Fondato da Mauro Pace, Gregorio De Luca Comandini e Saverio Villirillo il NONE Collective è un collettivo artistico con base a Roma. Muovendosi tra arte, design e tecnologia hanno preso parte a mostre ed eventi nazionali ed internazionali, come nel caso del MIAC Museo Italiano dell’Audiovisivo e del Cinema o la 71ma edizione del Festival di Cannes.
Corpi – mostra in divenire è l’esposizione del NONE Collective, una reazione alla stasi imposta dalla pandemia nello scorso anno, visitabile nel loro spazio romano in via Libetta.
“Un multiverso di corpi per tracciare insieme nuove geografie di essere”, uno spazio in cui le persone si incontrano con corpi tecnologici. Un mondo in continua trasformazione che conduce il visitatore in uno stato meditativo. In un tempo di distanze imposte e calcolate, il NONE Collective ha riflettuto sulla relazione dell’uomo con la tecnologia, tra pensiero e materialità e l’ha fatto attraverso il corpo.
Corpo come persona, individuo, massa ma anche come unione, comunità, insieme. Questi sono i corpi che coesistono e interagiscono in uno spazio di materia e onirismo, in cui il pensiero nuota tra le acque di “un arcipelago di forme di vita e di assemblage”. L’assemblage di Deleuze, ovvero “una molteplicità composta da termini eterogenei che stabilisce legami tra diverse nature”.
Nello spazio del NONE Collective, i primi corpi che si presentano sono quelli fatti di materia, meccanica e meccanismo, come nel caso della scultura Soma. Una struttura bipartita in cui una ruota girando muove i fili agganciati ad un nylon, tirato così in più punti avanti e poi indietro. Un contrasto di pesi, masse e tempi che resistono. Corpo nero è la scultura che spinge a un’osservazione più attenta, o meglio a un ascolto. Un cerchio metallico illuminato nasconde suoni, onde insite. Sottolinea la presenza di quelle cose che esistono nonostante non le percepiamo.
A volte, i pensieri nella nostra testa diventano grovigli, come ronzii di zanzare che si fanno immagine. Sappiamo uccidere una zanzara ma non un pensiero che ci ronza nella mente è una serie di disegni realizzati da un algoritmo, un preciso calcolo matematico che ci mostra in figura l’evoluzione di un campo elettromagnetico. Una somiglianza tra uomo e macchina: saper essere freddi calcolatori ma non sempre capaci di mettere un limite all’energia.
Anche J3RR1 somiglia a un uomo, a quello “moderno”: una macchina come molte altre, programmata per eseguire uno stress continuo. Instancabile, si affatica per migliorare la sua performance senza fermarsi a pensare sul senso del proprio lavoro. J3RR1 però si scalda se un altro corpo si avvicina, svela la sua empatia fatta di suono e di luce.
Nello spazio del pensiero
Dopo l’incontro con questi corpi, nello spazio del NONE Collective si va al piano di sotto, dove l’atmosfera si fa più scura e la riflessione più introspettiva: si entra nello spazio del pensiero. L’installazione Intoccabili è uno schermo che porta a osservare l’altro con la propria sagoma. Poi ci si accomoda in un piano interiore con l’installazione Poltrire che ci mette davanti ad uno zapping compulsivo ed effimero, in contrapposizione al nostro indugio ozioso sul divano mentre il tempo si consuma.
Orizzonte è il disegno in realtà aumentata che riprende La zattera della Medusa di Géricault, però in caduta tra le nuvole e senza persone, un po’ come gli orizzonti che a molti di noi si sono prefigurati ultimi mesi.
Disastro, letteralmente: senza stelle. L’ultima installazione di questa esperienza immersiva è forse anche la più coinvolgente. Il visitatore è invitato a salire su una zattera fluttuante in un mare di luci e suoni crescenti, ritmati e incalzanti. La riproduzione audiovisiva delle nostre paure, delle ansie e dei pensieri che però si trasforma in un rito magico in cui i nostri corpi tornano, senza pesi, alla tensione verso l’armonia.
