04 agosto 2014

Ma esiste il lato b dell’arte?

 
Sì esiste. E ha che fare con quello che dell’arte spesso non si vede. Ovvero: il museo che riattualizza un rito di passaggio, la rivoluzione tecnologica che coinvolge le nostre vite, il sentimento della trasformazione che è il cuore dell’arte stessa. Nelle installazioni che Tatiana Trouvé ha realizzato al Museion di Bolzano c’è tutto questo. Un intreccio denso di immagini, sentimenti e concretezza. Nell’eleganza dell’opera

di

Tatiana Trouvé, 350 Points Towards Infinity
A bassa voce, con passione ed eleganza Tatiana Trouvé racconta il passaggio tra il pensiero, la memoria e l’arrivo dell’opera in un museo. Un racconto che coinvolge le sue letture e le figure disposte con intervalli e vuoti, proprio come succede quando ascoltiamo qualcuno. E così facendo pone una domanda cruciale: come si vive il museo nell’epoca del turismo senza limiti? L’arte contemporanea può aggiungere una variante ai modelli tradizionali?
Nella sua mostra, “I tempi doppi”, al Museion di Bolzano, la posta in gioco è la percezione “esterna” e l’immaginazione interna. I musei ottocenteschi hanno al centro la conservazione. Oggi il sentimento di preziosità, intelligenza, genialità delle tracce che si sono condensate in millenni di creazione, sta lasciando il posto a un’ossessione cumulativa di capolavori da usare come tappe di viaggio o sfondo per i “selfie”, come scrive Salvatore Settis, su Repubblica (29 luglio). La presenza in un museo è limitata ai punti iconici del Louvre, degli Uffizi, del Prado…, ma la folla si frappone all’intuizione storica che l’opera propone. Tutto sembra risolversi nell’agone delle code, nel desiderio di aver superato ore di attesa: il faccia a faccia con la Gioconda di Leonardo, la Venere di Tiziano, Las Meninas di Velázquez diventa quasi secondario. Le relazioni anche ingenue, anche imperfette, che ognuno stabilisce, sono ininfluenti rispetto all’esaltazione di un incontro di massa. Come dice Antonio Natali, direttore degli Uffizi, l’attitudine che si promuove è quella di un «centro commerciale, dove l’opera è coltivata come un feticcio» (la Repubblica, 29 luglio). Si è persa l’idea di un rito di passaggio per vedere e pensare.
Tatiana Trouvé, I Tempi Doppi, exhibition view, Museion, 2014, photo: Luca Meneghel, courtesy the artist
Tatiana Trouvé propone invece proprio questo: un rito di passaggio e un paradigma per guardare l’arte in uno spazio pubblico. Oltre alle opere che raccontano questa dimensione, è importante la relazione tra lei, il museo e chi si trova lì. Nel passato la relazione tra artista, opera, visitatore la assolvevano le chiese, i palazzi dei principi e dei papi, e in seguito le dimore borghesi, come quelle dei collezionisti Shchukin e Morozov che hanno dato vita alla Galleria Tret’jakov, di Mosca. Mentre il British, il Louvre, il Metropolitan …. hanno glorificato le conquiste dei rispettivi Paesi.
Oggi il museo d’arte contemporanea, da un lato certifica una qualità in corso, dall’altro introduce il concetto di modificazione del proprio spazio attraverso le opere. Ogni quadro, scultura, fotografia, disegno ha la qualità di farci attraversare tempi e luoghi, ma è tipico dell’età contemporanea l’ampliamento mentale e insieme tangibile di uno spazio dato. Penso a Fontana e ai suoi Ambienti spaziali che hanno aperto i limiti fisici architettonici, proprio attraverso l’opera messa al mondo dall’artista.
Tatiana Trouvé parla di una sorta di “transizione” in cui  lo sguardo può indicarci «un sentiero che porta in un luogo dal quale non arriva nessuno e dove nessuno va». È una frase con la quale Fernando Pessoa descrive il senso dell’arte e che Trouvé tiene spesso accanto a sé. 
Tatiana Trouvé Refoldings Museion 2014 photo Luca Meneghel courtesy Johann König Berlin Galerie Perrotin Paris Gagosian Gallery the artist
