ma l’azione per il clima non può prescindere dall’intervento sociale, dalla lotta alle disuguaglianze. Ce lo ricorda la famosa citazione dell’attivista e politico brasiliano Chico Mendes: «L’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio». Già negli anni Ottanta, Mendes aveva intercettato un ripiegamento apolitico dell’ecologia.
Dal Brasile arriva anche Camila Rosa, l’illustratrice invitata da CHEAP a Bologna, per Ecofemminismo o barbarie, nuovo progetto di poster art per il Festival della Partecipazione, promosso da ActionAid, Cittadinanzattiva e Legambiente. Fino al 23 agosto, il centro storico cittadino sarà popolato da un nuovo set di poster coloratissimi, che non sfuggiranno certo alla vista. Il tema è quello della giustizia climatica e sociale, a partire da un’ottica decoloniale e antispecista che non trascura tuttз lз abitantз del pianeta: umanз, ma anche animali, vegetali, batteri. Questo “salto della comunità” attiva delle sinergie ancora non del tutto esplorate, per una riappropriazione vitale del pianeta, attraverso “alleanze radicali” umane e non umane.
Quelli tra virgolette sono solo alcuni dei claim concepiti da CHEAP, che figurano a chiare lettere sui poster disegnati da Rosa. Si incoraggia così un cambio di paradigma nella relazione tra ambiente e comunità, criticando l’estrattivismo delle risorse del pianeta. Decolonizzare l’attivismo significa favorire una “riappropriazione indigena” dei territori, allargando l’orizzonte della “cura integrale” per renderla pratica post-umana. Questo è il fulcro dell’ecologia radicale, in grado di “generare tumulto” per produrre cambiamento. Abbiamo raccolto alcuni dei poster nella gallery qui sotto.
Camila Rosa è anche una delle protagoniste dell’altro grande lavoro di CHEAP, insieme a moltз altrз artistз: TACI, anzi PARLIAMO: il femminismo è la soluzione. Cinquanta poster inediti scandiscono i 250 mq del muro dell’autostazione di Bologna e resteranno affissi fino alla fine di settembre. Fotografia, illustrazione, grafica vettoriale, street poster pasting e fumetto convivono felicemente nella riappropriazione dello spazio e dell’immaginario, in un progetto collettivo che riscrive la frase di Carla Lonzi in chiave plurale. Abbracciando questa filosofia anche nella progettualità del lavoro, sono tante e diverse anche lз artistз coinvolte: Bruna Alcantara, Camila Rosa, Cartel de Caracas, Coco Guzmán, Diana Ejaita, Giulia Mazza, Mafreshou, Marta Iorio, Muna Mussie e Yele.
I manifesti figurativi si alternano a poster di contenuto testuale, con alcuni estratti di brani di autorз femministз come Angela Davis, bell hooks, Audre Lorde, Leslie Kern e tantз altrз. Lasciamo che sia Sara Manfredi, parte di CHEAP, a raccontarci più dettagli sul progetto, con un’intervista che ha concesso a exibart, per parlare del libro in uscita e non solo.
AS CHEAP AS POSSIBLE è il libro appena uscito che ripercorre gli anni di lavoro del collettivo. Una ricerca d’archivio sugli interventi del passato, accompagnata dalle riflessioni critiche scritte dalla storica dell’arte Fabiola Naldi, dalla direttrice artistica di Short Theatre Piersandra Di Matteo, dalla ricercatrice e performer Ilenia Caleo e dal direttore di “FrizziFrizzi” Simone Sbarbati. La documentazione fotografica restituisce tutte i poster che negli anni hanno animato la città di Bologna, con la partecipazione di artist3 di tutto il mondo. Il filo rosso che tiene insieme i progetti, così diversi tra loro, è la concezione dello spazio urbano come luogo di militanza politica e creativa.
DOMANDA: Perché la scelta di evolvere da Festival della poster art a laboratorio permanente?
