Non solo tecnologia, anche pensiero

di - 21 Maggio 2016
Caterina Tomeo dell’Accademia Rufa di Roma, cura per Spring Attitude la sezione Arts e New Media. Ecco quello che ci ha raccontato del festival e delle prospettive dei nuovi linguaggi.
Spring Attitude è diventata una realtà accreditata in ambito non solo musicale. Cosa trova il visitatore di nuovo quest’anno?
«Dallo scorso anno ci siamo aperti alla multidisciplinarietà, ospitando il progetto Spring + On con figure di spicco della scena internazionale che hanno presentato opere dal vivo focalizzate sull’esperienza percettiva di suoni, visioni e spazio. Quest’anno il festival si articola in tre location (MAXXI, Ex Caserma Guido Reni, Spazio Novecento): la sezione Music con musicisti, dj e producer come gli Air, Gold Panda, Dorian Concept, Matthew Herbert, Rafael Anton Irisarri; mentre la sezione Arts continua ad esplorare la ricerca sperimentale avanzata, illuminando le produzioni più recenti che nascono da un contesto ibrido e poliglotta. Tra gli ospiti del MAXXI: il sound artist John Duncan, l’artista multimediale Davic Nod, il dj e producer Giorgio Gigli in collaborazione con Alessandro Gianvenuti; Altera con un videomapping che trasforma l’architettura del Museo. All’Ex Caserma Guido Reni sono presenti lo storico collettivo milanese Otolab, il fondatore e cantautore dei La Cruss – Alex Cremonesi, con un progetto eclettico tra arte e musica, infine i giovani Metapherein con una installazione interattiva».
Sono presenti anche gli studenti di RUFA – Rome University of Fine Arts?
«Sì all’Ex Caserma il musicista Francesco Giannico presenterà una performance sonora collaborativa con gli studenti della RUFA, frutto di un workshop tenutosi a febbraio. Grazie a questa partnership, è nata la sezione Educazione, dedicata alle ultime evoluzioni tecnologiche, linguistiche e stilistiche. Abbiamo organizzato tre workshop: due per adulti sul rapporto tra suono e arti visive a cura di Duncan e Otolab, uno per i bambini a cura di Giannico».
Com’è venuta l’idea del workshop e come è organizzato?
«L’idea è nata in modo spontaneo, considerata la mia attività di docente presso la RUFA (che abbiamo deciso di coinvolgere attivamente nel festival diventandone Main Institutional and Cultural Partner). Il workshop per bambini è qualcosa che desideravo da anni, poiché ho due figli ed ho sempre sentito la mancanza a Roma di eventi di questo tipo. È stato possibile grazie alla collaborazione con la Direttrice di “Explora – Museo dei bambini di Roma”, che ha accolto la mia proposta con grande entusiasmo. Spring Attitude è il primo festival in Italia che organizza un workshop sul suono per bambini tra i 6 e i 10 anni e di questo siamo fieri!».
Qual è il solco, se ce n’è uno, tra Spring Attitude a Roma e quello che avviene a Torino, Bologna o Foligno? C’è una realtà (anche non italiana) che vi colpisce particolarmente come organizzazione, eco e contenuti?
«Credo che rispetto ad altre realtà italiane, Roma sia in un momento molto proficuo per quanto riguarda la capacità del pubblico di cogliere il valore della proposta e dei contenuti, mentre da un punto di vista dei finanziamenti pubblici rimane molto indietro rispetto a Torino, dove il Comune ha deciso di investire costantemente nell’arte e nella cultura. Trovo poi che ci sia una differenza sostanziale con altre realtà europee, come Barcellona ad esempio. Sono ventidue anni che vado al Sonar ed ho visto crescere questa manifestazione gradualmente, ma sempre con il supporto delle amministrazioni locali che hanno compreso fin da subito l’importanza di questo tipo di eventi, capaci di muovere fortemente l’economia della città. Il Sonar per me rimane un importante punto di riferimento per un aggiornamento personale e per non perdere di vista le differenze generazionali. Altri festival e rassegne imperdibili sono sempre stati Movement, Mutek, Videobrasil, Berlin Documentary Forum, FidMarseille, Performatik».
Parliamo di curatela. Il settore delle tecnologie applicate all’arte è affascinante quanto pericoloso. L’Expo 2015 è stato un successo dovuto in parte al fatto che la spettacolarità dell’interaction design è qualcosa che attira un pubblico molto vasto, tradizionalmente non avvezzo a seguire fenomeni di questo tipo, eppure ne è incuriosito e attratto. Che differenza c’è tra spettacolo (o spettacolarità), e un prodotto artistico che, in quanto tale, dovrebbe resistere nel tempo?
«L’arte contemporanea oggi rischia da una parte di regredire a una fase premoderna e prenovecentesca, dall’altra corre il rischio di sconfinare nel gioco, nell’intrattenimento e nello spettacolo sensazionalistico, a causa della mitologia delle reti telematiche che hanno attraversato il mondo dell’arte portando a una rivincita della cultura bassa su quella alta. Questo significa che il progresso tecnologico ci ha illusi tutti di poter diventare autori e creativi. Personalmente credo che sia importante non subire la fascinazione della tecnologia: un’idea e un progetto dovrebbero esistere a prescindere dagli strumenti che decidiamo di utilizzare. Allo stesso tempo, considero la tecnologia un mezzo che consente infinite possibilità d’espressione e credo che gli artisti contemporanei abbiano la responsabilità di sperimentare. Insomma come direbbe Paolo Rosa di Studio Azzurro, con cui ho avuto la fortuna di formarmi, un artista deve essere espressione del proprio tempo nella consapevolezza del suo divenire».
Come ti orienti nella scelta curatoriale in un terreno (come quello delle nuove tecnologie applicate all’arte), dove il perseguire una cosa bella in assoluto può essere un’arma a doppio taglio?
«In questo momento sono particolarmente ossessionata dalla ricerca. Ammetto che sia un percorso difficile e faticoso, ma sento che questa è la mia sensibilità e la mia direzione. Nel corso degli ultimi anni mi sono occupata di arte contemporanea interessandomi di New Media Art e di Sound Art, incuriosita dal lavoro di artisti molto diversi tra loro. Nel libro Ascoltare è come vedere, che sarà pubblicato a giugno da Castelvecchi, ho voluto approfondire il lavoro di John Duncan che può essere considerato il padre della ricerca sonora e performativa più radicale ed estrema, piuttosto che Carsten Nicolai, figura emblematica della club culture e dell’estetica minimal, o Edwin van der Heide che rappresenta l’inventore contemporaneo per eccellenza».
Spring Attitude Waves, ovvero gli appuntamenti del festival durante l’estate. È in programma anche per questa edizione? E pensate di estendere questo tipo di esperimento anche alla sezione artistica?
«Sì, intanto il 12 giugno ci sarà un appuntamento sulla terrazza del Palazzo dei Congressi. E poi ci piacerebbe dare continuità alla sezione Arts & New Media, anche creando appuntamenti specifici con gli Istituti culturali e le Ambasciate che siamo riusciti a coinvolgere in queste ultime due edizioni. Penso alla Reale Accademia di Spagna: proprio in questi giorni pensavamo con Miguel Cabezas di creare degli incontri con artisti spagnoli emergenti».
Eleonora Minna

Sopra: Giovanna Melandi, Andrea Esu e Caterina Tomeo alla conferenza stampa di Spring Attitude 2016

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