Via Margutta a Roma, qualche sera fa, sembrava essere tornata quella dei ’50 – ’60, quando la sua fama raggiunse l’apice grazie al film “Vacanze romane”, o degli anni seguenti, quando vi andarono ad abitare Federico Fellini e Giulietta Masina, Anna Magnani, Gianni Rodari e pittori come Giorgio De Chirico e Renato Guttuso. Una folla di giovani – e non solo – infatti riempiva tutta la via all’altezza del numero civico 41, sede della Galleria La Nuvola. Si inaugurava la mostra “L’impresa e l’Opera” con gli artisti di Ombrelloni Art Space e con la cura di Alice Falsaperla.
Cinque giovani artisti: Alessandro Calizza, Krizia Galfo, Greg Jager, Cristallo Odescalchi e Matteo Peretti che lavorano insieme negli spazi della ex fabbrica di ombrelloni da cui ha preso il nome il collettivo artistico. Nel quartiere San Lorenzo a Roma nei laboratori dove venivano realizzati grandi ombrelloni da esterno, questi giovani artisti hanno organizzato i loro studi. È un luogo molto interessante che merita una visita. Anche se non invitati, andate a via dei Lucani 18, dove c’è ancora l’insegna “Ombrelloni”. Questo gruppo di artisti ha già al suo attivo una serie di partecipazioni come recentemente quella alla GAM – Galleria d’Arte Moderna e allo Spazio Struttura a Palazzo Odescalchi, entrambi a Roma, e sono presenti nel progetto editoriale “Vera”, della editrice Quodlibet.
La mostra, patrocinata dal Comune di Roma, segue il concept proposto dalla curatrice, immaginato come un’astrazione aderente alla pellicola-capolavoro di Werner Herzog, Fitzcarraldo (1982). Fitzcarraldo, il folle lucido che piega gli eventi all’ambizione di portare il Teatro dell’Opera nella Foresta Amazzonica, fino a valicare un’altura con una nave e, mentre sta per riuscire nell’impresa, sull’orlo di una vita nuova, inizia a naufragare.
«La mostra, realizzata a seguito di ricerche svolte dalla curatrice sulle produzioni artistiche degli autori, segue un filo conduttore comune rispetto al film di Herzog. Ne sono nate 12 opere ispirate da questo tema, esposte in mostra e create dagli artisti per l’occasione su differenti supporti, tecniche e dimensioni, su carte, tele, sculture e installazioni visive e sonore».
Con L’impresa, Cristallo Odescalchi (Roma, 1981) presenta, in posizione centrale sul fondo della galleria, un grande pannello di legno con un intaglio che vuole focalizzare il momento in cui il tallone che sta per calcare per la prima volta un terreno mai esplorato. Sui lati, come quinte teatrali, due immagini in bianco e nero volte a rappresentare il fiume e la foresta.
Alessandro Calizza (Roma, 1983) espone La Vanitas, una scultura in resina rappresentante la gamba del “David” di Michelangelo da cui fuoriesce una sostanza grigia, “petrida e indefinita”. È una rovina con il suo valore costruttivo, non una maceria (Marc Augé). Accanto alla scultura sulla parete, l’immagine di un teschio, quello di Mozart, contenitore di fiori realizzati con un effetto ottico che richiama il bassorilievo.
Greg Jager (Praia a Mare, 1982) parte dal mito di Sisifo, che testimonia avendo portato personalmente da San Lorenzo a via Margutta in galleria, quattro sacchi di cemento pietrificato. Questi sacchi poi impilati e legati con una cintura gialla fluorescente rimandano alla materialità dell’impresa. Accanto una gigantografia volutamente sfocata di vegetazione intricata, a contrasto, è sorretta alla parete da un tubo metallico.
L’Illusione, opera di Krizia Galfo (Ragusa, 1987), è composta da due tele rotonde dipinte a olio con grande realismo, come due oblò di una nave che permettono di creare l’illusione dal dentro e dal fuori contemporaneamente. In una tela il volto di una ragazza di tre quarti che sta per girarsi, nell’altro una figura raggomilitata. Il blu di fondo è il mare o una parete. Mettendosi di fronte alle opere in scala 1a1 l’osservatore crea con loro quasi un rapporto personale.
Matteo Peretti (Roma, 1975), con Il confine onirico, divide orizzontalmente la galleria in due parti. L’installazione, una striscia verde sonora, è formata da un sottile tappeto d’erba vera piantata su cinque centimetri di terra. L’opera se calpestata, un cartello invita a farlo, innesca un suono che muta ad ogni passo, creato dal compositore Alessandro Angiolillo. Un’opera che vive interagendo col visitatore che l’ascolta e la consuma.
Il 4 maggio prossimo, alla vigilia della chiusura della mostra, avrà luogo in Galleria un incontro condotto da Alice Falsaperla, con Giusy Emiliano della Land and Water Division della FAO, lo storico dell’arte Matteo Giuseppone e con gli artisti di “Ombrelloni”, per fare luce sul legame tra le opere esposte e le tematiche della mostra. Nell’occasione verrà presentata la brochure dedicata alla collettiva, con testo introduttivo del poeta Elio Pecora.
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