SARA MANFREDI: Nel 2018 abbiamo scritto una lettera pubblica per motivare questa decisione. Ora questa dichiarazione apre il nostro libro. Avevamo iniziato nel 2013 come festival, che si è affermato in fretta. In cinque anni, però, era cambiato il panorama intorno a noi: la Street Art ha smesso di essere una “faccenda scomoda”, ed è diventata uno degli strumenti delle amministrazioni locali, inglobata nella retorica del “decoro”. Noi abbiamo sempre vissuto la pratica dell’arte urbana come un’eccedenza eversiva, che ha a che fare con la riappropriazione dello spazio pubblico e dell’immaginario collettivo, ben lontane da questo atteggiamento.
Una lezione importante ce l’ha data l’episodio di Blu nel 2016. Quando un museo ha iniziato a staccare i murales dai palazzi di Bologna per esporli a pagamento, lui ha cancellato i suoi graffiti con una mano di grigio. Quest’azione iconoclasta ci ha ricordato quanto lo spazio urbano andasse difeso da operazioni di sottrazione di bene comune. Ci ha fatto fare i conti con l’idea che non tutto dura per sempre: la temporaneità va vissuta come un valore, non come un problema. Dovevamo prendere una posizione anche noi: la prima sottrazione è stata cancellare il festival, gli appuntamenti fissi di entertainment per la città, e scegliere la strada di lavorare senza annunciarci, decidendo liberamente cosa portare in strada e quando.
Chi c’è dietro CHEAP?
CHEAP è una pratica condivisa. Oltre a lavorare insieme, siamo amiche da 15 anni. Veniamo da percorsi professionali diversi: chi ha una formazione più marcatamente creativa, chi si occupa di curatela, chi di direzione artistica… Quello che abbiamo in comune è la scuola dell’autogestione: abbiamo tutte fatto esperienza all’interno di spazi indipendenti e autogestiti, anche diversi nella composizione politica. È questo che ci ha insegnato a risolvere i problemi, cosa fare quando non ci sono i fondi o mancano i materiali,… A partire da queste premesse abbiamo immaginato CHEAP.
Ognuna di noi impara qualcosa dallo stare insieme, attraverso percorsi decisionali collettivi. Non è semplice, ma ci sembrava l’unica strada praticabile. È la nostra “maschera di scimmia”. Le Guerrilla Girls dicono che tutte possono essere una di loro, e dietro quel nome collettivo c’è una precisa forma di sottrazione dell’individualismo di matrice patriarcale. Sarà per questo che loro, le Guerrilla Girls, ci definiscono “la nostra cellula italiana”…
Come e quanto dura la pianificazione di ogni singolo intervento?
Lavoriamo in maniera molto differenziata da progetto a progetto. Cerchiamo di tenere insieme più dimensioni con temi e modalità diversi.
Spesso i lavori che presentiamo sono inediti, e lavoriamo con artistз che selezioniamo personalmente. Con loro pensiamo ai concept, lavoriamo a distanza oppure li invitiamo in residenza, cercando di cucire le nostre idee sullo spazio che andremo a occupare. Quando fai site-specific non è solo questione di supporto inerte, ci sono delle variabili che devi tenere in considerazione: la storia del luogo, chi vive la città, i conflitti, cosa c’è intorno,… Una complessità che cerchiamo di interpretare, per dare più strumenti possibili alle persone con cui lavoriamo.
Un’altra possibilità è quando portiamo in strada progetti già realizzati, perché ci sembrano particolarmente efficaci. È stato il caso di Testi Manifesti. Abbiamo visto il suo poster “Sta rottura de coglioni di fascisti” online. La frase era un commento di un cittadino contro le barricate di CasaPound per l’arrivo a Rocca Di Papa di cento migranti sbarcati dalla nave della Guardia Costiera dopo giorni di stallo. Volevamo che il manifesto arivasse anche nello spazio pubblico, non solo su piattaforme private. Dopo l’affissione pubblica, le persone hanno iniziato a chiederci come acquistare il manifesto fisico. I proventi sono andati a Mediterranea, per permettere loro di continuare le loro operazioni. Così si chiudeva il cerchio.
Da questa collaborazione lampo, con Testi Manifesti abbiamo continuato a collaborare per il progetto originale Nella notte ci guidano le stelle, che ha richiesto mesi di lavoro. In quella occasione, avevamo anche previsto una componente interattiva: abbiamo chiesto alle persone di condividere con noi i canti popolari legati alla Liberazione, per i festeggiamenti del 25 aprile a Bologna.
