La galleria è aperta da un anno e mezzo: cosa è oggi Bonelli Contemporary e a cosa punta?
All’inizio l’obiettivo era duplice: da un lato offrire ad artisti italiani di spiccata personalità e qualità del lavoro una ribalta internazionale e competitiva, dall’altro istituire un osservatorio privilegiato su un territorio così fertile. Diciamo che, con il passare del tempo, il secondo fronte di interesse sta prendendo il sopravvento.
Sembra un cambio di rotta rispetto alla tua attività storica, nel verso della ricerca…
In effetti, la ricerca è una caratteristica tipica di questo territorio che sembra interessante cogliere. Tuttavia, sono convinto che ci sono artisti con i quali lavoro che possono reggere il confronto e dialogare in questo contesto.
Innanzitutto sono in cantiere alcune collettive organizzate da curatori locali, o comunque americani, che servono a creare un tessuto di relazioni ma che costituiscono anche occasioni ideali per comprendere fino in fondo il sostrato culturale nel quale ci muoviamo. Un esempio è stato il progetto di Omar Lopez-Chahoud, artista e curatore indipendente newyorkese, a dicembre una collettiva in collaborazione con la Galleria Circus di LA. Quindi sono in programma un paio di personali con artisti americani. Nel programma annuale saranno inserite una o due personali (al massimo) di artisti italiani. Uno sarà Fulvio di Piazza, che mi pare abbia un lavoro che possa essere in linea con un certo gusto losangelino.
Che idea ti sei fatto dello scenario e del sistema losangelino?
Diversificato, stratificato e complesso… Qui a Chinatown c’è un bel gruppo di gallerie che presentano artisti giovanissimi, spesso alla prima mostra, è dunque una zona di grande ricerca. Culver City è un’area di gallerie più strutturate, con sedi anche in Europa o spazi che ricordano quelli newyorkesi. Poi ci sono situazioni isolate, inserite nello star system mondiale come Gagosian a Beverly Hills o Regen. La nostra scelta è caduta su Chinatown perché ci sentiamo vicini allo spirito di questa zona: intendiamo cioè collaborare e dialogare con le scuole e le accademie, che qui sono di buon livello, con i giovani curatori e i giovani artisti.
Com’è stata presa dai tuoi colleghi italiani questa tua scelta di bilocarti a Los Angeles?
Molti non capiscono la scelta di aver aperto qui e non a New York, città con la quale l’Italia ha rapporti storici radicati. Ma a New York tutto è più strutturato e organizzato; Los Angeles è invece, nel bene e nel male, il luogo della creatività pura e istintiva.
Quello italiano è un sistema di piccoli sistemi, una serie di micromondi impermeabili che non interagiscono e sembrano ignorarsi. Sono tutti sistemi legittimi, che esprimono economie autonome e che hanno perfezionato canali per intercettare e alimentare collezionisti e investitori. Non credo all’esistenza di sistemi di serie A o di serie B, esistono buoni artisti, buoni lavori, e cattivi. A me piacerebbe, so che è impresa difficile se non utopica, diventare una realtà trasversale e puntare sulla qualità del lavoro a ogni livello. Se devo essere franco, ho la sensazione che artisti, galleristi e curatori italiani dovrebbero essere più consapevoli di ciò che accade nel mondo. Non nel mondo ristretto che si sono immaginati intorno, ma nel mondo inteso nelle sue diversità. Negli States non esiste un solo sistema e non esiste una sola arte americana. Non è raro vedere transitare artisti e curatori dall’uno all’altro sistema così com’è naturale per le gallerie esplorare vari ambiti di ricerca contemporaneamente. Non ci sono pregiudizi. In Italia questo è pressoché impossibile e ogni soggetto del sistema ha una sua etichetta, un recinto chiuso di destinazione. Io credo invece che sia giusto mettersi sempre in discussione e non accontentarsi dei traguardi raggiunti. E credo che questa scelta impegnativa di aprire uno spazio a Los Angeles lo dimostri.
a cura di alfredo sigolo
[exibart]
Per la prima volta BUILDINGBOX dedica una mostra monografica della durata di un anno a un’unica artista, Chiara Dynys: Private…
Sembra antico ma non è: la galleria diretta da Leonardo Iuffrida debutta con una bipersonale che richiama le suggestioni della…
Van Gogh Café Opera Musical: al Teatro Brancaccio di Roma, un nuovo spettacolo di Andrea Ortis che riporta il grande…
I giganti del mercato mondiale in dialogo con il lusso e i capolavori degli artisti local, per un'offerta ovviamente glocal…
Il Giardino delle Camelie di Boboli, un gioiello di arte e botanica, riapre stabilmente al pubblico dopo i restauri, con…
Ci sono i grandi nomi del design italiano e internazionale in vendita da Cambi, a Milano. Sguardo in anteprima agli…
Visualizza commenti
notizie scontate. State creando un personaggio "Bonelli" che non esiste nell'arte vera.
Farete la fine di Arte della Mondadori....novella 2000 dell' ( arte )
w il giornale dell'arte
Peccato Lucia, così alimenti solo lo status quo. Bonelli è giovane, forse troppo entusiasta, lavora in maniera diversa, ma l'Italia ha bisogno di queste figure. Certo se ti va bene il Giornale dell'Arte allora non c'è discorso che tenga.
Giovanni Bonelli è una persona seria, onesta, che non lascia buffi e che rischia del suo, cara Lucia, il sistema dell'arte italiano ha bisogno di persone così, poi può fare scelte non condivisibili, ma quello è secondario, è democrazia, ma merita tutto il rispetto per la sua onestà intellettuale.