MA CERTO CHE INVITERÒ CATTELAN E BEECROFT

di - 24 Febbraio 2011
Si inizia al Ministero degli Esteri, in ascensore, si
prosegue in macchina, poi nel dietro-le-quinte de La vita in diretta, poi ancora nell’anticamera del direttore generale
della Rai Masi. Un’intervista a Vittorio Sgarbi è sempre un puzzle da
ricomporre, un’avventura spezzata da telefonate, incontri, saluti, infuocate
comparsate radiofoniche. Alla Farnesina si vagliano – con una commissione
polimorfa e mutante – gli artisti proposti dagli addetti culturali, per le
mostre negli 89 Istituti Italiani di Cultura nel mondo che saranno parte
integrante del Padiglione Italia alla Biennale.
È agevole quindi entrare subito nel discorso…

Biennale di
Venezia: la direttrice Curiger ha fatto la “Sgarbi”, citando Tintoretto come
guida ideale della sua linea…

Ha detto le stesse cose che io ho detto rispetto a
Mantegna, ovvero che al Padiglione Italia avrei messo soltanto il Cristo Morto. Questo da un lato mi fa
piacere, perché citare Tintoretto in quel contesto è un’evidente condivisione
delle mie idee; dall’altro mi irrita, perché mi sento plagiato. Ma io farò di
più: quando mi fu offerta – assieme ad altre opzioni – la Soprintendenza dei
musei veneziani, io accettai anche per avere a disposizione, nell’anno in cui
lavoro alla Biennale, gli spazi dei musei di arte antica, e quindi stabilire
un’unità di visione. Quando affermo che tutta l’arte è contemporanea, lo faccio
con delle basi solide: fin dal 1983 proposi per primo il collegamento proprio
fra il Cristo Morto di Mantegna e la
famosa foto di Che Guevara. Ecco, alla Biennale porterò comunque delle ricerche
intorno al Cristo Morto

Quindi su questi
temi siete in sintonia, irritazioni a parte…

Sì, ora è avvenuto l’imprevedibile: essendo io il
soprintendente, lei deve chiedere il permesso a me – e già ho avuto incontri
con il presidente Baratta su questo – per lo spostamento delle opere di
Tintoretto, due provenienti dalle Gallerie dell’Accademia, la terza nella
chiesa di San Giorgio Maggiore, una tela talmente grande che per spostarla
bisogna immaginare di togliere il portone. Nei prossimi giorni valuterò le
richieste e credo che darò un parere favorevole, magari con proposte
alternative. Comunque è certamente interessante che ci sia questa comunanza di
intenti – senza mai esserci parlati! – sull’idea di esporre arte storica alla
Biennale. Tintoretto peraltro avrà un secondo momento di attualità, perché alla
Scuola Grande di San Rocco ho deciso di esporre cinque Pollock, in collegamento
proprio con i teleri di Tintoretto.

Prima di entrare
nei dettagli, qual è l’idea di base del tuo progetto?

Sarà una Biennale molto articolata, l’idea di dover
parlare di Italia in coincidenza del suo 150mo compleanno mi ha spinto a
muovermi in molte direzioni. In linea di massima, nel Padiglione Italia
andranno gli autori segnalati dagli intellettuali e uomini di pensiero che ho
scelto in quanto rappresentativi del mondo del cinema, del teatro, della
letteratura, dell’economia; credo sia interessante e innovativo conoscere il
loro punto di vista sull’arte. È un tentativo di risarcire il rapporto che
c’era un tempo fra Moravia e i pittori, fra Sciascia e i pittori, fra Testori e
i pittori, fra Pasolini e i pittori.

Padiglione Italia:
nelle ultime edizioni è stato un transfert continuo, sia fisicamente – con una
sede ballerina e sempre in evoluzione – sia come linea critica…

Quello che non ha ottenuto Bondi, nonostante le mie
pressioni, è di ristabilire la sede italiana nell’attuale Palazzo delle
Esposizioni. Anche per questo mi sono mosso alla ricerca di nuovi spazi a
Venezia: fra questi, quelli bellissimi dell’Accademia, che verrà riaperta in
coincidenza con la Biennale, con mostre importanti come quella della collezione
di Elton John e una di David Hockney. Il Padiglione Italia all’Arsenale,
comunque, aumenterà gli spazi espositivi fino a 3.800 mq, ovvero quasi quanto
il Palazzo delle Esposizioni, che ne ha 4.500.

Molti nomi sono già
circolati, ma sembravano lanciati in funzione paradossale. Puoi farci qualche
nome concreto? Saranno tanti artisti? Come verranno ordinati?

