“Mi scusi c’è un’opera in sospeso?” è un progetto itinerante che vede protagonista l’accademia delle belle arti di Reggio Calabria, sotto la direzione di Piero Sacchetti e la curatela di Marcello Francolini e Salvatore Borzi, e che esce dalle logiche classiche dell’evento espositivo contenitore, offrendo al passante la possibilità di avvicinarsi all’arte contemporanea attraverso il valore del legame. Abbiamo intervistato il curatore del progetto, Marcello Francolini.
«A oggi c’è un cambio della formulazione dei processi delle opere d’arte, rendendo tutto più complesso. Ormai è presente una nuova generazione che si muove verso una scorporazione dell’opera e l’immagine, dunque, non è più fine a se stessa, ma diventa frutto di interconnessioni e relazioni. Non si circoscrive più il processo in modo precostituito, ma viene pensato come qualcosa di aperto, sconfinato e che deve rispondere sempre di più alle esigenze e alle necessità del grande pubblico. Il curatore e il critico si fanno carico di una grande responsabilità di fronte a tale scenario, ma dall’altro lato, ripensando per esempio al Padiglione Italia della Biennale di Venezia, noi italiani siamo tornati alla pittura; è una pittura tradizionale, che riporta a regole tradizionali. C’è un tentativo di ritorno verso una dimensione simbolica, forse per reazione al fatto che l’immagine domina nella società. Se dunque questa è insita ormai nella realtà e di riflesso nell’arte, allora le immagini derivano da elementi che non possono non prescindere dal loro dato reale e quindi da quello relazionale ed esperienziale. Questo fenomeno implica che si verifichi una forma di connubio fra arte ed economia che non si limita più a un mero processo di sponsorizzazione, ma di costruzione di un valore culturale».
Perché allora avete scelto di pensare a un progetto relazionale?
«Poiché l’arte relazionale invade i rapporti sociali e agisce economicamente nei rapporti reali; produce occasione di riflessione, di dibattito e offre la possibilità alle persone di incontrarsi. Con l’operazione “Mi scusi c’è un opera in sospeso?” noi creiamo un legame di tipo alternativo. Al valore di scambio opponiamo il valore di legame, facendo in modo che l’azione dell’arte non sia più finalizzata all’immagine, ma si trasformi in un veicolo per instaurare relazione diretta tra il passante e l’opera stessa».
Come funziona nello specifico il progetto?
«Entrando nel gioco, registrandosi, il fruitore di quella data opera, diventa collezionista ma solo se non trascurerà il processo relazionale: si attiva dunque una nuova modalità che vede quest’ultimo entrare a contatto con il mondo dell’accademia e incontrare l’artista dell’opera; ricevere una pubblicazione e se lo vedrà selezionato fra i “4 collezionisti” parteciperà anche al processo di realizzazione di un’ulteriore opera. Agendo sul dono, però, si dà vita a un patto…».
Come può essere incentivata successivamente la compravendita di un’opera da parte del potenziale collezionista, se l’iniziativa fa riferimento alla logica del dono, come atto gratuito?
«Si parte dal presupposto che una prima forma di rapporto nasca da un atto d’amore e di generosità, determinando un modello di ipotesi di progetto di relazione alternativo e prevedendo anche, fino a un certo grado, un ulteriore avvenimento potenziale. Dalla potenzialità e dalla possibilità al fruitore non viene soltanto elargita un’opera, ma anche tutta la conoscenza storico-processuale della grafica d’arte e che da essa deriva, partendo dalla calcografia al monotipo. È un progetto che tenta di realizzare un avvicinamento o un’idea…».
Una sensibilizzazione…
«…un’affezione e una sensibilizzazione, senza inscenare un evento che funga da barriera. L’ambiente di Reggio Calabria, per l’appunto, non è una città che non ha la partecipazione di sue gallerie alle fiere, perciò manca la logica del grande evento in merito all’arte contemporanea. Questo scenario nel territorio locale permette pertanto di avere più possibilità progettuali e di sperimentazione, che possono poi lateralmente essere trasferite in altre realtà più grandi, sfruttando proprio la loro forma sperimentale».
Le opere sono state realizzate in occasione del progetto o fanno parte della produzione personale degli artisti ?
«Il progetto vede la partecipazione del biennio di pittura, che ha realizzato appositamente le opere site-specific, e il biennio di grafica che invece ha portato altri lavori già realizzati durante i precedenti anni accademici, sotto la supervisione dei docenti Vincenzo Molinari e Francesco Scialò. Le opere sono indipendenti, non seguono un filone tematico e abbiamo pensato di inserirle nell’asse urbano che parte dal Museo Archeologico a piazza Garibaldi, all’interno del quale sono presenti punti aggregativi specifici, quali monumenti e piazze storiche. I lavori sono installati in bacheche di compensato non affisse, ma appoggiate, che presentano un adesivo contenente il logo dell’accademia, del comune e le relative istruzioni tramite il QR code per registrarsi. Valutando il primo impatto, il progetto ha generato interesse da parte di pubblici diversificati con la partecipazione diretta di associazioni o piccole attività imprenditoriali interessate a dar vita a un’inter-progettualità. La cosa fondamentale è l’azione che si è generata nella distribuzione. La prima azione infatti è durata 200 minuti con la distribuzione di 70 opere».
Sebbene oggi la sperimentazione artistica sia scevra e svincolata da canoni prestabiliti sul medium utilizzato, perché la scelta è ricaduta nella tecnica della grafica d’arte che simboleggia quasi un ritorno a una realtà laboratoriale e artigianale? Quale sarà poi il passo successivo?
«Perché quando inizi ad approcciarti alla lingua si parte dallo studio dell’alfabeto e della sua grammatica. La tecnica classica ti dà la disciplina e ti offre un primo approccio. La mia previsione successiva è quella di introdurre le sculture in modo che, compiuto l’anno, il fruitore e la comunità fidelizzi il progetto».
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