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Milano, la Libreria Bocca compie 250 anni e li celebra con un artista-artigiano
Progetti e iniziative
È un’epoca veloce, la nostra. Isterica, nevrotica, jazzistica, quasi rapsodica, talvolta. Tutto accelera e nulla rallenta. A rischio di sacrificare, spesso – per istantaneità, esecutività, efficienza e sveltezza – la qualità delle cose. E se, per questa ragione, l’ampiezza di molti lavori artistici contemporanei è raro che resti nel tempo degna di nota, ancor più raro è scovare, in questo “neo-futurismo” che passa dalla città che sale alla città che sballa, quel vecchio, caro, autentico, disteso, sereno, risolto – e una volta inevitabile – rapporto con la materia, con la creazione, con l’autenticità e, soprattutto, con l’opera a cui si tenta di dare vita: non solo tra l’opera e lo spettatore, ma anche tra se stessa e il proprio autore.
Generando uno schema che, perdendo d’incanto e di poesia, trasforma il committente in dittatore, l’artista in esecutore, l’opera in prodotto, lo spettatore, come diceva Pasolini, in consumatore. Tutto urla, tutto si esibisce in maniera scomposta e i sussurri annegano nel non ascoltato, entrando spesso a piedi pari nel mai esistito, pur talvolta pregni di un talento o di una perseveranza appassionata.
Federico Fellini, in 8 e 1/2, ci butta chiaramente addosso il problema con spietatezza e trasparenza: ci sono già troppe cose superflue al mondo, non è il caso di aggiungere altro disordine al disordine. Siamo soffocati dalle parole, dalle immagini, dai suoni che non hanno ragione di vita, che vengono dal vuoto e vanno verso il vuoto. A un artista non bisognerebbe chiedere che quest’atto di lealtà: educarsi al silenzio. Noi critici facciamo quello che possiamo. La nostra vera missione è spazzare via migliaia di aborti che ogni giorno, tentano di venire al mondo.
Da questo punto di vista e con queste premesse, il vero privilegio dell’inciampare in dimensioni come quella di Lillo Loris genera, oltre a un trasporto in un tempo lontano, silenzioso, sobrio e che sembra non esistere ormai più, un ritrovato trasporto emotivo nei confronti di creazioni che ci catapultano in una dilatazione temporale che, se non fosse per la densità della passione con cui esse vivono (o rivivono), risulterebbero categoricamente fuori gioco rispetto alle dinamiche inquiete e disorganiche del nostro tempo.
Lillo Loris attraversa il tempo, affronta le ore, vive il minuto, esiste nei secondi che passano, chiede udienza alle lancette che scorrono: in un concetto solo, ha sempre necessità impellente di larghe durate, di silenzio e di solitudine per esprimersi e realizzare le sue opere; si colloca, come un chirurgo, dentro raggi d’azione che non soltanto generano o trapiantano nuovi elaborati di gusto antico incastonandoli dentro scenari contemporanei con la sapienza e la finezza di chi ha da sempre allenato la visione armonica e delicata delle cose, ma anche rivitalizzando ciò che di prezioso proviene dal nostro passato in eredità di gusti e scelte estetiche consapevoli e ben definite, restaurando corpi di materia e di visioni che, ad immergervisi, hanno tutti l’odore dell’oblio addosso: sono tutti avvolti dal rischio del poter essere perduti e dimenticati per sempre da un momento all’altro, trascurati dalla modernità indifferente che li circonda.
Lillo Loris, nella vita, fa l’artista. Anzi, lo è nell’interpretazione della vita. Di un’artisticità e di una vitalità che, però, contrariamente a quando il nostro tempo sembra richiedere, non ha bisogno di urlare o di dimenarsi per essere notata. E così come, nella vita, fa l’artista, nella professione invece fa il grafico, il disegnatore, il letterista, il tipografo, il calligrafo, l’insegnista, l’illustratore e tutta una serie di altre attività satellitari che, richiedendo e indagando appunto il tempo che scorre, lo rendono un vero e proprio ricercatore meticoloso o, un artigiano d’altri tempi calato nel nostro tempo.
L’artista sembra fuoriuscire da quel monito che Umberto Eco sussurrava timidamente quando ci ricordava che “per quanto il progresso possa avvenire inderogabilmente, alcune tecnologie primarie resteranno inalienabili: la ruota, per esempio, o la carta e la matita”. Con le dovute declinazioni a questo paradigma, infatti, Lillo Loris sembra non curarsi della schizofrenia attorno e si concede tutto il – proprio – ritmo necessario affinché la natura artigiana dei – propri – lavori emerga con qualità maniacale e inequivocabile, anche a costo di perdere nuove committenze. È quasi tattile e molecolare, infatti, il rapporto tra Lillo Loris e la propria opera. Granulosità infinitesimale e millesimata che arriva anche allo spettatore che, per lo più inconsapevole fino a quel momento, comunque percepisce, annusa, intuisce, un sentore di manualità e di analogico che porta a commuovere dinanzi a ciò che ci sta attorno e alla spericolatezza con cui queste qualità risultano testardamente perseguite.
