La Triennale sembra impegnata in un grande progetto di rinnovamento: la ristrutturazione del primo piano di viale Alemagna per la costruzione del Museo del design e un nuovo spazio in Bovisa. Da dove viene tutta questa voglia di rinnovarsi?
Non dovrebbe essere solo la Triennale, dovrebbe essere così per tutti. Le istituzioni culturali per definirsi tali devono essere in costante divenire. La staticità non fa parte né del concetto di arte, né di quello di creatività. L’uomo è per natura un essere creativo. Sto già pensando a cosa da fare dopo: conclusa l’inaugurazione della Triennale Bovisa, vado ad inaugurare una nuova sede della Triennale a Tokyo. Apriamo in Giappone 1400 metri quadrati, che diventeranno una vetrina e una galleria permanente del made in Italy. Ora però l’obiettivo è pensare per Milano al museo d’arte contemporanea.
Dal punto di vista dei finanziamenti come si riesce a realizzare tutto questo movimento?
Il caso della Triennale Bovisa non costa una lira. Tra i soci della Triennale ci sono il MiBAC, la Regione, il Comune, adesso è entrata la Provincia ed ultimamente anche la Camera di Commercio, che sono indubbiamente risorse. Quando si è deciso di aprire alla Bovisa sono andato dall’amministratore delegato di EuroMilano, che è l’immobiliare che sta riprogettando il quartiere: di fatto ha già fatto il Politecnico, sta realizzando l’Istituto Mario Negri e adesso si occupa del polo digitale di Telelombardia. Gli ho detto: “Quanti soldi mi dai se ti porto qui la Triennale?”. Sono conscio che portare oggi la Triennale in un luogo rappresenti un importante motore propulsore per il territorio. All’inizio hanno riso, ma poi si è messo in piedi un processo di collaborazione a cui si sono aggregate la Vertical Vision, Bresciani e tutta una serie di aziende che hanno messo a disposizione le proprie risorse. Così possiamo consegnare alla città e al territorio una struttura di 6milioni di euro, ma che costa al pubblico solo 500.000 euro. Non esiste un discorso pubblico-privato, tutto passa attraverso gli uomini. Quello che occorre è prima di tutto la capacità di dialogare, la generosità,
La Triennale BVS è stata pensata come una struttura provvisoria, adatta per essere smantellata alla fine del progetto di quattro anni. Da cosa deriva questa scelta? Bisogna leggere questa decisione come un “proviamo poi si vedrà”?
Quattro anni, in realtà, perché il terreno utilizzato aveva nei progetti una destinazione immobiliare. Poi pensandoci non è un periodo così breve, anzi mi sembra una vita, ad esempio sono presidente della Triennale da quattro anni e ho visto moltissimi cambiamenti. In futuro chi lo sa, potrebbe anche darsi che si possa rimanere sul posto, perché la struttura costruita da Pierluigi Cerri è si provvisoria, ma, come dice giustamente l’architetto, “provvisoria” nel senso etimologico del termine. Si riferisce al “provvedere” e potrebbe anche andar bene per cinquant’anni. Quel che è importante è che si è provveduto a sopperire alla grande mancanza di un motore propulsivo per l’area della Bovisa, ma ancor più alla mancanza di un vero spazio legato alla contemporaneità , aspetto che ancora manca in città, perché il PAC è una cosa molto piccola. Non sarà solo uno spazio espositivo, ma anche libreria, bistrot, cinema, curling. Una serie di opportunità e servizi di qualità.
Per quale ragione non si è preferito localizzare la struttura in altre zone periferiche della città, che vedono crescere sul proprio territorio un gran numero di iniziative culturali come ZonaVentura o ZonaTortona?
ZonaTortona mi pare sufficientemente viva grazie alla moda. Poi c’è già la Fondazione di Pomodoro, ha molti piccoli e grandi locali, è già una zona di intrattenimento. ZonaVentura, allo stesso modo, avendo la sede di Abitare, la scuola di design, molte gallerie, è ormai un polo centrale per Milano. La Bovisa invece, dopo le sei e mezza, quando chiude l’università, è ancora la morte civile.
Poi devo dire la verità: la Bovisa ha sempre esercitato su di me un fascino particolare. L’idea dei gasometri, della ferrovia, degli scali, un paesaggio che va da Sironi al Neorealismo passando per Olmi, insomma un paesaggio caldo, a me piace definirlo da “aristocrazia operaia”. Un territorio che si sta trasformando con istituti di eccellenza, e se anche Brera, come spero vivamente, si sposterà in zona, diventerà un’area profondamente vocata alla ricerca. Penso alla fine che se davvero l’arte contemporanea è “ricerca in tempo reale”, allora è alla Bovisa che deve localizzarsi.
La segnaletica della nuova struttura è curata da studenti del Politecnico di Milano, un legame che viene rafforzato anche dalla localizzazione di questa nuova sede…
Con il Politecnico c’è un legame naturale, ma anche istituzionale. C’è un forte legame tra me e il rettore e in consiglio abbiamo tre docenti di questa università. Un rapporto molto intenso e di assoluta disponibilità soprattutto da parte loro, perché grazie a loro avremo un parcheggio ed è insieme che abbiamo fatto il progetto di arredo urbano.
Essenzialmente mostre, poi vogliamo proiettare. Le pareti del nuovo edificio sono pensate proprio per questo, quindi magari saranno nuvole che scorrono sulla facciata. Poi in primavere-estate si farà cinema all’aperto, stenderemo circa tremila cuscini per terra in modo che la gente possa sdraiarsi e guardare la proiezione.
Per quale ragione inaugurare uno spazio dedicato all’arte contemporanea con Hartung, artista storicizzato?
Per adesso partiamo con questa mostra su Hans Hartung, che era prima quasi dimenticato, ma che trovo tra gli artisti dell’informale e dell’action painting uno dei più intensi. Poi ci piace il suo senso di curiosità, perché era fotografo, architetto, astronomo, insomma un uomo straordinario.
Il processo di comunicazione che ruolo gioca in tutto questo? Quali strategie sono state messe in campo?
Per la Triennale Bovisa abbiamo avviato un percorso comune con l’Art Directors Club italiano, si sono coinvolte quattro coppie di creativi per studiare le strategie di promozione del nuovo spazio, lavori che rimarranno come materiale per esposizioni.
La sede di Viale Alemagna, nonostante la maggior centralità e la vicinanza di alcuni locali storici della città, continua a proporre un orario di apertura tradizionale, mentre la nuova sede decentrata mira ad allungare il proprio orario di apertura fino alle 24. Come si pensa di attirare visitatori in Bovisa a quell’ora?
Con il passaparola. Alla fine quando c’è un servizio la gente a Milano è ben contenta dopo il lavoro di prolungare di due ore la sua giornata culturale. Riguardo invece al perché il prolungamento degli orari lo si faccia in Bovisa e non invece nella sede storica della Triennale è perché solo in Bovisa ho trovato chi mi paga gli straordinari. Abbiamo fatto un accordo con Havana Club, che ha un amministratore delegato davvero illuminato, che ci ha proposto di fare l’Havana ora, in modo da tenere aperto il ristorante fino all’una e la sede espositiva fino a mezzanotte. Insomma direi che non ci si deve fermare mai. Come dice il Vangelo secondo Matteo “il figlio dell’uomo non ha un posto dove posare il capo”.
alberto osenga
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