Da un’idea di Davide Bonamini, fonder insieme a Davide Giarolo di VTENEXT – software house italiana con sedi a Verona, Milano e Londra nata nel 2006, che propone soluzioni informatiche innovative e specifiche per aziende di medie e grandi dimensioni – insieme alla psicologa e psicoterapeuta Francesca Turco e a Francesco Varanini, presidente di Assoetica, già docente di Informatica Umanistica presso le Università di Pisa e di Udine è nato, lo scorso ottobre, Spazio Vitale.
Fin dalla sua genesi, VTENEXT ha scelto di supportare Spazio Vitale, condividendo pienamente lo spirito e gli intenti del progetto: sollecitare una riflessione critica sulla relazione tra la tecnologia e le persone con lo scopo di ri-equilibrarla, restituendo centralità al corpo e alle componenti non razionali dell’intelligenza umana, quelle emotive e narrative. Il progetto si avvale per l’attività espositiva della direzione artistica di Domenico Quaranta, che nell’anno corrente curerà due progetti espositivi sui temi dell’intelligenza artificiale e della relazione simbiotica con la tecnologia.
Lo scorso 30 gennaio è nata Fondazione Spazio Vitale, per dare un impulso ancora più concreto alla missione, ed è partito – proprio in questo mese di febbraio – il cantiere che raddoppierà gli spazi, ristrutturando e mettendo a norma anche il piano interrato per ottenere 600 metri di spazio utilizzabile per tutte le attività espositive, narrative – a cura di Francesco Varanini per favorire l’incontro con ospiti dedicati al rapporto con la tecnologia – e formative, rivolte sia a ragazzi che ad adulti, per aumentare la consapevolezza nell’utilizzo quotidiano degli strumenti.
Ne parliamo con Davide Bonamini e Domenico Quaranta.
All’apertura di Spazio Vitale, lo scorso ottobre, il Direttore Artistico Domenico Quaranta affermava «Spazio Vitale è un nuovo spazio che nasce a Verona e che intende dedicarsi alla riflessione critica sul rapporto tra tecnologia ed essere umano». Qual è lo stato attuale di questa relazione?
DB: «Lo stato dell’arte è che ci stiamo rendendo conto che il contesto sociale da una parte ignora del tutto che esista un tema di rapporto tra uomo e tecnologia da rispettare, semplicemente ingoia tutto senza farsi domande. Dall’altra ci sono associazioni, persone, volontari che stanno cercando di dare un senso educativo e narrativo a tutto questa continua rivoluzione tecnologica. Di fatto, una rivoluzione dovrebbe avere un compimento. Nel rapporto tra le persone e la tecnologia non c’è un compimento, non è un percorso in senso classico. Deve essere visto come un punto di equilibrio, magari instabile, ma questo equilibrio va cercato e insegnato, pena la perdita di controllo e lo svuotamento del significato umano dal nostro genere. In questo l’arte ci aiuta moltissimo perché, come dice Domenico Quaranta, resta in una zona ambigua. Siamo noi che siamo chiamati a riflettere, a completare il puzzle».
Vitale è il nome della via e dello spazio ma è anche il ruolo che si vuole ritagliare nel dibattito culturale contemporaneo. Come si manifesta, nelle intenzioni e nell’azione, questa vitalità?
DB: «Lo spazio fisico rappresenta per noi l’elemento differenziante. Siamo costituiti anche di massa, per questo la nostra vitalità non può essere esclusivamente online. A dar seguito a questo pensiero, semplice, l’idea è di dare spazio sia all’arte e a molte altre realtà culturali e/o educative nel mondo dei media digitali che abbiano bisogno di un luogo fisico dove incontrarsi e incontrare altre persone interessate a conoscere meglio il simbionte che siamo».
Lo scorso 30 gennaio si è costituita la Fondazione e nel mese corrente partirà il cantiere che raddoppierà gli spazi. Quali obiettivi avete già raggiunto e in che direzione si muoverà la Fondazione?
DB: «Il nostro scopo è mettere un faro sul tema del Simbionte, indicato dal prof. Longo nel testo omonimo, sia da un punto di vista artistico, sia culturale, sia educativo. Non vogliamo moralizzare ma attivare un processo “etico” di quello che stiamo facendo con la tecnologia. Il New Yorker ha pubblicato per il numero di Dicembre una vignetta dove ritrae tutte le persone a tavola per la festa di Natale, tutte intente a guardare lo smartphone. È realtà estetica e tutto sta nel capire se va bene questa direzione o se iniziare a porci dei limiti, ad autoregolarci. Nel momento in cui questo processo si compirà allora la Fondazione può smettere di esistere. Chimera? Forse ma meglio morire provandoci».
Dopo la mostra inaugurale di Theo Triantfyllidis, cosa c’è in programma per il 2024?
DQ: «I progetti in preparazione sono due mostre collettive. La prima, di scala più ridotta, interesserà ancora prevalentemente il piano terra, dove vorremmo provare ad affrontare l’intelligenza artificiale non tanto come minaccia, divinità o sostituto, ma come specchio dell’umanità, tecnologia esistenziale che ci mostra qualcosa su di noi e sul nostro rapporto col mondo. La seconda, prevista per l’autunno, raccoglierà un numero di artisti maggiore e si distribuirà sui due piani, per affrontare il tema a noi caro della simbiosi tra umano e tecnologico, raccogliendo opere che indagano le forme che ha assunto questa relazione, ne investigano le problematicità, approfondiscono le ragioni del disagio contemporaneo – con un’attenzione particolare ai bisogni primari, quelli legati alla fisiologia del corpo e alla sua sicurezza – e propongono, a volte, prospettive di cura. Sarà la vera mostra manifesto di Fondazione Spazio Vitale, dopo questo primo anno di attività».
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