Ci saranno quasi tutti, nelle scelte dei 150
intellettuali, nomi che già so che condividerò, per cui non dovrò formulare
direttamente tanti degli inviti. Ci saranno per esempio dei disegni inediti di
Enzo Cucchi, esposti in una sede speciale. Inviterò anche Maurizio Cattelan, e
Vanessa Beecroft, che ho molto apprezzato nel suo intervento alla recente
Biennale di Carrara. Sto pensando allo spazio dove collocarli. Altri nomi sono
già circolati, da Cesare Inzerillo a Lino Frongia, Filippo Martinez, Luigi
Serafini. Poi delle retrospettive per artisti ormai storici anche se da
rivalutare, come Federico Bonaldi o Luigi Caccia Dominioni. Ma l’articolazione
della presenza italiana, come dicevo, sarà strutturata su tanti altri momenti
espositivi: ci saranno come noto le mostre allestite in tutti i capoluoghi
regionali, e tanti artisti troveranno lì la loro collocazione. E poi le mostre
negli 89 Istituti Italiani di Cultura all’estero: e qui i nomi stanno uscendo
in questi giorni, segnalati direttamente dagli addetti culturali. Posso citare
New York, dove avremo nomi noti come Luisa Rabbia, Andrea Galvani, Francesco
Simeti, Andrea Mastrovito, il grande Gaetano Pesce; o San Francisco, dove sono
usciti fuori Eva e Franco Mattes, gli 01.org…

È piaciuta molto
questa idea di coinvolgere 27 città in Italia e gli 89 Istituti Italiani di
Cultura all’estero. Pensi di avere struttura e risorse per gestire un progetto
tanto ampio?

Certamente: abbiamo un milione di euro dal Ministero
degli Esteri, per le mostre delocalizzate, e poi tutte le Regioni che
contribuiscono per le mostre allestite nei capoluoghi. Il Padiglione Italia si
muove già con delle sponsorizzazioni, fra cui quella di Emmanuele Emanuele
della Fondazione Roma, che partecipa al progetto globale. Del resto, con un
marchio forte come la Biennale, non abbiamo difficoltà a trovare
sponsorizzazioni anche locali… Quanto a risorse umane, mi sto circondando di
preziosi consulenti.


Altri padiglioni
nazionali hanno invitato registi, uomini di teatro, musicisti. Cosa pensi di
queste trasversalità alla Biennale? Quali media avranno posto nelle tue scelte?

Sono totalmente su questa linea. Basti per questo citare
le aree di interesse che ho voluto coprire nelle indicazioni per le mostre
regionali: si va dalla pittura alla scultura, fotografia, ceramica, design,
videoarte, grafica, moda, fino alla gastronomia. Avremo quindi un cuoco – o
meglio un food artist – per ogni regione, un fashion designer per ogni regione…
O anche più di uno!

Riguardo ai giovani
artisti, come ti regolerai nelle scelte? Lo dicono tutti che non conosci la
scena più strettamente contemporanea…

Se non la conoscessi, avrei una buona ragione per cercare
di conoscerla. Del resto, se fosse così notoriamente conosciuta, non ci
sarebbero i noti problemi dell’inesistenza dei giovani artisti italiani dalle
grandi rassegne – e anche dal mercato – internazionali. In realtà conosco più
artisti di tanti altri critici: ho notato, ad esempio, che tutti i nomi che ho
segnalato a Francesco Bonami, e di cui lui ignorava persino l’esistenza, li ha
inseriti nella mostra Italics. Così
come ho segnalato a Demetrio Paparoni l’esistenza del più grande pittore
spagnolo vivente, Antonio Lopez Garcia. Loro, per andare a cercare degli
artisti che fanno, diciamo, qualche “provocazione”, apparentemente memorabile,
dimenticano gli artisti che lavorano seriamente…

Ma insomma, quale
dev’essere per te il ruolo della Biennale? È una questione ricorrente: la
Biennale deve presentare il panorama degli ultimi due anni?

Sì, in questo caso però mi sono dato come panorama quello
degli ultimi dieci anni, che sono poi i primi dieci del nuovo millennio…
Perché mi pare che gli ultimi due padiglioni italiani non siano stati, né con
Beatrice né con la Gianelli, rappresentativi…

a cura di massimo
mattioli


*articolo
pubblicato su Exibart.onpaper n. 71. Te l’eri perso? Abbonati!

