MANIFESTA, RITORNO IN IBERIA

di - 5 Ottobre 2010
Melting pot di tradizioni fin dall’anno 1000, la regione di
Murcia è il luogo ideale per ospitare l’ottava edizione di Manifesta, la biennale itinerante europea,
al suo 15esimo anno di vita e reduce dalla tappa italiana svoltasi nel 2008 in
Trentino Alto Adige.

Le città di Murcia e Cartagena, sedi dell’evento, con il
loro background storico e una stratificazione architettonica e culturale in cui
si incontrano cristianesimo, islam ed ebraismo, diventano la base concettuale
da cui far partire una riflessione trans-regionale che individua nel sud della
Spagna il punto di connessione tra Mediterraneo e Nordafrica, con un’attenzione
particolare al Maghreb.

Se poi buttiamo l’occhio più lontano e includiamo nel
ragionamento il continente intero, vedremo che l’oggetto della discussione è la
relazione tra Europa e Africa, non senza qualche ammiccamento al Medio Oriente
(e con l’aspirazione, non tanto recondita, di creare una biennale panafricana).
In un momento di grande introversione e di preoccupante chiusura culturale, ma
anche di imponenti flussi migratori e di una violenta crisi economica, che
attanaglia il mondo intero incoraggiando la ricerca di “terre promesse”, la
mission di Manifesta – che da sempre “cerca di abbattere le barriere e di
creare, invece, dei ponti
” – assume un valore ancora più significativo, soprattutto quando pone
sotto la lente aree critiche di dibattito storico-politico, come in questo
caso.

Per la realizzazione di un concept così complesso, la
Fondazione Internazionale Manifesta, presieduta da Hedwig Fijen, ha scelto di
avvalersi di un team d’attacco, proponendo l’idea della “curatela collettiva” e
coinvolgendo un board misto, formato da tre gruppi di professionisti che
lavorano tra l’Europa dell’Est, l’Italia, la Scandinavia e l’Egitto, costruendo
una fervida torre di Babele di spunti, progetti e possibili sviluppi.


Primi in ordine alfabetico sono gli egiziani Alexandria
Contemporary Arts Forum, sodalizio nato tra i curatori Bassam El Baroni e
Jeremy Beaudry nel 2005 per esplorare i confini tra globale e locale,
attraverso i liguaggi remixati della new media art e del dibattito; secondi i
Chamber of Public Secrets, duo libanese-italiano, formato da Khaled Ramadan e
Alfredo Cramerotti, insieme dal 2003 come un’unità indipendente che si adopera
per la realizzazione di documentari, festival, video, momenti di discussione,
mostre. Completano la brigata i tranzit.org (Vít Havránek, Zbynek Baladrán,
Dóra Hegyi, Boris Ondreicka e Georg Schöllhammer), promotori di un network di
associazioni autonome esistente dal 2002, provenienti da Austria, Repubblica
Ceca, Ungheria, Svezia e Slovacchia. Ogni gruppo opera in maniera indipendente
rispetto agli altri, usando format e metodi di lavoro compositi.

Tre poetiche differenti, accomunate dall’intento di
indagare le trasformazioni sociali a livello globale, anche se in relazione a
uno specifico territorio, attraverso i temi della migrazione, del colonialismo,
delle criticità di confine, con pratiche di condivisione, magari incoraggiate
dall’utilizzo delle nuove tecnologie.

Il percorso espositivo si snoda attraverso 15 sedi diffuse
nelle due città, con il preciso obiettivo di “abitarne” le vie, le piazze, le
strade. Tra i necessari Musei di Arte Moderna e Contemporanea di Murcia e
Cartagena, fanno capolino alcuni luoghi inediti, come l’Ufficio di Poste e
Telecomunicazioni, architettura spagnola pre-franchista ormai in disuso, l’ex
prigione di Sant’Antonio, flagello dei dissidenti di Franco, il Casinò di Cartagena,
di sapore modernista, la caffetteria-ristorante El Parque, il Centro Sociale de
Santa Lucia, tra gli altri. Certamente, però, il luogo più inusitato e
suggestivo è l’antico Padiglione per le Autopsie, costruito nel 1768 per
l’Ospedale della Marina Reale e attualmente utilizzato come centro espositivo.

