LIBANO: SEDENTARI, CON CORAGGIO

di - 5 Luglio 2009
Sembra essere norma consolidata che i luoghi dell’arte contemporanea s’impossessino di zone urbane dismesse, ammantando di nuove prospettive aree spesso “discriminate”. Il Beirut Art Center non fa eccezione e viene a stabilirsi in quella terra di confine che è la periferia orientale della città, occupando una fabbrica di mobili abbandonata, con una superficie di 1500 metri quadri. Ufficialmente inaugurato a gennaio scorso, il Bac concretizza un sogno a lungo accarezzato (cinque anni di gestazione) dalle sue fondatrici, Sandra Dagher e Lamia Joreige.
Anticipata ai nostri lettori la scorsa estate, col beneficio del dubbio d’obbligo nelle questioni libanesi, l’apertura di questo spazio culturale costituisce un atteso appuntamento: innanzitutto perché si tratta di una première in Libano e di uno dei pochi casi di istituzione “pubblica” in quel Medio Oriente dove predominano l’iniziativa commerciale e il concetto di non profit raramente si applica al panorama dell’arte; ma soprattutto, con riferimento al caso specifico del Paese dei Cedri, il Beirut Art Center rappresenta un primo tentativo di sedentarizzazione dell’esperienza artistica, creando uno spazio fisico entro cui materializzare l’incontro fra operatori, curiosi e appassionati d’arte contemporanea.

Un approccio in controtendenza, lo si potrebbe definire, visto l’attuale orientamento verso una “virtualizzazione” del contenitore dell’espressione creativa. Ma indubbiamente, nel caso di Beirut, una scelta innovativa e coraggiosa. Coraggiosa non tanto per la mancanza di supporto istituzionale all’iniziativa; coraggiosa soprattutto in virtù della scommessa sul futuro, sulla stabilizzazione di uno scenario fra i più tormentati del Medio Oriente.
Sebbene tale martoriamento quotidiano non abbia mai impedito ai resourceful libanesi di creare eventi e d’inventare situazioni culturalmente all’avanguardia, semmai rallentandone i tempi o riducendoli numericamente in ragione di una situazione geopolitica fin troppo tristemente vivida, fino ad ora questi vari tentativi (Ashkal Alwan, Arab Image Foundation, Beirut DC) hanno optato per un nomadismo in gran parte giustificato dalla difficoltà a dare continuità fisica a qualsivoglia iniziativa o impresa.
Per questo motivo, Beirut è stata a più riprese additata come città “post-museale”: gli interventi culturali hanno finora avuto luogo in spazi pubblici, in teatri affittati, in capannoni in disuso occupati per l’occasione. L’esperienza del dislocamento è traumatizzante e induce a percorrere le vie che conducono a un alleggerimento fisico e metaforico.
Il Beirut Art Center potrebbe rappresentare l’antesignano di una nuova linea di approccio alla strutturazione della scena artistica di Beirut, si mormora seguita a breve dall’apertura di uno spazio permanente per l’Associazione Libanese per le Arti Plastiche, diretta da Christine Tohme (tra i consulenti del Guggenheim Abu Dhabi). Proponendosi come un’associazione pubblica – quanto alla ricaduta, ma privata quanto ai finanziamenti – che ambisce a rivestire il ruolo di piattaforma culturale e di catalizzatore per la realizzazione di progetti di arte contemporanea e per l’interazione dei suoi attori e di un pubblico che si percepisce come crescente, il Bac mira fondamentalmente a garantire continuità fisica e progettuale ad artisti libanesi e mediorientali.
La prima idea nacque nel 2004, a seguito di una serrata conversazione fra Sandra Dagher, allora direttrice dell’Espace SD, e Lamia Joreige, artista riconosciuta a livello internazionale e coscienza profondamente critica, in amichevole dissenso circa la qualità della produzione esposta, specie in considerazione delle difficoltà insite nel mantenere in piedi una struttura comunque alquanto propositiva.
Dopo un primo tentativo di “riconvertire” le funzioni della galleria, le due “rosse” hanno optato per la ricerca di un nuovo spazio, facendo in tal modo coincidere il nuovo approccio con la nascita di un luogo fisicamente non confondibile con le aspettative pur moderatamente commerciali della precedente realtà. La formula non si distanzia significativamente da quella già adottata dall’Espace SD, concentrando la programmazione su una serie di mostre (quattro all’anno, come ipotesi iniziale), affiancate da workshop, cicli di proiezioni e dibattiti su temi di rilievo, più o meno pretestualmente/direttamente collegati alle esposizioni in corso. Ma, privilegiando quegli artisti la cui produzione sia più apertamente non commerciale, il Bac si dichiara “uno spazio democratico”, espressamente concepito per l’arte contemporanea. Inoltre garantisce la presenza di una mediateca per la consultazione d’immagini, video e testi di artisti e teorici dell’arte.

Un’idea non certo originale”, confessa Lamia Joreige, “semplicemente indispensabile”. Due aspetti stanno particolarmente a cuore alle direttrici: il coinvolgimento della società, che si è cercato e si cerca di sensibilizzare tramite uno schema di sostegno finanziario alla Fondazione, ma anche attraverso un programma di avvicinamento all’arte, che potrebbe presto tradursi in un vero e proprio dipartimento educativo; e quello della pluralità degli approcci curatoriali, conferendo l’onore/onere della curatela ad una molteplicità di esperti, senza assegnare il compito esclusivamente a un esponente della casa. Una carta vincente, si direbbe, che si attendeva soltanto qualcuno estraesse dal mazzo delle possibilità.

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*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 57. Te l’eri perso? Abbonati!


dal 16 giugno al 14 luglio
The Road to Peace. Paintings in Times of War, 1975-1991
a cura di Saleh Barakat
Beirut Art Center
Jisr El Wati – Off Corniche an Nahr – Building 13, Street 97, Zone 66 Adlieh – Beirut
Orario: da lunedì a sabato ore 12-20
Ingresso libero
Info: tel. +961 1397018; info@beirutartcenter.org; www.beirutartcenter.org

[exibart]

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