Manifesta dal fiato corto

di - 24 Giugno 2016
Bella, bionda, giovane, sorriso aperto e accogliente. Un unico neo: devi guardarla seduta, perché non ha l’uso delle gambe, ma vederla spingere la sua sedia a rotelle nelle acque verdastre del lago di Zurigo è uno spettacolo commovente. E Maurizio Cattelan lo sa bene, visto che ha affidato a Edith Wolf-Hunkeler, campionessa delle Paraolimpiadi che ha perso l’uso delle gambe a 21 anni a causa di un incidente di macchina, la sua rentrèe nel mondo dell’arte contemporanea in occasione di Manifesta 11, curata per la prima volta da un artista, il tedesco Christian Jankowski. L’azione si è svolta per l’apertura della Biennale nomade e dovrebbe essere replicata (a orari non propriamente annunciati) durante i tre mesi di programmazione.
Il tutto si svolge nella ricca e frizzante capitale finanziaria della Svizzera: Zurigo. E non a caso il suo titolo di Manifesta, “What people do for money: some joint ventures” sembra calzarle a pennello, così come l’idea di invitare 30 artisti – tra cui Cattelan – a realizzare un’opera a quattro mani con un cittadino di Zurigo.

Il tema è la professione nelle sue diverse declinazioni, riportate comunque al mondo dell’arte: se sulla carta sembra un’ottima idea, ma nella realtà qualcosa non convince. Prima di tutto, la mostra principale, intitolata “The historical exhibition: sites under construction”, sviluppata nelle due sedi principali, Lowenbraukunst e Helmhaus, e nelle 30 sedi satelliti sparse in città.
Allestimento molto (troppo?) essenziale, opere di livello discontinuo, tema trattato con poco approfondimento e senza la complessità necessaria, questa Manifesta ha il fiato corto e poche opere memorabili, nonostante la presenza di molti validi artisti come Teresa Margolles, Guillaume Bijl, Ceal Floyer, Mario Garcia Torres, Jorinde Voigt e Santiago Sierra e il nostro Cattelan, che ci ha lasciato una delle immagini più forti dell’intera mostra. Tra le opere commissionate è molto efficace il progetto del russo Evgeny Antufiev con il pastore Martin Rusch: Eternal Garden ha trasformato la Wasserkirche in un luogo dove riflettere sulle relazioni tra l’uomo, la natura, la letteratura e l’arte, sotto le ali di una enorme farfalla sospesa sopra l’altare al posto del crocefisso. Inquietante The Zurich Load, l’opera di Mike Bouchet realizzata con l’aiuto dell’ingegnere ambientale Philipp Sigg: un’installazione di Land Art ottenuta pressando gli 80mila chili di escrementi che gli abitanti di Zurigo hanno prodotto il 24 marzo 2016. Divertente The World is  Cuckoo (Clock), la scultura cinetica realizzata da Jon Kessler con l’orologiaio Adriano Toninelli e presentata  nel sotterraneo dell’orologeria Les Ambassadeurs , mentre da non perdere Simply  the best, il video di Carles Congost girato con Roland Portmann, direttore della comunicazione di un’azienda cittadina. Nonostante il curatore l’abbia definita “una bomba ad orologeria”, questa Manifesta assomiglia piuttosto ad una caccia al tesoro senza tesoro, o ad un giocattolo tecnologico apparentemente stupefacente ma senza batterie.

Per fortuna Zurigo non è solo Manifesta: tra gli highlights che offre la città svizzera mettiamo al primo posto la straordinaria retrospettiva che la Kunsthaus dedica a Francis Picabia, in collaborazione col MoMA di New York, allestita in maniera esemplare per comprendere passo passo il percorso di questo maestro che ha anticipato con incredibile lucidità l’arte del XXI secolo, accompagnata da This day at ten, un’interessante personale dell’artista Akram Zaatari, che ha rappresentato il Libano alla biennale di Venezia 2013. Ottime anche le proposte delle gallerie private, tra le quali spicca la mostra “Schwitters Mirò Arp” da Hauser & Wirth, dedicata ai collage realizzati dai tre artisti, con una rara ed efficace selezione di opere di livello museale, seguita dalle personali di Walead Beshty, proposto da Eva Presenhuber, e Gregor Hildebrandt da Grieder Contemporary.

Dulcis in fundo, da non perdere l’eccezionale mostra Giardino del mondo al museo Rietberg, dedicato alle arti orientali e immerso in un parco affacciato sul lago: un percorso storico dedicato alla storia del giardino dall’antichità al contemporaneo che unisce arte, natura, astronomia, simbolismo, letteratura e filosofia in maniera articolata ma comprensibile. E che unisce le miniature indiane alle incisioni di Durer, gli arazzi medievali alle opere contemporanee di artisti come Thomas Struth e Wolfgang Laib.
Ludovico Pratesi

in alto: Mike Bouchet, The Zurich Load, Löwenbräukunst Photo (c) Camilo Brau

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