«Dal profondo di un bosco e con il rumore delle cascate delle Marmore come sottofondo affermo di avere un solo scopo nella vita che intendo perseguire con costanza: fare paesaggi». Sono sufficienti queste poche parole, scritte nel 1826 da Jean Baptiste Camille Corot, per spiegare non soltanto il fascino suscitato dal paesaggio della Valnerina ternana sull’animo nobile di un artista di così alto livello, ma anche il ruolo che questo territorio ha avuto nella storia dell’arte europea e in quella della pittura en plein air. Non è un caso, infatti, se uno dei più grandi artisti di tutti i tempi qual è stato Corot, celebre paesaggista e precursore dell’Impressionismo, ha dedicato più di un quadro a questi panorami. Affermando chiaramente la sua volontà di dedicarsi al genere di pittura di paesaggio proprio mentre era ospite nella Villa dei conti Graziani a Papigno, borgo di origine medioevale immerso nella valle di Terni e Narni tra il luglio e il settembre del 1826, durante il suo primo viaggio in Italia. Ed è proprio dallo studio di questo passaggio storico così importante e destinato a riscrivere parzialmente la storia della pittura en plein air che nasce il “Percorso Corot Papigno”, realizzato dall’Associazione locale Il Castello di Papigno allo scopo di riportare alla consapevolezza e conoscenza l’importanza di questi luoghi.
Un progetto (patrocinato anche dal Consolato Onorario della Repubblica Francese in Umbria) che vuole anche rigenerare un borgo e un territorio meravigliosi, meta di pittori di origine europea tra 1700 e 1800, che hanno subito in più di 70 anni del 1900 un forte inquinamento ad opera di una fabbrica di calciocianammide e poi successivamente uno stato di abbandono. Provando a riportare alla luce l’antico splendore celebrato e immortalato tanti anni fa da un pennello sublime come quello di Corot. Riproponendo (ed esaltando) quel percorso meraviglioso che il pittore francese seppe ritrarre in tutto il suo splendore: da Papigno alle circostanti località, passando dalla Cascata delle Marmore, il lago di Piediluco, i fiumi Nera e il Velino e fino alle rovine del Ponte di Augusto a Narni. Tutti scorci che possiamo ancora ammirare nelle sue tele, esposte nei più importanti musei del mondo (dal Louvre di Parigi al Moma di New York, al Museo Nazionale canadese di Ottawa e altri) e in collezioni d’arte internazionali, per un totale di 8 dipinti realizzati in loco e 3 disegni.
Il Percorso Corot Papigno si inserisce all’interno del progetto “I Plenaristi nella valle del Nera” e contribuisce ad ampliare il già esistente Museo Diffuso dei Plenaristi. Si tratta di due percorsi ad anello da percorrere a piedi. Uno più breve all’interno del paese con percorrenza di circa 30 minuti e uno più esteso nel territorio circostante il borgo con percorrenza di circa 50 minuti che sono coincidenti in un punto e che permettono di scoprire e vedere le riproduzioni delle opere di Corot ritrovando in alcuni punti il luogo preciso dove vennero realizzate dal pittore, di conoscere aneddoti e informazioni sulla vita del grande maestro e di confrontare in alcuni punti i dipinti di altri pittori coevi. Circa 50 cartelli illustrativi sono localizzati lungo i percorsi.
Ma non finisce qui. A settembre, infatti, il progetto verrà ulteriormente sviluppato con la nascita a Narni di un centro di informazione sul tema dell’en plein air e sul ruolo del territorio locale nella storia della pittura in Italia e in Europa. Visto che il nostro paese è stato il primo a far uscire gli artisti dagli atelier lasciandoli ammaliare dalla luce naturale e dal paesaggio, molto tempo prima della rivoluzione degli impressionisti.
«Molto prima dell’impressionismo e al di là del Grand Tour, c’erano pittori che venivano dalla scuola e si lasciavano impressionare dalla natura, dal paesaggio e si cimentavano nella pittura all’aria aperta», spiega Franco Passalacqua, pittore e cultore del paesaggio naturale e tra i volontari che hanno portato avanti la ricerca sull’arte e il territorio. «Si tratta di un lavoro di ricerca quello che stiamo facendo a Papigno, ma è anche un’operazione artistica in quanto tanti anni prima dell’invenzione della fotografia queste opere ci permettono di avere una immagine autentica del pianeta e del territorio com’era prima», sottolinea, evidenziando il valore della ricerca, che ha portato anche alla creazione di un archivio specifico e tutt’altro che banale, che conta oggi circa mille che hanno dipinto la valle ternana, di cui si trova traccia all’interno del Museo dei plenaristi e sul sito dedicato, che conta già più di 170mila contatti l’anno. Segno evidente che l’operazione sta dando i suoi frutti. E potrebbe darne anche altri, volendo proporre anche un percorso culturale e turistico che permetterebbe ai (tantissimi) visitatori della cascata di rimanere sul territorio, in sostituzione del turismo “mordi e fuggi” che ha sempre caratterizzato le visite sul posto.
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