Lo spazio e il territorio giocano un ruolo da
protagonista, proprio in virtù della natura itinerante di Manifesta; non è un
caso, infatti, che il 90% delle opere in mostra siano site specific e vedano
luce in seguito a un confronto diretto e intenso tra l’artista e il luogo in
cui è chiamato a lavorare. La grande novità dei tre percorsi progettati da
ACAF, CPS e tranzit.org all’interno del main concept sta, inoltre, nell’aver
coinvolto non solo artisti visivi, ma anche produttori cinematografici,
scrittori, filosofi, attivisti (Suhail Malik, Simon Fujiwara, Gonzalo
Ballester, Sergio Leone…) con l’intento di offrire un caleidoscopio di idee e
riflessioni attorno a uno stesso tema.

Intitolato Overscore, il progetto degli ACAF cerca di restituire la
complessità dell’arte e del mondo attraverso una strategia concettuale e
curatoriale che agisce su un doppio livello: da una parte illumina i modelli di
semplificazione che regolano la vita pubblica e privata, dall’altra funziona un
po’ come l’editing in corso di un testo, rivelando i collegamenti tra il
passato e il futuro. Si svolge attraverso tre sedi, presentando 27 opere
inedite di artisti come Ryan Gander, da sempre interessato a promuovere il dialogo, creando
una dimensione estetica che mina ogni aspettativa, o Alexander Singh, che per Manifesta ha creato una
serie di disegni e xerox collage. I Common Culture, collettivo britannico composto
da David Campbell,
Mark Durden
e
Ian Brown
,
presentano un discorso sul consumo culturale più un video, ispirato al concetto
classico di Grand Tour. I Take to the Sea (Lina Attalah, Laura Cugusi, Nida Ghouse) portano avanti dal 2008 un progetto di ricerca sul tema
dell’immigrazione irregolare dall’Egitto all’Italia, attraverso il Mar
Mediterraneo, con tutto ciò che ne consegue. Non mancano i progetti speciali,
come l’incubatore per la Pan-African Roaming Biennial, che coinvolge soggetti
provenienti da Kenya, Egitto, Sudafrica tra gli altri, e al quale durante
Manifesta sarà dedicato all’interno di Overscore un simposio con Bili Bidjoka, N’Goné Fall, Hassan Khan e Senam Okudzeto.


I CPS presentano The Rest is History?, una mostra che mira a definire e
analizzare le mappe geografiche e le strutture socio-politiche del nostro
tempo, la nostra storia, la nostra realtà. Per farlo, abbandonano le strategie
convenzionali e invadono le dimensioni del giornalismo, della produzione
televisiva e documentaristica, grazie al lavoro di artisti come il gruppo
danese Wooloo,
fondato da Sixten Kai Nielsen & Martin Rosengard, al cui progetto partecipano per Manifesta Matthias
Neumann
,
Clarinda Mac Low
,
Helidon Gjergji
,
Pedro Guirao y Gema Alava
. La
portoghese Filipa César scova le dinamiche della finzione all’interno del genere
documentaristico. Fay Nicolson si interroga sul gap che esiste tra produzione di massa e
produzione artistica, Thierry Geoffroy utilizza i mass media nel suo lavoro per rimettere
al centro il ruolo dell’artista in senso critico, prima che la crisi che
attanaglia il presente ci travolga, prima che sia troppo tardi. Helidon
Gjergji
sfida i
sensi con la sua installazione olfattiva.

I tranzit.org, infine, coinvolgono 27
artisti e 2 gruppi nel progetto C.T.D. – Constitution for Temporary Display.
A
partire dal concept di base – l’esplorazione delle connessioni tra la regione
di Murcia e il Nordafrica – lanciano un’interpretazione in senso “conflittuale”
del dialogo sul tema, in cui la mostra diventa uno spazio autonomo, con
specifiche condizioni estetiche, politiche e sociali, in cui gli artisti e i
curatori conducano il proprio lavoro attraverso le parole chiave di critica,
rielaborazione, immaginazione, anche grazie alla collaborazione del pubblico.
Saranno Emily Roysdon, Heman Chong, Lou Lou Cherinet, Pedro G.
Romero/Archivo F.X.
, Catarina Simao, Cristina David, Darius Miksys, Erick Beltran, tra gli altri, a condividere
questa appassionante sfida dialettica.

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dal 7 ottobre 2010 al 9 gennaio 2011

Manifesta8

a cura di Alexandria Contemporary Arts Forum, Chamber
of Public Secrets, tranzit.org

Sedi varie – Murcia e Cartagena

Info: contact@manifesta8.es; www.manifesta8.com

[exibart]

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  • @ luca rossi: Grazie per la risposta. Non pensi che l’autosostenibilità di whitehouse è in qualche modo compromessa ed invalidata da questo tuo confronto/collaborazione ostinato/a con taluni operatori “affermati” (curatori/magazines) mentre avanzi una critica programmatica ai tuoi colleghi/competitors. Il tuo agire pare assai poco cretino e molto smart, o meglio, furbo: non abbiamo letto analisi/critiche sulla biennale di carrara (come format) o sulla linea editoriale di flashart (che contribuisce, in parte a …).

