Il 5 ottobre è stato inaugurato a Lisbona il MAAT, Museo di arte, architettura e tecnologia.
Amanda Levete, l’architetto che con il suo studio AL-A l’ha progettato aveva nei mesi scorsi, a lavori appena cominciati, rilasciato entusiasmanti interviste circa il rapporto che il suo progetto stava andando costruendo con la città. Non fosse altro per lo spettacolare sito lungo il fiume Tago. E aveva ragione
Completamente finanziato – per un costo di 20 milioni di euro – dalla EDP Foundation, il ramo culturale della società energetica EDP fiore all’occhiello dell’economia portoghese recentemente acquisita dalla cinese CTG, il museo è stato realizzato in poco più di un anno. Ha così potuto aprire al pubblico in tutta la sua interezza in occasione della vernice della quarta triennale di architettura di Lisbona.
Malgrado l’operazione voluta da EDP sia stata quella di creare una nuova icona aziendale puntando sul Grassopher formalismo di fine XX° secolo piuttosto che all’innesto sull’esistente (vedi la milanese Fondazione Prada) le aspettative di Amanda Levete possono dirsi riuscite. Infatti, anche se alcuni dettagli grossolanamente conclusi troveranno rimedio nei mesi a venire – macchie di umido sui cartongessi interni con gocce d’acqua sulla bianca resina – anch’essa con evidenti riprese – delle sale interne, o il taglio mal eseguito in cantiere delle mattonelle ceramiche smaltate che costituiscono la pelle del museo – il MAAT è sicuramente un tassello importante per il disegno urbano della futura Lisbona, oltre che per i suoi spazi espositivi, soprattutto per il completamento della passeggiata lungo il Tago che dalla Baixa si estende fino alla Torre di Belem.
Una passeggiata che da oggi in poi potrà contare sulla fantastica piazza/terrazza pubblica sopraelevata costituita dalla copertura del museo.
È infatti il passo lento della camminata quello che meglio può descrivere l’architettura organica immaginata da AL_A. Un passo che dai Docas sul Tago ci porta senza soluzione di continuità alla Torre di Belem via MAAT e Museu da Electricitade.
E se quest’ultimo vede un fantastico esempio di archeologia industriale farsi luogo espositivo, il MAAT ci conduce, attraverso una passeggiata fluida, entro spazi che costituiscono una rottura rispetto alle “white box” richieste spesso oggi dall’arte contemporanea.
Due rampe si sovrappongono arrivando da direzioni diverse per divenire una il luogo di incontro e vita pubblica sulla copertura, l’altra l’ingresso al museo. Un nastro che prosegue all’interno facendosi contenimento della grande sala centrale ellittica (flexbility room) di circa 70 x 40 metri senza colonne pronta per adattarsi facilmente alle volontà di artisti e curatori. Flexibilty room che nei giorni dell’inaugurazione ospitava l’installazione Pinchon Park di Dominique Gonzalez-Foerster.
Altre sale secondarie vengono poi a disegnarsi lungo i muri delimitanti la grande aula centrale ove poter procedere a video proiezioni ed installazioni sonore.
La volontà che la Fondazione EDP e il curatore Pedro Gadanho, arrivato dal MoMA per questo nuovo incarico, intendono realizzare è infatti quello di utilizzare gli spazi fluidi ed interconnessi progettati da Levete come un grimaldello per rompere i confini disciplinari, così da fondere le discipline e sviluppare uno spazio “discorsivo”, tale da contenere nuove forme di creazione artistica. Artisti e curatori avranno il compito di interagire con questo spazio “fluido”, radicalmente diverso dal classico white cube e che richiederà commissioni dedicate.
Entro il museo il rapporto visivo con l’esterno è sempre negato, tranne che nella main room (la seconda sala maggiore) dove un “occhio in vetro” a soffitto permette ai visitatori all’interno della sala di “sorvegliare” il pubblico entrante e alla luce naturale di penetrare nella sala stessa dopo essere rimbalzata sulla superficie cangiante disegnata dalle squame in ceramica smaltata che rivestono l’edificio.
Per esaltare la flessuosita dello spazio volumetrico AL_A ha infatti immaginato, disegnato e industrializzato una pelle in squame di ceramica smaltata bianca che, oltre a garantire continuità con la tradizione dell’azulejos portoghese, permette ai riflessi dell’acqua del Tago di creare continui giochi di luce sulla superficie del museo. Questa candida pelle permette inoltre di esaltare la sagoma del nuovo museo sottolineandone il contrasto con le forme dell’archeologia industriale, in mattoni, della preesistente centrale di produzione elettrica oggi Museu de Electricitade.
Il complesso, cui una delle maggiori critiche è la mancanza di un collegamento diretto tra vecchio e nuovo, nei giorni della sua inaugurazione ha richiamato circa 60mila persone in tutto il “campus”, mettendo in crisi le vecchie passerelle pedonali che permettono il passaggio sopra alla linea ferroviaria che taglia la zona del lungofiume/ Docas dalla città. Un problema che si dovrebbe risolvere a breve, sempre grazie alla EDP e AL_A che hanno previsto e stanno realizzando un nuovo sistema di passerelle e rampe pedonali che permetteranno di riconnettere, oltre alle due parti di città, il sistema MAAT – MdE al dirimpettaio Museo des Coches di Paulo Mendes da Rocha, da anni in attesa di completamento. Un ulteriore investimento privato che si farà carico del miglioramento urbano visti i tagli e i problemi economici che il Governo portoghese sta affrontando sull’onda lunga della crisi, e che sta spingendo l’Amministrazione cittadina ad un deciso investimento sul turismo, con tutte le conseguenze di “gentrificazione” che possiamo oggi immaginare e sulla quale sicuramente peseranno i 500mila visitatori all’anno che i finanziatori del museo si attendono.
Guido Incerti