Passeggiando nella maggior parte delle città, dei paesi, delle campagne di qualsiasi territorio – per lo meno, con buona certezza, in Europa, ma con un taglio abbastanza specifico in Italia – si possono incontrare, tra le pieghe del tessuto urbano che così endemico ci avvolge e ci cattura, edifici dimenticati, reliquie di un passato industriale che si dissolve progressivamente nel tempo.
Si tratta di spazi sospesi, in cui sono custodite quelle storie di vite che hanno effettivamente abitato quegli spazi; storie di identità frammentate e molteplici che possedevano – o possiedono ancora – una specifica e ricca interiorità. NUDE Project si inserisce in questa dimensione essenzialmente liminale: tre artisti, Aris, Taleggio e Zero, in un progetto a cura di Claudia Gobbi, rileggono specifici luoghi abbandonati attraverso il linguaggio – più o meno segnico – del writing. Attuano una risemantizzazione visiva che riscrive il valore estetico e sociale di questi luoghi, per ridargli una nuova vita attraverso la reiterazione della memoria.
Potrà ormai sembrare didascalico, se non ovvio o banale, considerare un luogo alla luce della preservazione della sua memoria, ma non si tratta di una mera logorrea di chi scrive. L’architettura nasce come organismo vivente, che cresce coerentemente con il tempo della sua espressione (per Mies Van der Rohe, l’architettura è espressione dello spirito del proprio tempo, come si legge nella biografia di Franz Schulze). Jean Nouvel, Peter Zumthor, Le Corbusier… nella storia della nascita dell’architettura contemporanea – e della sua espressione ancora oggi – il destino dell’architettura è inesorabile: non si tratta più di voler sviluppare un’architettura eterna, bensì di rendersi conto che lo scorrere inevitabile del tempo trascina con sé anche quei simulacri della proiezione dell’essere umano nell’idea dell’abitare – attraverso, per l’appunto, l’urbanistica.
In particolare, per ritornare a noi, l’Italia ha vissuto, a partire dal boom economico del secondo dopoguerra, una trasformazione urbana repentina per cui la necessità di rispondere alla crescente domanda abitativa e produttiva ha dato vita a nuove architetture funzionali, tendenzialmente costruite con materiali economici e tecniche standardizzate. Fabbriche, officine, palazzine operaie hanno plasmato il paesaggio urbano con un’estetica che, col tempo, ha perso il suo valore originario: il calo della produzione industriale, l’invecchiamento delle infrastrutture e il cambiamento socioeconomico hanno portato all’abbandono di intere aree, oggi ridotte a scheletri di cemento privi di funzione apparente.
Ed è per questo che NUDE cerca di muoversi sulla linea sottile della pelle di questi edifici schiavi di un tempo che è stato fin troppo tiranno: le pareti diventano tele per nuove narrazioni eterogenee in cui frammenti del passato si fondono nel segno, in un dialogo tra rovine e rinascita. Una ricerca che interroga la relazione tra arte urbana, memoria collettiva e degrado architettonico. La pelle degli edifici diventa così più di una semplice superficie: è il supporto per un dialogo stratificato, in cui il tempo riassume il ruolo di protagonista, emergendo come un elemento ineliminabile che partecipa attivamente alla trasformazione delle stesse opere, oltre che delle strutture.
Aris, Taleggio e Zero sono i protagonisti di questa riscrittura (e risemantizzazione) estetica. Con sensibilità e linguaggi differenti, ciascuno ha lasciato un’impronta unica su edifici altrimenti condannati al silenzio. Aris lavora con forme fluide e silhouette astratte, che sembrano emergere dalle superfici corrose, come fantasmi di un passato irrisolto. Taleggio si muove tra pieni e vuoti, campiture geometriche che ridisegnano lo spazio senza snaturarlo, ma esaltandone le imperfezioni. Zero, con il suo approccio rigoroso, scompone e riassembla moduli architettonici, trovando nel brutalismo delle strutture abbandonate un fertile terreno di sperimentazione visiva.
Marc Augé parlava di “non-luoghi”, spazi anonimi in cui il transito dell’uomo è effimero e impersonale. Ma cosa accade quando un non-luogo viene abbandonato? L’identità latente riemerge, il degrado stesso si fa segno del tempo e dell’esistenza passata. Ecco dove interviene NUDE: un’azione di appropriazione e trasformazione che non si limita a riempire il vuoto, ma lo amplifica, rendendolo visibile e partecipativo. Il progetto si pone come un’operazione di post-colonialismo urbano, dove l’artista non si impone sullo spazio, ma lo ascolta, lo interpreta, lo riscrive. Una reale indagine sul valore della memoria e della rovina, sulla possibilità di risemantizzare l’abbandono senza cancellarlo. Non si tratta di un’operazione di riqualificazione nel senso tradizionale, ma di un atto di consapevolezza per cui restituire a questi spazi una dignità estetica e narrativa, senza nascondere le ferite del tempo.
In un’epoca di consumo indiscriminato di suolo e speculazione edilizia, NUDE rappresenta un’alternativa alla demolizione e alla dimenticanza. È una pratica che si inserisce nella riflessione sulla città contemporanea, sulle sue contraddizioni e sulle possibilità di trasformazione che l’arte può innescare. Aris, Taleggio e Zero non occupano semplicemente uno spazio, lo attraversano con rispetto, ne esaltano le caratteristiche e lo rendono nuovamente visibile agli occhi di chi lo aveva dimenticato. Ogni intervento artistico è un tassello di un discorso collettivo, che supera il singolo luogo per diventare riflessione sul nostro rapporto con il passato, con la memoria e con la possibilità di riscrivere la storia attraverso il segno. La nudità degli edifici abbandonati non è più sinonimo di degrado, ma di potenziale espressivo: una forma che non copre, ma svela; una rivoluzione silenziosa che restituisce voce a ciò che sembrava destinato all’oblio.
Presentato alla Street Levels Gallery di Firenze il 22 gennaio, il progetto è in arrivo a Milano, presso Stazione Arte, dal 19 al 31 maggio.
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