Per un’arte consapevole

di - 11 Marzo 2013

Ci sono storie che possono essere raccontate solo con le parole e altre che invece possono essere dette anche per immagini. Ci sono degli artisti che costruiscono visioni che si leggono come dei racconti in cui la realtà è rappresentata da presenze oggettuali simboliche che diventano strumenti narrativi. C’è un presente che è parte della nostra storia contemporanea e che solo la potenza visionaria degli artisti può raccontare per farci vedere la realtà con gli occhi aperti. Andrea Nacciarriti è nato trentasette anni fa a Senigallia su quel litorale marino di sabbia bianca che si specchia nelle acque verdastre del mare Adriatico, i porti, le navi e il mare sono quindi parte integrante sia del suo universo visivo e delle sue memorie. Il Mare Nonstrum è il protagonista del racconto, doloroso e inquietante, che quest’artista ha intessuto, non senza una buona dose di coraggio, nello spazio della Fondazione Pescheria a Pesaro.

“And the ship sails on…” è il titolo della mostra (a cura di Ludovico Pratesi) che l’artista ha concepito come una macchina narrativa per sensibilizzarci su una realtà agghiacciante che lega indissolubilmente il mare, lo smaltimento dei rifiuti tossici e la criminalità organizzata. La ricerca di Nacciarriti è cominciata con la lettura di un libro Le navi della vergogna di Riccardo Bocca, in cui è raccontata la triste storia delle decine di mercantili, affondate o misteriosamente naufragate negli ultimi trent’anni nel mare Mediterraneo. Anni di sospetti che sono diventati la pericolosa realtà che oggi conosciamo: tonnellate di rifiuti tossici, chimici e radioattivi pericolosissimi per la salute e l’ambiente celati nelle stive di molte navi mercantili per essere eliminati illegalmente.

Guardando la mostra apprendiamo con angoscia che al largo delle coste italiane, davanti a quelle spiagge accoglienti e affollate di bagnanti, nei tratti battuti quotidianamente dai pescherecci, giacciono navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi, affondate dalla mafia. La malavita organizzata sta avvelenando il nostro Paese, Roberto Saviano ha denunciato la sconsiderata erosione del territorio campano e meridionale che viene selvaggiamente cementificato per il profitto di pochi costruttori che arricchiscono le casse dei clan, e avvelenato dalle tonnellate di rifiuti tossici che la camorra e la mafia smaltiscono illegalmente distruggendo culture e pascoli in nome di un profitto veloce e assassino. E ora il mare, grande, profondo e ignoto, il luogo ideale dove celare quelle navi maestose che immaginiamo portare chissà quali tesori e che invece celano dei carichi di morte. Per fortuna esistono i pentiti ed è stato solo grazie alle agghiaccianti rivelazioni del boss pentito della ’ndrangheta, Francesco Fonti, che la questione esplode. Fonti indica la zona davanti a Cetraro, lungo la costa tirrenica della Calabria, dove da anni si registrano valori allarmanti nelle incidenze di alcuni tumori, come un sito di affondamenti criminali. Le indagini partono, ma subito scatta la smentita anche da parte di alcune alte cariche dello Stato che bollano la notizia come l’ennesimo caso montato dai media irresponsabili e allarmisti. La popolazione va tenuta buona e il turismo non ostacolato ma, dopo dieci anni di indagini, è ormai chiaro che esiste un vero e proprio sistema clandestino di smaltimento dei rifiuti al quale partecipano cosche, aziende, armatori, servizi segreti e massoneria deviati. Chi cerca la verità è depistato, fermato per vie ufficiali o, come il capitano Natale De Grazia, che aveva capito e denunciato, muore misteriosamente.

Nacciarriti ha fatto le sue indagini, trovato indizi e prove come un campione dell’acqua del fiume Oliva, presente nella piccola vasca di pietra in fondo al loggione della Pescheria, le cui analisi hanno rilevato la presenza di metalli pesanti con tracce di cesio 137, altamente radioattivo. La mostra si apre con due lampare accese appoggiate per terra, oggetti ormai desueti e dall’aurea romantica con cui i pescatori per anni hanno pescato durante la notte in mare aperto. Due cuffie acustiche fuoriescono inaspettatamente dal pavimento e ci permettono di ascoltare la conversazione di un pescatore con il comandante della Jolly Rubino, una nave da trasporto che speronò il peschereccio Giovanni Padre uccidendo il capitano e suo figlio di 21 anni.

Un enorme sacco occupa il centro del loggiato, contiene un metro cubo di granulato di marmo bianco, materiale utilizzato dai trafficanti di morte per schermare la radioattività dei rifiuti tossici nelle stive delle navi. Un modo semplice per passare indenni i controlli delle capitanerie di porto, per poi dirigersi verso il mare aperto e affondare quelle navi ormai diventate enormi bare galleggianti. Come una presenza evanescente e incerta una videoproiezione scorre lungo la parete della casa che affaccia sulla grande vetrata del loggione della Pescheria riflettendosi nel muro interno, evanescente come gli indizi e i sospetti che impediscono di fermare questa strage che si compie sotto i nostri occhi ciechi. Le immagini mostrano le manovre all’ingresso del Porto di Genova di un’altra nave tristemente famosa la Jolly Rosso, uno dei mercantili utilizzati per lo smaltimento dei rifiuti tossici, spiaggiata sulle coste di Amantea in Calabria il 14 dicembre 1990.

Lo spazio della Chiesa del Suffragio, convertito in sede espositiva, è occupato da un’installazione centrale che con la sua ingombrante presenza ci racconta tutta la storia con una sola immagine fortissima. Un contenitore di plastica pieno d’acqua sgocciola a intervalli regolari su un mucchio di cemento a presa rapida, dello stesso tipo usato dal pentito Fonti per affondare la nave Cunski sulle coste della Calabria nel 1992. La Cunski era un mercantile che, prima di diventare una nave dei veleni, si chiamava Lottinge e la sua foto con il nome coperto dal nastro adesivo campeggia su una delle pareti. Difronte una nassa da pesca imprigiona una mappa in cui sono indicati i punti sulle coste della Somalia in cui Giorgio Comerio, inventore dei siluri utilizzati per lo smaltimento di scorie radioattive, li ha fatti affondare negli anni Ottanta.

In una saletta, isolato, c’è il tronco di un albero levigato dal mare, è stato trovato dall’artista sulla spiaggia di Senigallia e sopra c’è appoggiato un bicchiere di plastica pieno d’acqua. Una parola di pace, un momento di riflessione sulla bellezza della natura che stiamo distruggendo senza la coscienza del profondo legame che ci fa essere tutti suoi figli.

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