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23
novembre 2017
Mosaici in versione 2.0
Progetti e iniziative
A Ravenna torna la quinta edizione della Biennale che guarda alle tecniche antiche, con sorprese contemporanee. Ecco il nostro tour, rigorosamente in bicicletta
Si resta incantati da Ravenna, perché è scintillante e non solo per i suoi preziosi mosaici. C’è grande fermento e aria vibrante in città, soprattutto da quando in occasione della Biennale del mosaico tutto riparte. Le basiliche bizantine si ripopolano, i laboratori fanno a gara con l’iniziativa “Inferno in bottega”, le bici scorazzano lungo le stradine del centro. Parte del merito delle decine di attività e delle mostre allestite nei principali musei (TAMO, MAR, Domus) va allo spirito associativo dei suoi abitanti, delle organizzazioni culturali e dei musei che funzionano anche se divisi tra Curia e Comune. Questa vivacità comunale in fondo inizia da subito, dalle sue origini, da quando Onorio (con la sorella Galla Placidia) nel 402 la preferiscono a Mediolanum.
La città, che eccelle anche dopo (tra 493 e 526), con l’esaltazione gota e la preferenza per la religione ariana di Teodorico, ha un sussulto ancora con Giustiniano e Teodora perché attraverso l’evoluzione in chiave di astrazione bizantina e il ritorno al culto cristiano (San Vitale, Sant’Apollinare) ne fanno la Capitale di un grandioso impero. Anche Dante secoli dopo la sceglie come luogo d’esilio, e Francesca del V canto dell’Inferno era ravennate. Una storia lunga secoli e ricca di prestigio quella di Ravenna tanto che non sorprende scoprire come nel 1903 anche Klimt ne rimanga folgorato. Il segreto della sua pennellata brillante e dorata lo trova proprio qui.
La vivace Biennale di Ravenna è, insomma, una rivelazione. La magia che sprigiona questa città è data da un insieme infinito di cose: dallo splendore di un fascino senza tempo che ammalia e strega, dall’abbraccio caldo delle sue strade e da quell’atmosfera incantata che di giorno si deve al luccicare delle tessere musive e di notte al clima di magia soffusa creata dalla nebbia del nord.
Museo Nazionale, Matylda Tracewska, Senza titolo
Per raccontare l’atmosfera frizzante della città in occasione della V edizione della Biennale non si possono che selezionare alcune tra le numerosissime iniziative in corso. Tanto per cominciare, dal lavoro più effimero, più evanescente di Sergio Policicchio e la sua mostra “La visione dell’invisibile” fino al 26 novembre alla galleria Vibra. Frutto di una maestria a lungo conquistata e acquisita nel tempo, quella di lavorare il mosaico e tutti quei materiali con cui è stato composto per secoli (elementi naturali come marmi, pietre dure, smalti, madreperle, frammenti di terracotta, tessere auree e argentee, e quelli artificiali come paste vitree e terrecotte invetriate) è parte ormai del DNA degli artisti ravennati. Il lavoro di Policicchio sfrutta anche la resa precisa dell’immagine della fotografia (usata al posto dell’arriccio degli antichi). Sulla base fotografica, tecnica da cui parte il suo processo creativo, si impostano le tessere, ovvero frammenti micro, a volte macro di minerali. Impercettibile, quasi etereo è l’esito dei ritratti che sfocia in una sorta di astrazione affascinante perché i contorni sono volutamente incompleti (come un antico mosaico in cui alcuni pezzi si sono staccati) sfumate le immagini, impercettibili le visioni. Un’altra grande mostra (anche se ha un titolo poco azzeccato) è “Montezuma, Fontana, Mirko. La scultura dalle origini a oggi” (fino al 7 gennaio 2018) esposta al MAR a cura di Alfonso Panzetta e Daniele Torcellini. Il carattere del progetto è enciclopedico, e si estende a un’indagine molto approfondita dello studio delle fonti per ripercorrere con accostamenti inediti e attraverso la creazione di cortocircuiti visivi (con pezzi di arte primitiva) la storia del mosaico, dalle origini – appunto – fino ad oggi. I passaggi à rebours sono molteplici, dalla tomba di Nureyev, passando dalla Transavanguardia, con un focus sui tre artisti che sembra più un pretesto per affrontare in modo critico ed esuberante questo linguaggio di eccezionale versatilità che è il mosaico: non un semplice vestito, o il rivestimento di una superficie. In antichità accadeva che si sovrapponesse precisamente a un dipinto ma è vero anche che essendo spesso collocato a una certa distanza l’artista già ai tempi di Teodorico lasciava la superficie in modo non uniformemente liscia: in questo modo si otteneva sia un particolare effetto di luce con i riflessi, sia il nero delle ombre. Questo modo di creare gli artisti contemporanei lo imparano da lontano ma le loro opere tentano anche una verifica più stravagante di questo linguaggio antico. La mostra, infatti, scandaglia in profondità l’utilizzo delle tessere musive.
