Rileggere l’antico, pervadere l’esistente: il gesto della poesia accompagna il lettore alla scoperta di mondi sotterranei, misteriosi, in cui anela un certo spirito di redenzione, di scoperta. La poesia non è morta, non può né deve morire. È un’operazione necessaria, per restituire valore e misura al peso infinito dell’esistenza. Dopotutto, come diceva Paul Celan, la poesia «Può essere un messaggio nella bottiglia, lanciato nella fiducia, certo non sorretta da ferma speranza, che la corrente la spinga comunque in qualche luogo, ad una terra; terra del cuore forse».
Il regista e attore Abel Ferrara, noto per film come Kings of New York (1990) con Christopher Walken o Pasolini (2014) con Willem Defoe, il 24 gennaio 2024 ha celebrato la poesia di Gabriele Tinti con una lettura di alcuni estratti di Laments, una serie di poesie ispirate alla Pietà Rondanini di Michelangelo pubblicate in Confessions (edito da Eris Press, Londra/New York, 2023).
L’evento, ospitato dall’omonimo museo presso gli spazi del Castello Sforzesco di Milano e promosso dal Castello Sforzesco stesso con il supporto di Azimut Capital Management e la partnership del Bulgari Hotel di Milano, è stato Introdotto da Francesca Tasso, direttrice del complesso museale, e da Tommaso Sacchi, assessore alla Cultura del Comune di Milano. La video-performance sarà resa pubblica a partire dal 18 febbraio 2024, ricorrenza della morte di Michelangelo, sui canali istituzionali e social del Castello Sforzesco.
Gabriele Tinti, poeta, scrittore e critico d’arte, ha pubblicato Last Words (Skira, 2015) in collaborazione con Andres Serrano, in cui ha raccolto le ultime parole di persone comuni che hanno scelto di suicidarsi. Per la Nave di Teseo, ha pubblicato nel 2022 Sanguinamenti – Incipit Tragoedia, una raccolta di epigrammi che indaga la sofferenza nelle tracce di un passato misterioso: le rovine di una terra desolata infestata dalle presenze di chi vi ha vissuto. Le sue poesie sono state lette e interpretate da attori come Kevin Spacey, Willem Defoe, Malcolm Mc Dowell e Michele Placido.
In Laments rivive il tormento di Michelangelo celebrando la Pietà Rondanini in tutta la sua grandezza. Se il gesto dell’artista rinascimentale consiste nell’aspirare all’estrazione dell’afflato vitale dalla dura pietra, l’ultimo sforzo della sua esistenza resta incompiuto in un’impossibile risoluzione. Michelangelo non arriva alla catarsi di un dolore incommensurabile: “La pietra pesa, / il tempo rode, / le ossa crepitano/ nel dolore”.
Il poeta ripercorre la dimensione di profondo travaglio, fisico e spirituale, dell’immenso scultore che, sorpreso dalla morte all’età di 89 anni nel 1564, stava ancora lavorando alla ricerca di una completezza irraggiungibile, forse ineffabile. Si fa aedo del tormento e della sofferenza – una dimensione intima, inviolabile, in attesa di un disvelamento – mentre la scultura, che “dalle crepe/ della terra/ si alza/ piena di grazia”, ritrova il suo spazio “nel vento, / nel grembo/ del tempo”.
L’opera ambisce ad una nuova forma di vita – simboleggiata da un “respiro di pietra” – e dialoga con il poeta all’interno degli spazi del Museo della Pietà Rondanini: vivono la medesima sofferenza. In qualche modo, rimanda alla Prima Elegia delle Elegie Duinesi, in cui Rainer Maria Rilke, dopo aver riflettuto circa la precarietà del mondo e dell’esistenza, cerca in ogni modo di salvarlo invocando all’azione: “getta dalle tue braccia il vuoto/ fin dentro gli spazi che respiriamo” (BUR, 1994). Tinti sembra chiedere alla scultura di fare lo stesso: “saremo il sorgere/ dell’aurora”, una nuova prospettiva in cui l’opera si apre all’infinito del nostro presente, simbolo di una tragedia universale.
In questa intensità drammatica, la poetica di Abel Ferrara appare in perfetta sinergia. L’artista, che affronta storie di redenzione, di catarsi, di travaglio e sofferenza, riesce perfettamente nel rendere vivo e presente, con una certa violenza emotiva, la rilettura di Tinti circa il gesto di Michelangelo. Nella rappresentazione, la Vergine è scolpita nel tentativo di trattenere il figlio morente tra le sue braccia e come le esili figure della Pietà appaiono fuse l’una nell’altra, indistinguibili senza alcun confine formale, un sodalizio inscindibile lega il cineasta e il poeta. Entrambi indagano profondamente il mezzo espressivo che hanno scelto compiendo un gesto di ibridazione radicale: la poesia entra nella performance, che si lega al lento e perpetuo fluire del tempo attraverso il video.
La scultura, nel gesto del compianto, appare a Ferrara e Tinti come un monito per uno dei più antichi interrogativi: quale sarà l’esito di tutti i nostri sforzi, alla fine della nostra vita? Esiste una vita dopo la morte? Nella sua introduzione, il poeta ha sottolineato come per Michelangelo la massima ambizione fosse l’eternità, non solo attraverso la propria opera, ma anche nella speranza della redenzione eterna. La poesia celebra questo tormento assoluto, altrettanto irrisolvibile quanto la scultura stessa. Tuttavia, la chiave di lettura di Gabriele Tinti è estremamente chiara: rimarremo “come le nuvole, / nient’altro che lacrime”.
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