MODENA METTE A FUOCO LA FOTOGRAFIA

di - 24 Giugno 2009
Tutto è cominciato con Asian Dub Photography, lo scorso inverno. Un colpo grosso. Un’esposizione degna dei più importanti musei internazionali, autori e lavori interessantissimi e un programma di eventi collaterali decisamente cool. Qual è stato l’investimento della Fondazione per questa prima tappa della collezione?
Asian Dub Photography si configura quale primo nucleo di opere acquisite per la collezione internazionale, sulla base di un programma triennale che muove per aree geografiche via via indagate attraverso il linguaggio delle immagini. Onestamente non ricordo quale sia stato il primo artista scelto e di conseguenza le prime opere realmente acquisite. Non lo ricordo perché l’acquisto vero e proprio è il momento ultimo di un percorso relativamente lungo, che parte dall’indagine di un Paese nella sua recente storia artistica, attraverso l’analisi di correnti, tendenze e ovviamente artisti, per arrivare al contemporaneo stretto, e a quegli artisti che più specificamente ci sembrano rappresentarlo. Creare una collezione presuppone un metodo di lavoro ben diverso dal lavorare attorno a un tema o a un’idea, come può succedere per una mostra. Nel nostro caso abbiamo cercato d’includere artisti dai quali non era possibile prescindere nel voler restituire un’immagine coerente e contemporanea di un Paese, puntando poi sugli autori emergenti, in Giappone come in Cina, Tailandia, Corea ecc. Da cui, appunto, la sensazione di trovarsi di fronte a un mondo in grande e rapida trasformazione, a volte assordante e ridondante, dub.

Un valore aggiunto della Cassa di Risparmio di Modena è la costante attività espositiva della sua collezione e la costante promozione dei suoi progetti. Purtroppo un caso piuttosto isolato nel panorama italiano. Quale percentuale dei suoi investimenti è dedicata alle acquisizioni vere e proprie e quanto all’attività espositiva e promozionale?

Operiamo riferendoci a budget ben definiti per le acquisizioni internazionali, così come per quelle relative alla collezione italiana (inclusi i progetti speciali dedicati ai giovani artisti), mentre per quanto concerne le mostre il budget varia a seconda delle esigenze di allestimento che ogni volta si presentano, e ovviamente agli eventi collaterali che riteniamo opportuno organizzare a sostegno dell’offerta culturale. Campagna stampa e promozione viaggiano così di pari passo con l’impostazione generale del progetto. Ad esempio, molte energie sono investite nella didattica e nella formazione di figure professionali in grado di interfacciarsi con il territorio, e così di amplificare il significato del nostro lavoro. Che, tengo a sottolinearlo, volge alla costruzione di strutture permanenti – le collezioni, innanzitutto – visibili e consultabili da chiunque: un patrimonio a disposizione della collettività.

A quanto ammonta il budget effettivo per le acquisizioni?
A circa un milione e mezzo di euro per triennio.

Il tuo mandato è iniziato un paio d’anni fa. Alla luce dell’attuale crisi finanziaria è stato modificato il tuo raggio d’azione o il budget iniziale che avevi a disposizione?
No, investimenti e programmi sono stati confermati, solo ancor più definiti, se vogliamo. Abbiamo ovviamente prestato grande attenzione alla gestione dei budget relativi all’organizzazione degli eventi espositivi, ma occorre qui sottolineare come la Fondazione abbia sempre privilegiato un tono discreto e concreto nella promozione delle sue attività, decisamente lontano dal glamour che spesso accompagna questo genere di operazioni culturali. Senza dubbio opportuno in un momento di evidente difficoltà come quello che l’economia mondiale sta attraversando.

Oltre al curatore, qual è lo staff che si occupa effettivamente delle acquisizioni e che ha potere decisionale?
Mio compito precipuo è quello di studiare, selezionare e sottoporre alla Commissione Cultura della Fondazione documentate proposte di acquisizione.

