Louise nera, bianca e d’oro

di - 2 Maggio 2013

È puntando sull’arte femminile a stelle e strisce che la Fondazione Roma Museo inaugura la stagione primaverile 2013, presentando al pubblico una completa, approfondita ed esauriente rassegna dell’opera artistica di Leah Berliawsky, meglio nota come Louise Nevelson (Pereyaslav, 1899 – New York, 1988). Eccentrica, volubile, anticonformista e femminista convinta, la Nevelson ha rappresentato una delle maggiori personalità artistiche del XX secolo per il suo notevole contributo alle arti plastiche che l’ha resa un punto di riferimento per le successive generazioni di artisti. Di origini russe, nel 1905 migra negli Stati Uniti con la sua famiglia stabilendosi definitivamente a New York a partire dagli anni Venti, dopo aver contratto matrimonio con Charles Nevelson.
Viaggia a lungo ed entra in contatto con filosofie artistiche quali Cubismo, Dadaismo e Surrealismo, le cui teorie rielaborerà mescolandovi l’interesse per le culture primitive e il loro totemismo. Ne risultano opere derivanti dall’assemblaggio di pezzi di legno trovati e/o reperti di mobilio industriale, organizzate in strutture scatolari secondo bilanciati rapporti di pieno e vuoto, la cui forma finale non è dettata da calcolo e razionalità bensì da puro istinto creativo. Sebbene la Nevelson non abbia aderito a nessun gruppo artistico, la sua poetica è molto vicina a quella dell’Espressionismo Astratto, in particolare ad artisti quali Jackson Pollock, ma soprattutto lo scultore David Smith.
Vista con diffidenza tra gli anni Venti e Trenta, il suo successo cresce dagli anni Cinquanta, diventando un personaggio noto, amato e seguito dal pubblico soprattutto per la sua estrosità. Un consenso che l’accompagna fino alla morte, avvenuta nella sua amatissima New York. Dagli assemblaggi ai collage, dai disegni alla grafica alle stampe, dal legno all’alluminio, dal plexiglass all’acciaio, questa retrospettiva ricalca in modo approfondito le tappe della vita, l’evoluzione e la maturazione dell’artista, procedendo secondo temi cromatici. «Quando mi sono innamorata del nero, conteneva tutti i colori. Non era una negazione del colore, al contrario, era un’accettazione. Perchè il nero comprende tutti i colori. È il colore più aristocratico di tutti. L’unico colore aristocratico. Per me è il massimo» è la citazione dell’artista che introduce alle prime sale dove le numerose sculture, completamente dipinte di nero, vivono e risentono dell’ambiente circostante. Si procede poi verso la fine degli anni Cinquanta dove la Nevelson inizia a utilizzare il monocromo bianco per le grandi installazioni allestite in luoghi sacri o celebrazioni solenni, giungendo infine alle ultime sale dedicate al color oro, utilizzato dai primi anni Settanta. Colore che dona alle opere luminosità e forza metafisica, rendendo l’oggetto più aulico, rifacendosi alle antiche icone russe, al rito ebraico e ai ricordi dell’infanzia.

Attraverso oltre 70 opere provenienti da ambienti museali e collezioni private, il curatore Bruno Corà ha ricreato un percorso ricco, omogeneo ed esaustivo, che guida il visitatore verso la scoperta di questa eclettica e straordinaria artista, mentre un completo ciclo di conferenze, visite a tema e laboratori per famiglie aiutano ad approfondirne la mentalità e il pensiero artistico. È riportando l’attenzione alla grande arte statunitense, di cui negli anni è sempre stata fervente promotrice, che la Fondazione Roma – Arte Musei ricalca la sua notevole attività di diffusione e divulgazione della cultura nella capitale.

Nata a Roma nel 1989 studia Storia dell'Arte presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza, oltre ad approfondire le dinamiche e il funzionamento del mercato artistico contemporaneo. Ha svolto tirocini presso la casa d'aste Dorotheum in materia di ricerca bibliografica e recupero di materiale per l'attribuzione di opere d'arte, lavorando contestualmente all'accoglienza del MAXXI - Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo. Dal 2013 scrive per Exibart, a cui seguono altre collaborazioni con riviste di settore.

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