Le serre agricole di Pompei, il porto industriale di Napoli e l’ex Italsider di Bagnoli, luoghi di confine, in cui i ritmi della natura e i processi antropici si sovrappongono in maniera non sempre pacifica, spazi di attraversamento, anzi, di bilico, sul punto di scivolare tra la desolazione e la vita, da una parte o dall’altra. Sono questi gli scenari scanditi da Le massacre du printemps, opera video di Mathilde Rosier, coprodotta dal Museo Madre e da Residency 80121, piattaforma fondata nel 2017 da Raffaela Naldi Rossano, presentata nel corso di un’anteprima curata da Andrea Viliani.
«Una danza agraria su Napoli», la definisce l’artista nata nel 1973 a Parigi, una coreografia dall’atmosfera catastrofica e ispirata alle suggestioni della Sagra della primavera, Le sacre du printemps, l’iconico balletto ideato, tra il 1911 e il 1913, da Vaslav Nijinsky su musiche di Igor Stravinsky, per la compagnia dei Balletti russi di Sergej Djagilev. Per la sua opera, entrata nella collezione del Madre, Mathilde Rosier ha tratto ispirazione anche dai costumi e alle scenografie di Nicholas Roerich che colpirono il pubblico dell’epoca per la capacità di evocare un’ambientazione tanto mitica quanto arcaica e misteriosa. «Roerich pensava ad una fine del mondo imminente ma con la speranza di rinascita per un’umanità più saggia», ha spiegato l’artista.
A costituire lo scenario dell’opera, tre differenti luoghi matrice: le serre di Pompei, «metafore di come l’intensa produttività possa essere parte di un processo micidiale», il porto industriale e il centro della città di Napoli, dove «l’inquinamento e l’incoerenza dell’attività umana danzano sul vulcano», infine l’ex sito industriale e la baia di Pozzuoli, «una terra gravemente contaminata e un’area marittima abbandonata, la cui desolazione contrasta con una bellezza seducente». Insomma, una danza di morte e rinascita, devastazione e speranza, in un ciclo che riunisce uomini e territori.
L’opera si suddivide in due parti, che interrogano i principi stessi del balletto originario. Nel primo atto dell’opera di Stravinsky, intitolato The Adoration of Earth, vengono richiamate le danze agricole della Russia pagana. Una gestualità rituale che però, in Le massacre di Printemps, diventa The Exploitation of Earth, preludendo quindi al tragico destino di sfruttamento della terra. «I contadini diventano spighe di grano, il destino dell’umanità si lega a quello delle piante. Trattiamo noi stessi come trattiamo le piante, industrializzate, mercificate. La cieca ricerca della crescita, dell’avidità, la cupidigia, riflettono solo la nostra incapacità di essere soddisfatti. Questa insoddisfazione senza fondo è la ragione del disastro», ha spiegato Rosier.
La reinterpretazione di Rosier continua anche per il secondo atto, in cui il sacrificio di una ragazza per implorare il ritorno della primavera si trasforma nella metamorfosi di tutti i contadini e dei campi di grano in una foresta di alberi, che si espande sulla città e sul sito industriale che, prima, aveva il nome di Napoli.
«Nei dipinti barocchi presenti in molte chiese di Napoli e negli ex-voto, la Vergine Maria e gli angeli fluttuano sui mortali con l’intento di proteggere e salvare questo caotico mondo. Per molti di noi il messaggio cattolico non è riuscito a rispondere alla questione ontologica, ma quell’immagine ci resta dentro. L’immagine di un regno invisibile di creature sovrumane capaci di riempire la sensazione di vuoto che rende vuoto il nostro petto e secco il nostro cuore. Forse quelle creature sovrumane vanno ritrovate nelle forme della natura, negli alberi e nelle foreste che abiteranno il nostro petto. Dobbiamo ri-ossigenare il nostro petto con questa foresta, sentirne la pienezza dentro di noi, lasciare che ci riempia il cuore e i polmoni», ha concluso Rosier.
Dopo la presentazione al Madre, l’opera Le massacre du printemps sarà inclusa nella mostra personale dell’artista al MASP-Museu de arte de São Paulo, incentrata sui rapporti fra agricoltura e danza e sulla contrapposizione tra l’industria agricola brasiliana e la culture teofanica delle popolazioni indigene.
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