«L’interesse per le pratiche femminili è, per me, una lente di osservazione che permette di contestualizzare un approccio comune alle voci presenti nel progetto». Così Daria Filardo, curatrice del catalogo “Life and herstories (autobiografia come dialogo)” (Gli Ori, pg 96, 20 €), racconta la genesi dell’interessante progetto espositivo che si è svolto alla villa Romana di Firenze nel 2021, incentrato su un ciclo di due mostre – unite ad azioni e incontri – legate a una metodologia curatoriale costruita sull’approccio autobiografico come pratica femminile di ascolto e dialogo tra discipline diverse.
Un processo dove la mostra diventa il punto di partenza di un itinerario esperienziale, in grado di sviluppare una narrazione di carattere domestico e antieroico. Il libro si apre con la documentazione fotografica delle due bipersonali che si sono susseguite negli ambienti della Villa Romana: Chiara Camoni e Stefania Galegati (25 settembre – 25 ottobre) e Hellen Hammock con la coppia Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini (11 novembre – 17 dicembre) del 2021.
La prima mostra è stata inaugurata da un evento collettivo, che ha visto il coinvolgimento non solo delle artiste e della curatrice ma anche di Arabella Natalini, Sandra Burchi, Elena Magini e Cecilia Canziani. Tutte insieme hanno preparato 1000 cappelletti, in una sorta di antico rito matriarcale collettivo, che sono stati cotti la sera prima dell’inaugurazione della mostra e mangiati in una serie di piatti in ceramica realizzati da Chiara Camoni: un’azione rituale giocata sulla sovrapposizione tra vita e pratica artistica.
Nella prima sala erano esposti i piatti di Camoni insieme all’opera Una tenda#3 (2020), composta da una serie di sete stampate con impronte di fiori e piante del giardino di Villa Romana. La stanza di Stefania Galegati era allestita con una serie di opere pittoriche che rappresentavano l’isola delle Femmine, un isolotto disabitato al largo di Palermo, dipinte mentre l’artista leggeva “Il Secondo Sesso”, testo fondamentale del pensiero femminista di Simone de Beauvoir.
La seconda mostra era giocata su un’idea di storytelling affidata ai video, attraverso un dialogo tra The Wall Between Us (2021) e Generalmente le buone famiglie sono peggiori delle altre (2010) di Mocellin/Pellegrini e Changing Room (2014) e There is a hole in the sky (part one) (2016) di Hammock. Narrazioni personali che, nel loro svolgersi, mettevano in crisi la storia ufficiale, inserendo elementi autobiografici legati a vicende familiari complesse, per affrontare questioni legate all’identità , al razzismo, all’adozione e alla diseguaglianza.
«Le vicende familiari e sociali raccontate offrono la possibilità di una nuova riflessione sulle tensioni del tempo presente e sulle sue radici nel tempo passato», sottolinea Filardo nel testo curatoriale. Puntuali e interessanti anche le due conversazioni con le artiste coinvolte nelle mostre, seguite da un testo della scrittrice Sandra Burchi, legato al rapporto tra arte, filosofia e femminismo.
Il volume si conclude con una conversazione tra Daria Filardo e la scrittrice Rachel Cusk, autrice del saggio autobiografico “A life’s work” (2002), che analizza il rapporto tra femminismo e maternità . Una degna conclusione di un catalogo-libro che approfondisce in maniera puntuale una modalità di lavoro originale, in grado di trasformare una mostra in un’esperienza condivisa, importante sia a livello intellettuale che umano.
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