[exibart]

Visualizza commenti

  • A mio giudizio, la prima cosa di cui ci si deve occupare e preoccupare, nello stendere un progetto veramente serio di Biennale d'Arte, è quello di non imporre al pubblico "artisti" già noti che vediamo dappertutto e che, li troviamo, perfino nelle toilette per cani. Quando il potere politico nomina note figure, i danni che se ne ricevono potrebbero diventare sempre più numerosi e più cospicui dei benefici. La solita e noiosa domanda: Quali artisti invitare alla Biennale di Venezia? E' inevitabile che è una scelta individuale e non può essere altrimenti e per certi aspetti, anche arbitraria. A mio parere, gli artisti non si scelgono a tavolino o su varie pressioni, e tanto meno s'impone al pubblico distratto, un linguaggio dell'arte coercitivo (anche perchè imporlo è inutile e contropruducente). L'arte contemporanea, non è una scienza che contenga in sè i suoi scopi. L'arte non si misura sulla notorietà dell'artista e sul prezzo di mercato delle opere. Oggi il mercato dell'arte è sovraccarico di tante cianfrusaglie inutili, senza senso, che un giorno, spero, la storia cancellerà definitivamente? Questo sarà un processo critico-dialettico, necessario e inevitabile, per una semplice ragione: la funzione cognitiva creativa-artistica, individuale dell'arte contemporanea, si presenta i gran parte paralizzata nella stessa struttura corrosiva del mercato che la propone. Lo stesso linguaggio dell'arte, non ha una vera autonomia di azione ed è comunque sempre condizionato dalla stessa struttura economica di questa cultura consumistica, alienata che l'avvalora. Oggi, la produzione di "opere d'arte" ha acquisito la stessa forma di un prodotto col codice a barre di un supermarket. Un codice a barre, estraneo all'universo di senso: (un luogo rappresentativo di relazioni umane, sociali di creatività e esperienze individuali) - in cui la percezione della creatività viene vista da parte del pubblico, non più come un elemento fondante di condivisione individuale e collettiva della creatività, ma solo di una misura del valore di scambio di un'opera d'arte.
    L'arte contemporanea, in virtù di questa anomalia e sudditanza mercantesca (sotto padrone)- nel senso che è fortemente condizionata, manipolata e imposta dall'alto, attraverso i cannoni tuonanti dell'informazione mediaticaca, è destinata a all'auto-suicidio. La ragione di questa morte annunciata, sta proprio nella sua distanza abissale dalla realtà, dal tempo quotidiano in cui si vive. Non rimane all'artista, che agire fuori da questi meccanismi perversi dettati dal mercato. Prendere partito contro le scelte di Sgarbi di Cruriger o chicchessia, è cosa inutile. Significa avvalorare una prassi ormai consolidata nel tempo in tutte le Biennali di Venezia, che colta nei suoi aspetti anche più subdoli, non fa altro che amplificare una superficiale querelle di inutili clamori mediatici.

  • Christian, condivido la tua esasperazione, ma dissento su una cosa: io Sgarbi non me lo merito. Parlo per me, e chissà quanti potrebbero dire altrettanto: Sgarbi non me lo merito. E' proprio un fatto di dignità. Posso solo gioire di non aver contribuito con il mio voto a questo scempio. Magra consolazione, ma tant'è.

  • dopo la performance da playboy di Vanessa e con l'ufficio stampa di Cattelan (la sua opera migliore) Sgarbi riuscirà a dare una stupenda biennale che perfettamente in linea col nostro paese parlerà di donnine e di stampa ...

  • Avevo scritto,ma rileggendo,mi son reso conto che
    e' inutile,e non cambia nulla.Il sunto e' che ci meritiamo sempre,cio' che abbiamo.

  • E' una frase che in certi contesti ha un sapore qualunquistico : ci mette in pace con la nostra in-coscienza.
    "ci meritiamo quello che abbiamo" significa abdicare , consegnando ognuno di noi (un tutto) alla parte (una parte , che francamente , non fa proprio soffrire nessuno considerata la sua vistosa pochezza).

  • Aspettando i nomi di Bice Curiger, assistiamo inorriditi la vanagloria di Sgarbi, che spreca la possibilità pubblica a spese del contribuente.
    Vittorio Sgarbi vergognati, capra.

  • condivido perfettamente la tua opinione, però la Biennale di Ve è nata come vetrina delle "cose" che circolano mel mondo: se sono d'arte meglio , invece sono solo attestati di partecipazione per il mercato . Poche volte si è verificato il contrario.Poi noi siamo per "natura" esterofili, in casa abbiamo tanti di quei capolavori che possiamo spendere la nostra benevolenza a tutte le "novità" che passano come arte... vedi Cattelan o un teschio di brillanti.
    paride

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