Erano state concepite come una via di fuga dalle pesanti restrizioni del primo lockdown. Ora si affacciano dalle porte, dalle finestre e dalle bacheche del Teatro Nuovo di Verona per offrirsi al pubblico, come una mostra “open air”, con il loro portato malinconico e riflessivo, nel secondo momento in cui il picco pandemico pesa ancora sulla nostra libertà. Sono le opere dei giovani artisti dell’Accademia di Belle Arti di Verona raccolte ed esposte, fino al 24 novembre, sotto il titolo di “Mai pacifica”.
La mostra era stata pensata inizialmente come una risposta alla chiusura dei teatri, giunta con il Dpcm di ottobre: “Il teatro si mostra” era il progetto lanciato dal Teatro Stabile del Veneto per trasformare i teatri in spazi espositivi, appellandosi anche alle accademie. Ma con le nuove limitazioni, è venuta a mancare anche questa possibilità. Così la mostra si è spostata sugli spazi perimetrali, sulle aperture verso l’esterno, un tema su cui hanno lavorato tanti dei giovani autori.
Come Cecilia Artioli, con i suoi Spazi condivisi, immagini dei balconi che hanno fatto da tramite tra noi e il mondo durante il lockdown, o Chiara Ventura, con i suoi salti verso il cielo sul tetto del condominio, perimetro e schema da superare, o i passaggi aerei nei cieli di Trento ricercati con cadenza regolare da Veronica Bragaglini. Francesco Lasala lavora sul tentativo di ampliare i confini dell’abitare, mentre vie di fuga, metaforiche e impossibili, sono le lunghe trecce di capelli arrotolate di Anna Ronchiato o ancora i pensieri liberi di Alessia Valloncini appuntati a matita sulla scrivania.
Tema ricorrente è anche quello della ricerca di un contatto, dai volantini di Anna Ulivi alla rilettura dei particolari architettonici di da Silva per superare confini concettuali. Lo stress emotivo che genera una dis-percezione di sé in Francesco Mangiafridda rimbalza nei gesti ripetitivi di Chiara Marcon e si immortala nelle immagini su pellicola scaduta di Davide Galandini.
In nome della resilienza, il tridimensionale diventa pensiero nell’“Isolation project” degli studenti di scultura. «La resilienza non è una cosa, è un’attività – commenta Marco Giaracuni, presidente dell’Accademia di Belle Arti di Verona -, è una sfida aperta. Più le situazioni diventano complicate, più la creatività può aiutare a individuare strade e percorsi alternativi. Anche a livello esperienziale, il ricorso all’espressività artistica può aiutare a dare una forma allo stress prodotto dalla anomala situazione pandemica».
«Si tratta di vedere le esposizioni come parte del paesaggio urbano – aggiunge Francesco Ronzon, direttore e docente di Antropologia presso la stessa istituzione -. Se ci si pone in quest’ottica, è facile pensare al perimetro esterno del Teatro Nuovo come un museo open air a disposizione della città. Un palinsesto artistico da fruire nel corso delle proprie attività quotidiane».
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