    [appare poi singolare che il tuo stesso linguaggio (il tuo “lavoro”) risulti singolarmente livellato su codici rassicuranti non solo dell’arte cont. ma pure dei media: “la crisi economica come opportunità”, o il “be stupid” che fa sia spot della DISEL sia motto cattelaniano anni novanta (poetica/prassi “lancio il sasso e nascondo la mano”), ecc.]

  • -Non pensi che l’autosostenibilità di whitehouse è in qualche modo compromessa ed invalidata da questo tuo confronto/collaborazione ostinato/a con taluni operatori “affermati” (curatori/magazines) mentre avanzi una critica programmatica ai tuoi colleghi/competitors.-

    noto che mi stanno usurpando il nome impunemente per i loro loschi fini .
    rispondo io per il caro luchetto visto che qualcuno risponde per me : SI' E' INVALIDATA .
    e in ogni caso virtuale non sottintende mancanza di fruibilità e chiusura verso l'esterno . è solo un livello diverso di realtà e ha un nome proprio che a te fa paura usare

  • @hm: l'autosostenibilità di Whitehouse non è un fine ma un mezzo. Cosa anche abbastanza banale: non vedo i tanti spazi e progetti no profit, che nascono ogni giorno, molto diversi da Whitehouse; anche in questi casi poche persone rivestono tutti i ruoli. Io radicalizzo e rendo manifesto quella che è una tendenza che è già nella realtà. Ma non è questo il punto e la mia finalità. Una delle mie finalità è invece il confronto e il dialogo. Quindi non vedo contraddizione con il fatto di relazionarsi con operatori "affermati". Il blog non si sostiene su queste relazioni ma si sostiene sul nulla, il suo budget è zero. Io non sto ottenendo nulla rispetto ai parametri inseguiti dai soliti noti (e loro sì che sono "furbi").

  • lol la disel, beh ma la disel è una marca inutile da sempre cioè chi si veste disel è stupido a priori, meglio vestirsi arena o lotto a quel punto, arena poi è la marca da nerd per eccellenza non so se avete mai beccato degli studenti di informatica in treno col loro portatile la forfora e la tutina arena in acetato, l'arena è sempre lì a 9,90 euro non torna subito come cattelan

  • @ luca rossi: - Una delle mie finalità è invece il confronto e il dialogo. Quindi non vedo contraddizione con il fatto di relazionarsi con operatori "affermati". Il blog non si sostiene su queste relazioni ma si sostiene sul nulla [...]-

    Una delle debolezze della tua analisi e del tuo lavoro è individuare una generalizzata crisi dei contenuti ed appiattimento del linguaggio (rassicurante/standard) utilizzando quello stesso linguaggio abusato e logoro: scrivi CERCO IL CONFRONTO ED IL DIALOGO (?), ma perché? perchè questa riflusso democristiano, perché sbattersi per essere radicali (sic) per finalità così
    morigerate, modeste.
    Individuare una discreta sudditanza verso l’estero e una scarsa competitività del sistema italiano, proponendo la libertà di manovra e di sintesi di whitehouse come proficua prassi per bypassare la situazione stagnante nostrana risulta una spiacevole commistione tra un anacronistico e “progressista” manifesto novecentesco ed il grintoso spirito modernizzatore di un goffo manager glocal.
    È “retorica del fare” pure l’affannarsi nella costruzione di una piattaforma autonoma (il blog/altro) che si basa sul nulla e non sulle relazioni. Questa argomentazione, tra l’altro, non pare credibile: non è casuale la tua distrazione verso “operatori amici”:
    a. la tua (non) partecipazione a carrara allineata con la reiterazione delocalizzata del modello curatoriale trussardi
    b. il porsi in maniera dialettica con sacco su flash art risulta prevedibile/rassicurante, non criticabile (sic), come lo è trevisani con il suo articolo su …

