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Nuova figurazione nella ceramica contemporanea, a Castelnuovo Rangone
Progetti e iniziative
Nell’ambito della rassegna Dell’umana dimensione. Arti e visioni contemporanee lungo la via Emilia, l’Associazione Ricognizioni sull’arte propone un nuovo appuntamento presso la galleria della biblioteca Luis Sepúlveda di Castelnuovo Rangone. Con Tellus – Nuova figurazione nella ceramica contemporanea dieci artisti provenienti da Italia, Cina e Stati Uniti si confrontano secondo un’accezione estesa del termine ceramica, che comprende anche opere in gres, terracotta e porcellana.
Curata da Alessandro Mescoli, Giorgia Cantelli e Massimiliano Piccinini, la mostra ha inaugurato il 16 marzo e proseguirà l’apertura fino al 14 aprile 2024. Ai testi, Domenico Iaracà, Marcello Bertolla, Alessandro Degl’Antoni e Alessandro Mescoli. L’esposizione si pone in continuità con la precedente Ceramica contemporanea. Nuovi maestri (Levizzano Rangone; novembre 2018), perseguendo una ricerca volta a mappare le diverse poetiche nate dal confronto tra i linguaggi contemporanei e il media ceramico.
In particolare, Andrea Capucci presenta una serie di tre opere dell’ultimo ciclo, piccole sculture tridimensionali in terracotta invetriata, immerse nella realtà del vivere contemporaneo, tra segnali di morte, indifferenza, desiderio e speranza. Come monito a prevenire tempi di egoismo relazionale e disaffezione emotiva, le sue figure si atteggiano in pose prossime al declino della Storia. Le porcellane policrome di Francesco De Molfetta preparano la scena a un “gioco per adulti”, animali fantastici e fiori giganti che attraversano con ironia un immaginario pop dal forte carattere iconico, intriso anche di un certo cinismo.
Altre piccole sculture proposte da Alessandro Formigoni di un gres bruno, quasi nero, dall’effetto bruciato e schiumoso evocano età antiche e ancestrali, ancora supportate da un sapiente lavoro manuale. Una Mandria profondamente umana i cui individui corrono tutti verso un’unica direzione, mutati in forme affini alle figure rupestri. Quindi gli ibridi di Alessandro Gallo, tra teste animali come indice del mondo interiore e delle caratteristiche della vita soggettiva, e posture insolite che dialogano in silenzio. Un linguaggio non verbale adatto a descrivere il proprio habitat, spesso condiviso non senza difficoltà.
Laura Rambelli unisce la ricerca artistica alle discipline orientali, in tenui figure disposte in posizione di tensione muscolare. Il pubblico è invitato a riposizionare su di esse due “pesi d’oro” a equilibrare le parti del corpo ritenute più sofferenti, secondo un processo sia fisico che alchemico, facendo di queste Golden boat e Golden pose una sorta di bambole woodoo dello squilibrio psicofisico. Vive, palpita, urla poi il dionisiaco in Livio Scarpella, a rivelare una essenza autentica e primigenia della nostra natura. Fedele a istanze mitiche e anacronistiche dal forte impatto visivo, nel suo Atteone ci sentiamo davvero come in procinto della prossima metamorfosi, prima che arrivino a sbranarci i nostri stessi cani, dimensione idilliaca non priva di rischi feroci e nuove malinconie.
Ancora inquieta anche l’opera di Giulia Seri, una esplorazione sulla sofferenza del corpo tra superficie e sostanza, che si esprime in caratteri policromi dai toni simbolici, arcaici e infantili. I colori pastello delle sue matrioske stridono col contenuto doloroso, mettendo in risalto la fragilità propria di una illusione interiore. Corpi mutilati e imperfetti, le due figure in terracotta presentate da Simone Stuto. Frammenti di identità scisse che nella loro plasticità affidano forse all’osservatore il compito di essere ricomposte, manifestando un inno alla divisione, alla separazione, al deforme e all’incompiuto.
Serena Zanardi unisce alle sue presenze in terracotta policroma interventi materiali, con fotografie, resti di cibo, lana e bicchieri semivuoti. Il tempo sembra fermarsi in una visione onirica tratta dal quotidiano, che fa della spontaneità un monumento, misto proprio di inquietudini e ironia. Infine Li Zhuwei incide minimalmente su forme base geometriche e essenziali, secondo un lavoro di sottrazione che porta la ferita su di un piano concettuale estremamente semplificato nelle sue modalità di espressione.
Come dal testo di Marcello Bertolla, avvertiamo in queste opere «La sensualità delle porcellane di Meissen, da accarezzare come pelle diafana, brividi al tatto, creature sbarazzine, provocanti e impertinenti alla vista. Annusare, ascoltare, gustare, vedere, carezzare: analogia col mondo, senza virtualità digitali». Un media, quello ceramico, che in questa mostra invita lo sguardo a essere pervadente e inclusivo, il tatto a sfiorare le forme indirettamente come nell’accenno a una carezza, in una sorta di sinestesia. Un approccio concettuale che va verso l’arte totale, capace forse di lambirci con la stessa carezza.
faccio arte ….AMO L’ARTE…sono nel giardino deli DEI….