CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia di Torino celebra il settantesimo anniversario della nascita di una delle storiche agenzie fotografiche più note nel panorama mondiale – e partner istituzionale dello stesso Centro – la Magnum Photos. Curata dal neodirettore Walter Guadagnini con la collaborazione di Arianna Visani, “L’Italia di Magnum. Da Henri Cartier-Bresson a Paolo Pellegrin” ancora per pochi giorni in scena a Torino, si inserisce in un circuito di iniziative promosse dal Museo del Violino di Cremona e dalla Camera di Commercio e dal Museo di Santa Giulia di Brescia; una vera e propria rete museale che rende un omaggio corale a un momento topico della storia del fotoreportage con la creazione, nel 1947, di un progetto avviato da un gruppo di fotografi del calibro di Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, George Rodger, David Seymour e William Vandivert.
L’Italia si racconta quindi con Magnum, attraverso un semplice percorso cronologico – suddiviso per decenni – durante il quale oltre duecento immagini, realizzate da venti autori membri dell’agenzia, documentano momenti salienti della storia degli ultimi settant’anni della penisola, a partire dalla rinascita nel secondo dopoguerra, e riflettono con occhio sociologico sugli episodi di cronaca e di costume consegnando, alla fine, l’immagine tratteggiata dell’identità di una Nazione.
Una mostra che offre, quindi, diverse chiavi di lettura con immagini che, tra le diverse storie proposte – quella del fotogiornalismo e della ripresa italiana – ne sottendono un’altra che rivela il costituirsi della filosofia di fondo di un’agenzia, del senso etico, della tutela autoriale e di un particolare modo di osservare il mondo. E sono proprio le poetiche degli autori che contribuiscono a creare l’identità della Magnum Photos. Una storia per capitoli di cui ciascuna sala offre un saggio, attraverso la restituzione di eventi raccontati dall’obiettivo fotografico dei fotoreporter.
Il prologo della mostra è affidato a Henri Cartier-Bresson con una serie di fotogrammi, dalle atmosfere stranianti e con accenti surreali, realizzati durante un viaggio in Italia negli anni Trenta. Robert Capa e David Seymour introducono al periodo postbellico dell’Italia, il primo con un reportage di impatto che documenta il Paese ridotto in macerie; immagini iconiche, quasi still life degli effetti della distruzione fisica e morale; il secondo documenta, invece, la speranza di ripresa psicologica dell’Italia qualche anno dopo, nel segno dell’arte e della bellezza con una serie di scatti che osservano e ritraggono le espressioni di stupore dei turisti in visita alla Cappella Sistina. L’immagine dell’Italia negli anni Cinquanta è affidata ai fotografi che si sono aggiunti in secondo momento all’agenzia Magnum. Gli scatti di Elliot Erwitt raccontano Roma antica e moderna, la cui convivenza è restituita ironicamente da un’immagine che ritrae una Fiat Topolino apparentemente sovrastata da un antico busto di epoca romana, da René Burri, che documenta la storica mostra di Picasso a Milano nel 1953, e da Herbert List, per il quale Roma è anche la città del cinema e degli studi di Cinecittà. Momenti sportivi esaltanti come l’incontro di Muhammed Alì per l’oro alle Olimpiadi del 1960 è restituito dal reportage di Thomas Hoepker mentre Erich Lessing riporta l’attenzione sui rituali sociali degli italiani, in particolare sulle vacanze in villeggiatura come effetto del benessere economico e di un cambiamento collettivo, mentre fanno da contraltare i toni delle immagini dei cortei popolari durante il funerale di Togliatti scattate da Bruno Barbey.
Diversi sono i temi ripresi dai fotografi tra episodi bui e periodi positivi. Ma l’Italia di Magnum non è solamente lo sguardo attento, attuale ed eloquente dei suoi fotografi che documentano significativamente i mutamenti del tessuto socio-culturale, come lo storico referendum sul divorzio del 1974 nel reportage di Leonard Freed e le condizioni aberranti nei manicomi denunciate dalla serie di immagini realizzata da Raymond Depardon al momento dell’approvazione della Legge Basaglia.
È anche una riflessione sull’evoluzione del linguaggio fotografico, e sul nostro rapporto con le immagini nel tempo. Le fotografie a colori realizzate da Ferdinando Scianna esprimono il senso del potere mediatico dell’immagini che diventano icone contemporanee nella serie che negli anni Ottanta ritrae Silvio Berlusconi all’apice del successo negli studi televisivi di Milano, mentre la ricerca di Martin Parr riflette ironicamente sugli stereotipi che caratterizzano la fotografia e la sua pratica ossessiva da parte del turismo di massa esprimendo una lucida considerazione sul significato e sul valore in parte assunto nel tempo dall’uso della fotografia; immagini che sembrano preannunciare il fenomeno contemporaneo dei selfie.
L’ultimo capitolo dedicato agli anni Novanta e Duemila è dedicato alla contemporaneità, ad una riflessione sul fotogiornalismo e sul suo modo di comunicare tra temi mondani – le discoteche romagnole raccontate dal wallpaper di Alex Majoli, e i backstage e le sfilate di moda di Paolo Pellegrin – ed episodi tragici della cronaca italiana come i disordini durante il G8 di Genova nel 2001 documentati da Thomas Dworzak, e l’attualissimo dramma degli sbarchi dei migranti ancora negli scatti di Pellegrin, tra gli ultimi fotografi ad essere divenuti membri effettivi della Magnum Photos.
La mostra “I am nothing” di Valerio Spada, curata da Francesco Zanot e allestita nella project room di CAMERA, sembra ricollegarsi a questo grande affresco dell’Italia tracciato dai reporter di Magnum con un lavoro- presentato in anteprima- che approfondisce un oscuro capitolo della cronaca storia nazionale.
Con una serie di scatti Valerio Spada restituisce con grande forza tutto il portato del fenomeno della mafia siciliana, attraverso soggetti disparati che dialogano tra loro, densi di rimandi restituisce immagini di impatto che esprimono i segni profondi impressi dalla criminalità organizzata nel tessuto socio-culturale.
La narrazione di Valerio Spada non è mai scontata e transita dall’intensità del ritratto di una bambina di Bagheria, alle immagini enigmatiche del paesaggio lunare dell’isola di Vulcano, fino alla documentazione degli effetti di un attentato di matrice mafiosa su un dipinto caravaggesco. Emerge così in modo disarmante il senso di radicamento e diffusione di un fenomeno invisibile, che le immagini dei processi e le fotografie – della Bibbia di Provenzano per esempio – in qualche modo, accennano a svelare.
Manuela Santoro