Nell’installazione a Museion questo spostamento è tangibile e, direi, rassicurante. Ci mette, infatti, a contatto con il sentimento della trasformazione che è il cuore dell’opera di Trouvé e dell’arte in sé. Fuori centro, rispetto all’ambiente unico del secondo piano, ma calamitante, c’è la grande installazione 350 Points towards the Infinity, 2009. Sono 350 pendoli che con varie inclinazioni sfiorano il pavimento, senza toccarlo. L’enigma della forza di gravità appare esplicito, nello stesso tempo le linee tracciate dai sottili fili di acciaio, a cui sono appesi i pendoli (sono quelli usati per stabilire il filo a piombo in architettura), creano una specie di quinta trasparente e imprendibile. Si inclina in direzioni molteplici, interagisce con la luce proveniente dalla vetrata di fondo, chiede uno sforzo di messa a fuoco. La visione “esterna”, predisposta dall’artista, s’intreccia  alla domanda che avvicinandosi e allontanandosi ognuno si pone: come avvengono le posizioni anomale senza ancoraggio visibile? La perpendicolarità non ha una sola direzione? Sono interrogativi che stanno alla base delle forze che governano il mondo, ma anche delle nostre esperienze affettive, dei nostri ricordi e delle innumerevoli direzioni con le quali si ripresentano. E qui tornano in mente le parole di Trouvé: «Quando penso a un lavoro per un museo, ci sono tre momenti: la realizzazione di un modello, lo sviluppo nello studio e il compimento nel museo stesso. La prospettiva cambia quando le opere si incontrano, soprattutto nel rapporto tra bi-dimensione e tridimensione, e l’installazione stessa diventa la cornice per i disegni». 
Tatiana Trouvé, I Tempi Doppi, exhibition view, Museion, 2014, photo: Luca Meneghel, courtesy the artist
A Museion questo è tangibile: una superficie grigia, che ricopre il pavimento lasciando liberi i margini attorno ai lati, assume la figura di un immenso foglio di carta, sopra il quale si posano 350 Points towards the Infinity e le sculture I tempi doppi, 2007 e I cento titoli. Ecco che la percezione cambia e ci fa collegare la prospettiva fluttuante dei suoi disegni su carta alla dimensione fisica della scultura. Poi scopriamo l’enigma funzionale, sotto questa superficie sono disposti, con un calcolo preciso, i magneti che producono la sospensione inclinata dei pendoli, ma anche la corrente elettrica che illumina le lampade de I tempi doppi. Un’emozione fortissima, perché introduce la dimensione inventiva del calcolo, della tecnica. E nel trovare la risposta a questa visione sospesa dove perfino la corrente elettrica sembra generarsi da sola, individuiamo il grande tema della rivoluzione tecnologica contemporanea che coinvolge le nostre vite, materialmente e ideativamente.
Allora i disegni della seria Intranquillity, 2011 si amalgamano al concetto di transizione tra una dimensione e l’altra e contribuiscono a definire questo nuovo spazio del museo, che pur mantenendo i propri confini, manterrà per sempre la memoria della configurazione  con la quale Tatiana Trouvé ha “messo al mondo il mondo”, come diceva Alighiero Boetti uno dei maestri amati da Tatiana.
Tatiana Trouvé, I cento titoli 2009 Museion 2014-photo Luca Meneghel courtesy Gagosian Gallery
Così il museo d’arte contemporanea diventa luogo di sperimentazione e di cambiamento e la somma di tutte le sue pratiche costituisce una memoria mobile, incerta, che presuppone viaggi solitari in luoghi imprevisti, ma anche racconti, relazioni, scambi. È in questa dimensione che la direttrice di Museion, Letizia Ragaglia ha immaginato una serie di mostre sulla scultura, proprio per permettere al pubblico di fare esperienza dei cambiamenti che sono avvenuti in questo linguaggio.
Dal mistero dell’emozione espressiva della scultura romana antica fino a Michelangelo, Canova…, oggi ci troviamo ad affrontare l’enigma dello spazio mentale che l’architettura contiene e dilata, creando prospettive e disegni, che talvolta riconosciamo nel quotidiano. Trouvé aggiunge l’elemento della tecnica che non è più solo razionale, ma una specie di ossatura della conoscenza emotiva. Una miscela di differenti qualità della presenza, che contiene incertezza, distanza, indecisione. Appunto come nella vita. 
Seguendo quest’attitudine si può trasformare la presenza di massa, peraltro non rifiutabile, nei musei con la tripla A? Me lo auguro: sarebbe una rivoluzione necessaria.

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