MEET Digital Culture Center è poliedrico, multidisciplinare e trasformabile. Si trova a Milano in un palazzo storico del Novecento, nell’ex spazio Oberdan acquistato da Fondazione Cariplo e restaurato su progetto di Carlo Ratti. Fondatrice e presidente Maria Grazia Mattei che sin dagli anni Ottanta esplora i territori del digitale e le frontiere dell’innovazione tecnologica. Questa sua indagine a 360 gradi è confluita nel 2005 nella piattaforma Meet The Media Guru che ha portato in Italia numerose testimonianze internazionali di pionieri, pensatori e ricercatori del nostro tempo. Ci siamo fatti raccontare i punti cardine del centro, la sua linea “editoriale”, gli obiettivi, le ambizioni e le prospettive.
Quali sono le parole chiave per definire MEET?
«Experience, digitale, cultura, creatività/arte».
Gli obiettivi?
«Essere uno snodo fisico di un network internazionale. Mancava un punto di riferimento forte che connettesse idee e persone in maniera diversa con l’Italia. Valorizzare le nostre punte di creatività e le nostre eccellenze con una circolazione e disseminazione anche in un contesto internazionale. Contribuire a lavorare per superare un digital divide che in Italia, oggi, è culturale prima ancora che tecnologico. Creare consapevolezza sul processo in atto di trasformazione della nostra società nella dimensione digitale e fisica. Internazionalizzazione, quindi, valorizzazione, aumento della consapevolezza e diffusione della cultura digitale».
La linea editoriale?
«La nostra linea d’intervento si sviluppa attraverso traiettorie tematiche che enucleiamo a fine anno per quello successivo. Nel 2020 abbiamo avuto una forte attenzione sulla ricerca e sull’esplorazione di più livelli di creatività. MEET è il luogo delle tendenze, un periscopio più che un osservatorio. Tutto il MEET è uno spazio education, fisico e virtuale, con un interesse alla trasmissione di idee, di contenuti e approfondimento. È un ambiente “fluido” in cui entri e apprendi sempre qualcosa. Che sia una lecture, una mostra, un laboratorio, un workshop o l’incontro con un guru».
Con MEET, quindi, le classiche barriere di on site, off site e online cadono.
«Sì, sia come spazio fisico che come programmazione. Ricordo che in Mediateca — spazio a Milano dove si svolgevano in presenza e in streaming gli incontri di Meet the Media Guru, n.d.r — dicevo “voglio sfondare questi muri”. Già allora volevo una comunicazione che interpretasse i parametri della cultura digitale. Una cultura che si sta plasmando intorno a diversi comportamenti e stili di vita indotti anche dalle tecnologie».
La tecnologia, oggi, non va a braccetto con l’ecologia. Come si rapporta MEET col pensiero critico?
«Col ciclo di programmi che ha preceduto la nascita di MEET — che è Meet The Media Guru — ho sempre aperto a riflessioni a tutto tondo e su più campi, mettendo spesso l’accento proprio sugli aspetti critici. Non solo d’impatto nella società in trasformazione ma anche i rischi di uno sviluppo accelerato della tecnologia — pensa all’Intelligenza Artificiale —, sollevando questioni nell’eticità della progettazione. Un tema oggi su cui riflettere con attenzione è l’impatto di tutta questa accelerazione nell’uso del digitale — computer, server, consumo energetico. Anche la mobilità digitale ha delle criticità perché porta al consumo di risorse, impattando fortemente sull’ambiente. MEET ha tre perni nello sviluppo dei suoi programmi: creatività, approccio critico per acquisire più consapevolezza e le radici del nuovo. C’è una storia importante analogica che prelude a ciò che sta succedendo oggi. E c’è una storia del digitale che ai più sfugge che vale la pena far conoscere per ricostruire un processo che è irreversibile. Costruire un sapere critico è necessario. MEET è un processo mai finito e in costante divenire. Non è solo un edificio fatto di muri ma un organismo che si evolve».
Per restare sull’approccio critico e sull’acquisire consapevolezza, penso a un recente intervento del filosofo Maurizio Ferraris — di cui è da poco uscito il libro Documanità. Filosofia del mondo nuovo per Laterza — che afferma che noi tutti lavoriamo ogni giorno, inconsapevolmente, per le grandi piattaforme commerciali poiché forniamo loro dati di comportamento che vengono raccolti, classificati e capitalizzati. Senza tanti giri di parole, lui sostiene che dovremmo essere pagati per questo.
«Ha ragione. I nostri dati hanno un enorme valore economico. Siamo i nuovi sfruttati senza rendercene conto. Una delle linee di MEET è la Digital Literacy (alfabetizzazione digitale, n.d.r) pensando ai giovani, agli studenti, agli insegnanti e ai cittadini. E uno dei temi che affronteremo è quello della consapevolezza. Per non essere in balia delle tecnologie ma consapevoli nell’uso e nella comprensione di questo processo. E come lo faremo? Con dibattiti, convegni ma anche con l’aiuto di artisti e creativi che aiutino le persone a capire. Si tratta di aprire delle piste educative su questi temi (dati, privacy, machine learning…) perché rischiano di travolgerci senza che sappiamo minimamente capire quello che sta avvenendo. Il tema vero è come aumentare la consapevolezza delle persone».
Sempre Ferraris, di contro, ha parlato di una “Dittatura del proletariato”, una sorta di panottico inverso. Oggi grazie ai social, tutti noi, abbiamo a disposizione strumenti che hanno un forte potere d’influenza, culturale, sociale e politica.
«Immagina di avere questo potere su una base di inconsapevolezza. Il paradosso dei paradossi. Mai l’umanità ha avuto a disposizione degli strumenti così potenti per esprimersi e intervenire. Su questi temi è importante lavorare in sinergia e fare rete».
I numeri di MEET Digital Culture Center
Anno di fondazione: 2018
Inaugurazione: ottobre 2020
Metri quadri: 1500 su 3 piani
Immersive room di 200 mq dotata di 15 proiettori in 4k per immagini continuative su tre pareti; Theater di 230 mq con 189 sedute con schermo cinema cielo-terra e palcoscenico 10×3 mt; Scala Abitata di 75 mq, alta 15 mt con 2 proiettori e 3 schermi
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