E a proposito di “TACI, anzi PARLIAMO: il femminismo è la soluzione”? Come avete lavorato questa volta?
Si tratta di un progetto realizzato con un bando della Regione Emilia Romagna che intendeva promuovere la sensibilizzazione sul tema della violenza di genere. Ci sembrava un’opportunità da cogliere per sostenere una posizione molto chiara: per noi la soluzione al problema è lo sguardo intersezionale del femminismo e le sue pratiche. Abbiamo scelto artistз molto diverse tra loro: c’è un’artista brasiliana che lavora con l’illustrazione e una sua connazionale che preferisce la fotografia e il ricamo; c’è una street artist venezuelana davvero hardcore, un’artista che ha fatto un lavoro sulla memoria trans e tanto altro ancora,…
In parallelo abbiamo chiesto a ricercatrici, economiste, architette, attiviste, scrittrici, docenti e sex worker di entrare in dialogo con questo gruppo di artistз, selezionando testi, citazioni e materiali che sono stati essenziali nella loro formazione femminista. Abbiamo raccolto e tradotto questa documentazione, offrendola alle artistз, che ci hanno lavorato in varia misura: alcunз le hanno considerate suggestioni da cui trarre ispirazione, altrз hanno ripreso pedissequamente il testo. Da qui la presenza sui muri sia di elementi figurativi che testuali, in diretta conversazione.
Il progetto prevede anche una serie di workshop nelle scuole, talk sulla pratica femminista e una serie di podcast in collaborazione con NEU Radio. Siete già entratз in azione? Ce ne parli?
Ci sono state tantissime attività nei mesi scorsi, ben oltre il lavoro affisso sul muro: workshop e incontri su temi come la lotta alla violenza di genere, il rapporto tra razzismo e sessismo, le pratiche decoloniali applicate allo spazio pubblico,… Abbiamo incontrato Lucha y Siesta, il Movimento Identità Trans, Milano Gender Atlas, e altre realtà che potessero supportarci nel sostenere un discorso su un’idea transfemmiista di città. Per settembre stiamo lavorando con NEU Radio, che è una radio indipendente con uno studio al MAMBO. Vorremmo provare a restituire nel formato di podcast alcuni frammenti della conversazione pubblica che in questi mesi ha animato la rassegna di talk e laboratori, mantenendone una traccia.
Parliamo di AS CHEAP AS POSSIBLE. Il libro raccoglie una selezione degli interventi di arte pubblica realizzati tra il 2018 e il 2021. Che bilancio faresti di questi anni?
Fare un libro è diventata un’esigenza. Il nostro lavoro è effimero, la carta si scioglie e non resta più niente. La linea anti-monumentale che abbiamo felicemente sposato richiede la necessità di documentare la nostra attività. Abbiamo ripreso in mano anni di lavoro, selezionando le foto dall’archivio, pensando a come raccontare la nostra storia. Se c’è una cosa che ho potuto osservare a partire da questa prospettiva, è che questo progetto è multiforme, rifugge la staticità.
Una delle cose più belle che hanno detto di noi – in tempi non sospetti – è che siamo come un virus: infestiamo i contesti che attraversiamo, in consonanza con questi, sempre mutando in base alle circostanze. Questa capacità di non marmorizzarsi, di non voler mai ripetere gesti uguali, è coerente con il tipo di pratica che abbiamo coltivato negli anni. È questa l’unica prospettiva che non vorrei abbandonare. Per questo, come diciamo nel libro, non possiamo rispondere alla domanda “cosa succederà a Cheap tra dieci anni”?
C’è un progetto tra i tanti a cui sei particolarmente legata?
Difficile ‘sta roba eh!
Più che al prodotto finale, penso all’esperienza che c’è dietro, dall’ideazione all’affissione collettiva su strada. Mi viene in mente il primo che abbiamo fatto dopo la chiusura del festival, con Miss Me. Un lavoro politico, molto forte, iniziato a distanza con un’artista che risiede in Canada, e che poi abbiamo accolto a Bologna. Per la prima volta portavamo in strada un discorso sul tema della cultura dello stupro, su male gaze e colpevolizzazione della vittima, corpo politico e corpo erotizzato. Già allora abbiamo innescato quei cortocircuiti che negli anni successivi abbiamo messo a valore. Lì è scattata la scintilla.
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