L’ulteriore tappa della Fondazione è stata l’acquisizione delle pietre miliari della fotografia italiana, che ha dato luogo alla mostra Uno, la quale ha infatti racchiuso i nomi essenziali del nostro passato prossimo. Su quali lavori in particolare è caduta la tua scelta?
Uno sono state fatte di comune accordo con gli artisti. Abbiamo cercato di acquisire nuclei di opere rappresentativi dello stile e della storia di ognuno di loro. Sono stati privilegiati dunque “corpi” di lavori oppure singole opere che testimoniano momenti decisivi nel loro percorso artistico, com’è successo con il Bar Code 2 che Vaccari ha appositamente realizzato per noi, un’edizione aggiornata dell’installazione presentata alla Biennale di Venezia del 1993. Di Ghirri abbiamo acquistato alcune fra le immagini più emblematiche della celebre serie realizzata a Versailles; di Fontana un corposo numero di Paesaggi Urbani; di Basilico vedute di città fra le più note, a comporre una sala che resterà permanente come il Bar Code 2 di Vaccari; di Jodice un significativo insieme di opere dalla serie Mediterraneo.

L’appuntamento per la prossima tappa è invece con alcuni autori della generazione successiva e suppongo che la selezione non sia stata facile. Potresti scegliere per ogni artista una sola parola o una motivazione che giustifichi la sua presenza all’interno di questa piccola rosa di selezionati?
I giovani della mostra Due, che verrà inaugurata a settembre, sono stati scelti in base ai progetti presentati lo scorso anno. È stato messo in rete il bando relativo all’edizione 2009, per la quale verranno selezionati altri tre progetti. A Ferrero Merlino, Pirito e Rivetti abbiamo poi aggregato altri tre autori della generazione precedente, Andreoni, Campigotto e Thorimbert, cercando di dar conto di tendenze e stili diversi, come del resto appare ancora oggi molta della fotografia italiana, pur orientata verso l’esplorazione del paesaggio contemporaneo, con approcci ovviamente differenti. Per questo mi riesce difficile trovare una parola o una motivazione che possa identificarli. Credo che, dopo anni di maturazione e resistenza, la nostra fotografia cominci ad avere una sua fisionomia guardando alla generazione dei più giovani, quelli che hanno fatto tesoro delle esperienze degli autori del passato e che certamente sono più consapevoli dei sistemi che regolano il mondo dell’arte, cui appartiene la fotografia.

Le prossime acquisizioni riguarderanno i Paesi dell’Europa dell’Est. Puoi già rivelarci qualche nome sicuro?

Saranno più di 25 gli artisti presenti nella selezione dedicata all’Est Europa. Fra questi, Ene-Liis Semper, Aleksander Petlura, Roman Ondak, Renata Poljak, Irwin, Alexandra Croitoru, Monachisa e Tkacova, Milica Tomic, Maja Bajevic, Banu Cennetoglu.

Continueranno le acquisizioni anche in ambito italiano?
Sì, certamente la collezione italiana proseguirà con due appuntamenti per anno, senza seguire però un preciso ordine cronologico. Di questi, uno sarà sempre dedicato ai giovani.


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a cura di francesca mila nemni


Info: info@mostre.fondazione-crmo.it; www.fondazione-crmo.it

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  • Mi congratulo con Maggia per aver scelto lavori di autori che hanno usato sapientemente il mezzo fotografico per connotare, utilizzando il reale pregnato di un "senso" che condividevano. Ghirri è un esempio significativo di questo percorso
    e già nel lontano 1981, quando organizzai a Salerno "Foto, grafia flessibile includendo una sua mostra, ebbi modo di sottolinearlo
    nel seminario all'Universita, Facoltà di Lettere, dedicato a lui.
    Non sono contrario ad una realtà virtuale
    elaborata per "connotarla" e dare il "senso" dell'autore, ma è tutt'altra cosa.
    La "scrittura di luce" resta quella che in tempo reale offre nel "vero più vero del vero", il senso che l'operator intende
    trasmettere.
    Antonio Tateo, direttore dell'Olds

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