Sergio Policicchio. La visione dell’invisibile ibra spazio contemporaneo Sergio Policicchio (foto Enrico Fedrigoli)
Tante le incursioni geniali nel mondo del mosaico di artisti che non solo hanno approntato nuovi modelli di scultura o nuove tecniche, ma l’estensione fino all’oggetto di design è estremamente allargata. Tra le140 opere allestite ci sono anche i sassolini raccolti dal greto del fiume Tagliamento di Nane Zavagno. L’opera si chiama Rosone e racconta una modalità di lavoro in cui in fin dei conti, bisogna entrare quando si va a Ravenna: un procedimento che insegna e regala possibilità preziose come tempo, lentezza, pazienza. Abbandonati schizofrenia e ritmi frenetici, si monta su una bicicletta (mezzo talmente usato in città che è stato realizzato anche un lungo murale con una carrellata di personaggi importanti, da Teodora a Jung) e si percorre Ravenna in cerca delle attività che hanno aderito all’iniziativa “Inferno in bottega”. Una di queste è Koko Mosaico dove opera Luca Barberini che con la sua versione “eretica” aggiorna il linguaggio in modo originale, a metà tra mosaico e fumetto. Altra tessera del grande puzzle di Ravenna durante la Biennale è il premio promosso da GAeM (Giovani artisti e mosaico). Nello spazio espositivo della Biblioteca Classense (che è sede dell’Accademia di Belle Arti) sono esposte tra le altre le opere delle due vincitrici: il pavimento in cassetto Così i sogni restano con i piedi per terra di Sara Vasini, e Senza titolo di Matylda Tracwska che quest’anno entreranno a far parte della collezione permanente dei Mosaici Contemporanei del MAR, dove da tempo sono raccolte decine di opere di artisti noti come Giosetta Fioroni, Adolfo Wild, Mirko Basaldella, Lucio Fontana. Nulla ferma la V edizione della Biennale. Tra gli eventi site specific “Epifanie contemporanee”, le sculture di Marco De Luca sono allestite per la prima volta all’interno dei siti Unesco del Battistero degli Ariani e del Mausoleo di Teodorico, mentre la riproduzione del mosaico pavimentale di San Vitale è stata pensata per l’ingresso del carcere cittadino grazie all’associazione DisOrdine. A Palazzo Rasponi, inoltre, Sicis Destinazione Micromosaico accompagna il progetto con un percorso immersivo multimediale nel mondo dell’oggettistica di pregio e gioielli, espressione massima di perfezione della tecnica.
Sara Vasini, Così i sogni restano con i piedi per terra
Anche la Domus dei Tappeti di Pietra, si risveglia: l’importante sito archeologico collocato sotto la chiesa di Sant’Eufemia, è un vasto ambiente sotterraneo dove sono presenti 14 pavimenti mosaicati del V- VI secolo. E TAMO, il museo all’interno del complesso di San Nicolò (non distante dalla Tomba di Dante) rivive tutta l’avventura del mosaico. Grazie ai cartoni di grandi maestri del restauro, le sinopie, gli smalti e i vetri a foglia d’oro si ridà vita alla tecnica ravennate che trova una sponda nella famosa vetreria Orsoni, la bottega veneziana che rifornisce Ravenna con le sue tessere. Con un’operazione di valorizzazione come questa e la qualità estremamente alta dei progetti espositivi, Ravenna si conferma una Capitale di raffinata cultura. E così si può tornare (seguendo la leggenda) a baciare la statua di Guidarello Guidarelli e convolare a nozze con una città che regala doni come questi.
Anna de Fazio Siciliano