Nella vostra esposizione Corpi – mostra in divenire è evidente la concretizzazione di un pensiero complesso che si manifesta nelle vostre sculture e installazioni, dove l’elemento tecnologico sembra essere preponderante. La vostra ricerca – tra arte, design e tecnologia – si basa più sulla forma di una riflessione oppure su un processo empirico fatto perlopiù di materia?
Uno degli insegnamenti che abbiamo tratto dalla pandemia (che come molti altri saranno ben presto dimenticati) è quello di superare la dicotomia mente-corpo, riflessione-percezione, idea-materia. Se partiamo dal presupposto che l’universo è soltanto un miscuglio di atomi privi di senso e anche noi non siamo altro che un fascio di molecole, potremmo dire che è il nostro sentire che dà senso alla nostra ricerca e in fin dei conti alla vita. Questo sentimento si manifesta attraverso il processo creativo che genera le nostre opere, fatte ugualmente di pensiero e materia. Poco dopo il lockdown, sotto mentite spoglie abbiamo prodotto un album musicale il cui titletrack è “l’universo non ha senso”, è tratto da un testo di Harari che parla proprio di questo.
Corpo nero è una scultura che ci mette di fronte al fatto che non esiste una realtà unica ma infinite realtà che si compenetrano e questo è rappresentato soprattutto dal funzionamento di quest’opera, potete spiegarcelo?
Corpo nero è come una grande antenna che rileva le onde elettromagnetiche e le informazioni che ci attraversano e in cui siamo costantemente immersi e che non percepiamo. Attraverso un trasduttore elettromagnetico e un faro Corpo nero traduce queste energie sotto forma di suono e luce. In alcuni momenti il suono diventa impercettibile poiché inferiore ai 20hz ma continuiamo a vedere la lastra dorata vibrare. Questo evidenzia ancora di più che non esiste solo ciò che percepiamo, la realtà è ben più vasta di ciò che i nostri sensi rilevano. Seguendo questa idea è nato un immaginario di mondi paralleli con cui Corpo nero ci mette in contatto. Abbiamo raccolto un gran numero di celebri discorsi: dalla Thunberg alle Nazioni Unite alla Meloni a San Giovanni, passando per le lezioni di Carlo Rovelli e Alessandro Barbero. Poi, abbiamo programmato Corpo nero per simulare un linguaggio partendo da questi samples. Nonostante gli sforzi dell’oper per divenire un oracolo e comunicare con noi, si intuisce un parlato che però risulta incomprensibile, come i mondi paralleli che per ora rimangono inesplorati.
Intoccabili è un’installazione che attraverso uno schermo – come i plexiglas che ora vediamo dividere le postazioni in luoghi pubblici o di lavoro – riflette l’altro dentro la propria sagoma. Attraverso questa soluzione in realtà si provoca un avvicinamento più che un allontanamento e questa è una cosa positiva. Oggi la tecnologia è parte integrante delle nostre vite, in continuo sviluppo è sempre al limite tra risvolti negativi e positivi per le nostre esistenze. Come è possibile mantenere un equilibrio in questo secondo voi?
Se avessimo la risposta a questa domanda forse non saremmo qui, non saremmo artisti ma più probabilmente monaci asceti o guru miliardari. Invece siamo degli squilibrati, viviamo continuamente questo conflitto con la tecnologia tra positività e negatività, libertà e dipendenza, intelligenza e stupidità, sia nelle dinamiche personali che genitoriali, sociali e infine nella produzione artistica. L’equilibrio è un fatto teorico, la vita è fatta di piccoli disequilibri, come quando si cammina.
Avere sempre a disposizione un gran numero di strumenti con cui possiamo cibarci di immagini ha fatto sì che si sia diffusa una sorta di assuefazione a queste – e anche a quanto succede nella realtà che viviamo. Come pensate che si possa scuotere una persona attraverso un’immagine?