Con la Libreria Bocca, Lillo Loris, in occasione del 250mo compleanno dell’affascinante e storica realtà, trova un sodalizio naturale e inevitabile. In un’epoca come la nostra la lettura è, in fondo, la sola attività rimasta ad escludere completamente qualsiasi altra occupazione mentre la si agisce: richiedendo massima e assoluta concentrazione su se stessa ed inabilitando qualsiasi altra mansione parallela. E, in questo senso, la Libreria Bocca, si impone come un’istituzione, una piccola e valorosissima cattedrale del sapere e del piacere della letteratura, o appunto della lettura.
Parimenti, come vedevamo, l’approccio artigiano di Lillo Loris, nega e scarta ogni operatività sincrona. Su questo presupposto valoriale e meccanico che alberga nell’invisibile e nel concettuale, la Libreria Bocca identifica nelle modalità dell’artista uno specchio in cui rivedersi per decorarsi con un iconico “250 anni” che compare sulla celebre vetrina della sede storica a firma dell’artista pugliese. Un’operazione che non urla, non sbraita, non vuole fare rumore o essere abbagliante a tutti i costi; ma che, anzi, oltre che creare un inaspettato ponte geografico in cui a vincere è l’italianità tout court, conferisce vita a un gesto di sapiente rispetto delle modalità passate, anche nell’espressione. Loris lavora sì in perfetta linea coloristica rispetto ai vincoli che la sontuosa Galleria Vittorio Emanuele stabilisce per l’attività che raccoglie, ma lo fa anche con una modalità antica e in piena linea con una sapienza per lo più perduta, che riporta alla luce: usa la foglia d’oro “come una volta” per operare.
Non trascurando quella altissima tradizione, che viene mescolata con l’innovazione attraverso la cifra stilistica presente nel “250 anni” che progetta e presenta. L’interruzione delle linee presente in ogni carattere del “250 anni”, infatti, simboleggia senza perdere di sinuosa classicità uno scricchiolare non solo di alcuni valori remoti che rischiano di essere perduti, ma sono anche metafora di alcuni avvicendamenti tempestosi e intermittenti che la Libreria e l’artista stesso hanno dovuto fronteggiare nel corso della loro storia. Con una linea unica-ma-spezzata Lillo Loris crea un’allegoria visiva della fatica del resistere al tempo e alla modernità sfrenata che assale e attenta l’analogico da ogni parte e da tanto tempo, ormai. Con l’ausilio di uno splendore finale, ottenuto, dall’oro, che è come se volesse imperare senza imporsi su un futuro che non può non tener conto del proprio passato – come tutta la cultura autentica presuppone.
Evocando la potenza di una riflessione forte e delicatissima, scritta da Leo Longanesi in La sua signora, nel 1957: La miseria, è ancora l’unica forza vitale del paese. E quel poco o molto che ancora regge, è soltanto frutto della povertà. Bellezze dei luoghi, antiche parlate, virtù civiche e specialità artigiane, sono custodite soltanto dalla miseria; e laddove essa è sopraffatta dal sopraggiungere del capitalismo ecco che si assiste alla completa rovina di ogni patrimonio artistico e morale. Perché il povero ha antiche radici in secolari luoghi; mentre il ricco è di fresca data, improvvisato, grossolano, nemico di tutto ciò che lo ha preceduto e che lo umilia: la sua ricchezza è stata facile, nata dall’imbroglio, da facili traffici e sempre o quasi imitando qualcosa che è nato fuori di qui. Perciò, quando l’Italia sarà sopraffatta dalla finta ricchezza – che già dilaga – noi ci ritroveremo a vivere in un paese di cui non riconosceremo nè più il volto, nè l’anima.
Brilla, il nuovo decoro della Libreria Bocca a firma di Lillo Loris, ma non con volgarità. Scintilla, ma non con scompostezza o con smanie di protagonismo inutili. Si muove, ma non si dimena con la pretesa d’esser visto a tutti i costi come una medaglia al petto di sola vanità. È un piccolo granello di sabbia nella storia che ha infinite storie da raccontare. E che un contenitore preziosissimo come la Libreria Bocca ha voluto ricordare al mondo, grazie alla piccola favola possibile con il contenuto di un grande artista artigiano del silenzio come Lillo Loris.