Come ogni fiera che si rispetti, FIAC non significa solo la grande esposizione di gallerie al Grand Palais e quest’anno, con la scelta di Parigi quale sede della COP21, la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente, le iniziative si sono moltiplicate e molte delle quali si allungano fino a metà dicembre.
Lungo la Rive gauche della Senna, vicino alla Cité de la Mode et du Design, dal 2011 la FIAC organizza, grazie al sostegno delle gallerie, un percorso di opere in sintonia con il contesto che circonda il Museo Nazionale di Storia Naturale. Altre sono collocate all’interno della Grande Galleria dell’Evoluzione e dentro la Rotonda della Ménagerie. Come negli anni precedenti, molte opere si cimentano con il tema della natura e della biodiversità, ma quest’anno con la COP21 gli sforzi sono stati maggiori.
È suggestivo confrontare il falso albero in resina caduto a terra di Virginie Yassef, L’objet du doute, 2013, con il ceppo di legno di 2000 anni fa trovato nella foresta di Indre e Loire dall’artista coreana che vive a Berlino, Hegue Yang. A prima vista, al contrario della realtà, soprattutto a causa del colore, la prima sembra autentica, mentre la seconda falsa. Nel paragonare le installazioni verdeggianti di Piero Gilardi (1966) con quella eseguita quaranta anni dopo da Gilles Barbier, notiamo che mentre l’artista torinese mostra ironicamente l’artificiosità della condizione artistica, Barbier, nato nel sud del Pacifico, esercita il suo humour sul carattere totalmente ingannevole, ma pur sempre fittizio, delle piante che, ricoprendo mobili, libri ed Enciclopedia, invadono lo spazio dell’opera. L’artista sembra associare il nome del luogo “Museo di Storia Naturale” con il titolo della prima Enciclopedia, l’Historia Naturalis di Plinio. Accanto, una lista di nomi e cifre elencati da Lara Almarcegui. È la composizione delle rocce ricche di minerali, dell’isola di Spilsbergergen, nell’Artico. L’indicazione precisa dei metri cubi attuali di ogni componente vuole sensibilizzare in merito alla possibile distruzione dell’isola a seguito di uno sfruttamento sconsiderato.
Molti sono i materiali provenienti da cantieri edili. I tubi di PVC di Vincent Mauger, assemblati, prendono la forma di un meteorite. Anche materiali “nobili” possono provenire dagli scarti, come le tavole di marmo utilizzate dall’artista americano Sam Moyer: frammenti irregolari, recuperano il loro antico splendore grazie anche alle cornici di bronzo dorato. Benjamin Sabatier unisce nuvole di cemento sospese agli angoli delle strutture del legno impiegato nella costruzione dei soffitti. Sean Raspet orienta la sua ricerca sul carattere “astratto” del colore attraverso la sovrapposizione di materiali banali e sofisticati grazie all’uso di film colorati e lenticolari che rendono il plexiglas cangiante secondo la luce. Il tutto ha l’assetto di una fermata d’autobus.
Elisabeth S. Clark evoca con Treasure Hunt la storia della prima giraffa arrivata in Francia nel Jardin des Plantes. Una mappa incisa al laser rosso traccia la pianta simbolica del parco per incitare i visitatori a ritrovare un ciglio di giraffa in oro smarrito nel giardino.
All’interno trovano poi spazio altre proposte di Julien Berthier, Mark Dion, Yang Jiechang, Nicolas Milhé, Otobong Nkanga, Henrique Oliveira, in sintonia con l’intento classificatorio del museo. Notevole l’indagine dell’artista australiana Janet Laurence sul corallo, diventato bianco a causa dell’inquinamento e destinato quindi a scomparire.
Fino all’inizio di novembre, invece, erano visibili una cinquantina di installazioni e sculture all’aperto dislocate sul più ampio territorio della capitale francese. Segno di un impegno congiunto di diverse istituzioni in occasione di FIAC: il Domaine del Louvre e delle Tuileries, le Gallerie, il Museum National d’Histoire Naturelle, l’associazione Berges de la Seine e altre istituzioni culturali e musei, che hanno trasformato il pubblico della fiera in una più vasta congrega di flâneurs.
Si tratta di opere molto valide e ve le riproponiamo velocemente, specie per chi non le avesse viste. Davanti all’ingresso del Petit Palais, Rashid Johson ha ripreso con una performance l’opera Sweet Wall (1970) di Allan Kaprow, lasciando a terra un muro di cinderblocks e burro di karitè che contrastava con lo stile ornamentale dell’edificio e con le tre sculture in bronzo (2014) di Liz Glynn ispirate ad altrettante opere di Rodin.
Nel giardino dei Tuileries ecco, un secondo ogni minuto, l’installazione sonora sfuggente di Eric Hattan, un grido alla Tarzan. Sul lato opposto, nella parte più disadorna, s’innalzava una bella struttura in legno dell’artista giapponese Kengo Kuma. Più in là, un container spartano, montabile e smontabile in tre ore dei fratelli Ronan & Erwan Bouroullec, era destinato ad un qualsiasi uso.
Le teste dello Zodiaco cinese di Ai Weiwei circondavano il Bassin Ouest, verso Place de la Concorde. Ernest T., volutamente anonimo, aveva montato uno schermo nel quale sono ritagliate le sagome di quattro volti ovali, un’evocazione giocosa delle marionette, spettacolo che nella vita parigina è tradizionalmente associato alle Tuileries.
Nel mezzo del viale centrale, il ragazzo nascosto in un pesce di Smiljan Radic & Marcela Correa, una sorta di rifugio quasi impenetrabile in forma di scultura in cedro e granito con le sembianze di un pesce. Il riferimento è al sisma che ha violentemente colpito il Cile nel 2010. Sullo stesso percorso, tre dita in marmo di Carrara di Jonathan Monk, sparse sul suolo, sono la risposta alla famosa scultura L.o.v.e di Maurizio Cattelan a Piazza Affari, una mano con le dita mozzate ad eccezione di quello medio, alzato in modo irriverente. Accanto, un’installazione vegetale di Adrien Missika, e più in là due sculture nere e totemiche montate con forme cubiche di Antony Gormley. Sul prato, leggero, un assemblaggio di sei volumi tagliati a losanga e ricoperti di polvere e pittura viola di Angela Bulloch. Rayons di Xavier Veilhan disegnava uno spazio piramidale con fili bianchi, un omaggio a Naum Gabo. Impossibile dimenticare, poi, le torsioni delle tre sculture colorate di Anna Fasshauer, pezzi di macchina attorcigliati, e Image object, le forme autoportanti e disarticolate di Artie Vierkant composte di frammenti d’immagini. Infine, la statua montata con un autoritratto di Heimo Zobernig si ergeva come una sorta di San Sebastiano moderno, unendo la tecnica tradizionale del bronzo non trattato – e quindi rimasto di colore grigio – alla tecnologia del 3D.
Percorrendo le installazioni parigine, dopo aver visitato l’Expo 2015 di Milano e la Biennale di Venezia, possiamo constatare una certa risonanza che si instaura fra le opere visibili nei vari luoghi d’esposizione. Malgrado le diverse intenzionalità e impostazioni di ciascuna manifestazione, l’antico e vasariano dialogo fra le arti viene reiterato e rinnovato nel contesto dell’attualità. Come nel Rinascimento, la ricerca artistica nel suo complesso partecipa a pieno titolo alla rivoluzione dei modi di concepire i luoghi del vivere. Una scelta di linguaggio costantemente rinnovata fin dalle avanguardie storiche.
Michèle Humbert