Abbiamo notato che il potere dell’immagine non sta esclusivamente nell’aspetto visivo o nel contenuto ma anche nella modalità di fruizione. Ciò vale tanto per le esperienze immersive, in cui avviene una fruizione collettiva che per le pratiche quotidiane, per cui usufruiamo individualmente di schermi (cellulare, computer, ecc.). Qualche anno fa durante gli incontri di Simposio che abbiamo organizzato nel nostro studio abbiamo fatto una performance intitolata Panottico. Si osservavano collettivamente i contenuti pubblicati sui social dai partecipanti alla performance. Sebbene le immagini siano le stesse e l’autore le abbia volontariamente rese pubbliche, la visione collettiva – con amici o sconosciuti – che avveniva in quel momento e in quel luogo produceva un’emozione completamente diversa (persino imbarazzo o vergogna) rispetto alla fruizione individuale sul proprio schermo. Anche nella mostra Corpi abbiamo realizzato un lavoro su un concetto simile: si chiama Poltrire ed è composto da una poltrona davanti ad un televisore in cui scorre un tornado di zapping compulsivo. Le immagini che scorrono rapidamente sullo schermo sono le stesse che ci riempiono gli occhi quotidianamente ma osservandole su una poltrona durante una mostra acquisiscono un potere diverso.
Avete ripreso un’opera di inizio Ottocento come La zattera della Medusa di Géricault e ne avete tratto un’installazione immersiva completamente contemporanea. Personalmente, ri-utilizzare e rivisitare il patrimonio artistico (e non solo) di un tempo passato (ma anche presente) rispetto al nostro credo che sia una nobile e validissima soluzione rispetto a quel volere – quasi compulsivamente – creare sempre qualcosa di “nuovo”, figlio di un’attitudine egocentrica e capitalistica. In parte, la risposta alla prossima domanda credo di trovarla proprio in questa esposizione ma dal punto di vista della vostra ricerca artistica, cosa pensate che ad oggi ci sia veramente il bisogno di creare?
La zattera della Medusa è stata un’immagine-simbolo in cui ci siamo ritrovati durante il lockdown. Questa sensazione dell’essere alla deriva, senza alcuna prospettiva né orizzonte abbiamo pensato di interpretarla con un’installazione immersiva. Abbiamo deciso di chiamarla Disastro che letteralmente vuol dire senza-stelle, perché nel mare di notte senza stelle ci si perde. Anche attraverso l’esperienza della mostra Corpi, che abbiamo autoprodotto nel nostro studio tra chiusure e distanziamenti e che è gratuita per tutti i coraggiosi che vengono a vederla, abbiamo maturato la convinzione che non è la novità nel design o degli effetti speciali a creare un’emozione profonda quanto piuttosto il dono che l’artista fa al visitatore, in cambio della disponibilità di chi sta offrendo il proprio tempo e il proprio corpo all’opera. In questo senso creare per noi vuol dire accendere una stellina in questo cielo buio e privo di riferimenti, sperando che ci aiuti a trovare la rotta.
Traffic Gallery ospita, fino al prossimo 22 febbraio, “Middle Way”, una mostra variegata ed emozionale in cui il segno, la…
Tra habitat post-apocalittici e futuri misteriosi: la prima personale di Davide Allieri alla Triennale di Milano fino al 19 gennaio…
Tra gli ultimi progetti firmati da Zaha Hadid, l’Hotel Romeo Collection di Roma apre le porte: arte, architettura, design e…
Un progetto di residenze artistiche alle Eolie che intreccia arte contemporanea, comunità e patrimonio archeologico: al via a dicembre, con…
In occasione della sua mostra al Museo Civico Medievale di Bologna, Alessandro Roma parla con Lorenzo Balbi delle idee di…
Alla scoperta della 13ma edizione di Momentum, la biennale d’arte contemporanea dei Paesi Nordici che si svolgerà in tre suggestivi…