    Adesso ti stai pure accanendo con questi lavori con le email: dai cazzo: mi critichi mars ( - perché fanno mostre su mostre e/o per la mancanza d’urgenza -) e tu mi mandi l’email a gioni, a de carlo, ecc. cerchi la dimensione uno a uno … uff,, ti sei forse perso uno dei lavori di presicce, anch’egli attratto da questo rapporto uno a uno con lo spettatore (entrambi usate una costruzione retorica inquietantemente simile).
    La cosa buffa, ma credo sia pateticamente positiva, il tuo allinearti pure alla “penultima tendenza vintage/citazionista”, come l’ennesimo monk italiano: mi citi e riciti U., che negli anni ’60 ‘70 inviava lettere a collezionisti, galleristi e a soggetti random (il bottegaio, il carcerato, ecc.) contenenti improvvisate preghiere, testimonianze di sforzi telepatici per alterare la programmazioni nei musei e nelle gallerie, piani per organizzare eventi (scambi di coppia, cene, mostre complementari, altro) durante inaugurazioni, vaghi indizi su un oscuro accadimento presso noti (per il tempo) luoghi deputati all’arte cont.(ed altre suggestive amenità). La cosa divertente è che U., nelle sue dichiarazioni ANNI '60, ha sempre affermato di essere uno “spettatoreguardiasalagalleristacriticoartistaspettaore”….

    rossi, siamo nel 2010

    buon lavoro

  • @hm: confondi in continuazione i metodi con i contenuti. Come se tutti quelli che bevono da un bicchiere dovessero bere tutti la stessa bevanda.Però direi di finirla stiamo uscendo dal tema dell'articolo.

  • ma chi sarebbe U. ?

    - Io radicalizzo e rendo manifesto quella che è una tendenza che è già nella realtà. Ma non è questo il punto e la mia finalità. Una delle mie finalità è invece il confronto e il dialogo. -

    il dialogo puoi anche cercarlo senza spedire mail agli artisti che non ti piacciono, e senza nominare le gallerie con cui vorresti collaborare (e che forse conosci anche già di persona). tanto quegli artisti che nomini e non apprezzi non cambieranno quello che stanno facendo perchè a te non piace .
    o forse fai finta di disprezzarli e in realtà li nomini per sostenerli non ho ancora capito bene come ragioni, se non li apprezzi parlare di loro non serve a nulla, magari nominali ogni tanto ma dedicargli post su post è sospetto, inoltre ogni tanto scrivi qualcosa poi ti penti e sparisce tutto oppure tornano articoli precedenti, stai diventando un loop vivente.
    se ti autosostieni come dici allora devi organizzare qualcosa sul blog non parlare solo degli altri, loro si autosostengono ma non parlano di te . per autosostenerti devi organizzare qualcosa sul blog che non abbia bisogno di gallerie o mail a direttori di musei, usi un luogo virtuale per una fruizione reale ma rimani nel virtuale, altrimenti non vedo altri modi per autosostenerti su un blog sorry .

    -Il blog non si sostiene su queste relazioni ma si sostiene sul nulla, il suo budget è zero.-

    sì ma non c'è solo il budget, c'è anche il senso del tuo blog che non ha molto senso se continui a cercare dialoghi con gente che non ne vuole mezza, per ora secondo me lo stai sostenendo su relazioni inutili, e che fosse sostenuto sul nulla lo avevi già ampiamente dimostrato mostrando sale vuote e cancellando le opere di tutte le gallerie

  • @ luca rossi: con luca rossi mezzi e contenuti coincidono

    Il logorio dell’operazione luca rossi/whitehouse si manifesta nel riproporre acriticamente atteggiamenti superficiali (e smart) del sistema che analizza e critica:

    non rispondere nel merito ad osservazioni/critiche (argomentate) su whitehouse, con la banale scusante del off topic, equivale a reiterare il “silenzio colto” di certi operatori nei confronti di whitehouse stessa: è palese che il CERCARE IL CONFRONTO ED IL DIALOGO di rossi è strumentale ai consueti meccanismi di riconoscimento e ricerca di autorevolezza del ennesimo artista del cazzo [sic] (come il riciclare strategie e tattiche d’indefinita occupazione e presenzialismo degli e negli spazi mutuate da artisti degli anni ’70 e ’90)

    whitehouse sarebbe realmente incisiva se scomparisse, senza rumore, senza roboanti email e dichiarazioni programmatiche

    luca rossi sarebbe veramente e proficuamente cretino se, dopo aver letto un ambiguo suggerimento su exibart, si suicidasse, per divenire hm, l’ennesimo anonimo commentatore, abbandonando l’operatività, i risultati ed il “riconoscimento” di quest’anno e mezzo di lavoro

    non c’è niente da distruggere
    né da costruire

  • VINCE Luca Rossi!
    Per avere compreso, per primo, che avete rotto le balle. Scambiatevi i numeri di telefono se volete discutere dei vostri problemi!

  • @barba
    scusa ma io pensavo avesse vinto la tua barba, ma te la tagli o no? non ti dà fastidio? pensa quanta noia sopporti pur di sfoggiare la barbetta. in ogni caso concordo con l'ultimo commento del fake hm .

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