Parreno e gli altri. Alla grande!

di - 28 Ottobre 2015
Si è aperta il 21 ottobre (fino al 14 febbraio 2016) l’attesa mostra antologica che Hangar Bicocca dedica al francese Philippe Parreno; questa è anche l’occasione per Andrea Lissoni, curatore della mostra, di salutare Milano per dedicarsi definitivamente al suo incarico alla Tate Modern di Londra come Film and International Art Curator.
Partiamo subito con una precisazione: il concetto di mostra all’interno di questa esposizione è il primo ad essere messo in crisi, a seguire abbiamo quello di autorialità. Ma andiamo per gradi.
Come spiega Andrea Lissoni, fin dalla sua nascita HangarBicocca ha scelto di essere un luogo deputato all’arte contemporanea privo di muri. Allo stesso tempo una delle scelte consapevoli della pratica di Philippe Parreno è quella di non trattare l’oggetto d’arte come definito e infinito e anzi, di renderlo effettivo grazie ad una precisa concatenazione di eventi temporali che sovvertono lo spazio espositivo stesso. È naturale come questo matrimonio tra la fondazione e l’artista sia già di partenza destinato a funzionare.
Non ci sono muri né opere tradizionali da contemplare, abbiamo però un’installazione immersiva fatta di suono, luci e ombre scandita dal tempo che l’artista ha deciso di conferirle e che rende lo spettatore libero di muoversi seguendo un ritmo esterno (quello della partitura dell’artista) e uno interno, proprio. Non ci sono gabbie prestabilite, ma libertà di movimento all’interno di uno spazio che viene ridefinito ed esteso.
Ad accoglierci al suo interno è un inaspettato lavoro di Jasper Johns, sette elementi di scena rettangolari e trasparenti sulla cui superficie appaiono disegnate alcune immagini di una delle più celebri opere della storia dell’arte, La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche (Il Grande Vetro) di Marcel Duchamp.
L’opera è importantissima perché lascia intendere l’attitudine di Philippe Parreno (fin dal suo inizio di carriera), alla collaborazione con altri artisti; la volontà di ospitare opere “esterne” e il suo muoversi tra linguaggi provenienti da media diversi come televisione, radio, cinema e di recente, nuove tecnologie. L’opera di Jasper Johns era stata realizzata nel 1968 per il coreografo Merce Cunningham che a quel tempo, insieme ad altre leggende dell’arte come il già citato Duchamp, Cage e Rauschenberg, sfidava le convenzioni legate all’arte. È quindi evidente come Philippe Parreno si senta di appartenere a quel tipo di ricerca e come la collaborazione di più artisti in una stessa mostra sia per lui azione spontanea e anzi quasi dovuta, che definisce con una certa decisione il suo lavoro.

Come accennato sopra, un altro concetto che viene puntualmente messo in crisi dall’artista è quello di autoralità, proprio per questa sua indole predisposta a permettere che le cose, all’interno del meccanismo da lui congegnato, circolino, si muovano. Ecco allora che la colonna sonora suonata dai due pianoforti Disklavier è un regalo del meraviglioso pianista Mikhail Rudy che ha eseguito la partitura dal vivo durante il periodo di “Hypnosis”, la mostra newyorkese di Parreno a Park Avenue Armory, conclusasi lo scorso agosto.
Elementi centrali dell’esposizione sono i diciannove Marquees che compongono la “strada” che accompagna lo sguardo dell’osservatore fino alla profondità delle “navate” deputata a area espositiva. Le Marquees sono sculture di luce e plexiglas prodotte da Parreno, che prendono ispirazioni dalle insegne luminose poste all’esterno dei cinema americani degli  anni Cinquanta e che vibrano di luce a seconda della potenza del suono che trasmettono, sapientemente composto grazie alla collaborazione, ancora una volta, con artisti musicisti di tutto rispetto, da Mirwais a Thomas Bartlett, da Liam Gillick a Robert AALowe. E spesso la potenza non si risparmia, arrivando al limite di un djset. Ad arricchire l’esperienza sono i sette video trasmessi, quattro sull’unico schermo presente e tre all’interno dell’esposizione.

Diversamente dall’evento a Park Avenue Armory, qui non abbiamo la presenza delle numerose performance che hanno caratterizzato emotivamente la “mostra studio” di New York, come la ha definita Andrea Lissoni. Da quello che curatore e artista hanno lasciato intendere, “Hypnosis” è stata la madre di “Hypothesis”, il momento di preparazione all’esposizione italiana, ma non si può negare che “Hypnosis” fosse una mostra perfettamente articolata, potente e con un importante contributo dato appunto dai performers (il pianista e le bambine che dal nulla apparivano come fantasmi ponendo domande ai presenti quali “preferiresti essere troppo occupato o non avere nulla da fare?”) che arricchiva le due ore al suo interno con forti tratti di imprevedibilità e profondità che hanno permesso una serie di riflessioni sul concetto di pubblico, nonché sul comportamento del singolo quando posto di fronte a confronti diretti.
HangarBicocca è comunque sempre al livello delle aspettative, spesso superandole grazie anche alla collaborazione di un curatore che mancherà molto all’Italia e “Hypotesis”, in un certo senso, dimostra anche un allineamento con quella che è la situazione italiana, meno “ricca” economicamente di quella statunitense. E forse, tagliare le performance si potrebbe anche leggere come un gesto di compostezza da parte di tutti.
Per quel che riguarda Parreno, ci piacerebbe vederne di più di artisti cosi, che osano, che spingono i limiti della pratica artistica verso il futuro. Che allo stesso tempo però accompagnano ogni decisione con consapevolezza e profonda cultura. Chapeau!
Greta Scarpa

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