PIGNETO, MONDO

di - 9 Gennaio 2011
È innegabile che, nella Capitale, nel corso
degli ultimi anni molto è stato fatto per l’arte contemporanea. La prova più
stringente è l’apertura del Maxxi, insieme all’ampliamento del Macro. Ma, tra
gli ingranaggi dell’enorme macchina che muove il sistema dell’arte, a volte
s’individuano dentelli mancanti, che creano vuoti e fanno scricchiolare
l’intero meccanismo. Fra tutte le mancanze che emergono con forza, prima fra
tutte è quella di una project room museale.
Ma anche di luoghi d’incontro per un continuo e proficuo confronto.
Parallelamente, si constata la lenta agonia delle realtà non profit, importante
linfa per il sistema dell’arte, che non hanno però un adeguato supporto. Per
supplire a tali importanti insufficienze, nascono iniziative che dimostrano la
vitalità della città e il desiderio di trovare soluzioni alternative, al fine
di sensibilizzare le istituzioni.

Una risposta in questo senso è il progetto Reload, nato da una congiuntura
positiva di casi, che punta a mantenere vivo l’interesse per il settore
dell’arte contemporanea, importante non solo da un punto di vista culturale ma
anche in relazione a tutto il potenziale indotto economico.

Il termine inglese ‘reload’
intende esprimere ciò che esattamente significa in italiano: ‘ricarica’. Sulla
base di modelli europei e statunitensi, attraverso l’uso temporaneo di spazi
inutilizzati, l’iniziativa vuole “ricaricare” di energia (creativa e economica)
luoghi altrimenti vuoti. Non si tratta soltanto di fare una mostra o far
incontrare persone, quanto di verificare e assodare la possibilità di creare un
prototipo per un modello d’intervento culturale nella città”.

La congiuntura si è creata quando Edoardo Rosati, rampollo di una celebre
dinastia romana di concessionari automobilistici, ha proposto all’artista Gian
Maria Tosatti di realizzare un intervento nelle ex officine automobilistiche di
via Ghisleri, nel quartiere Pigneto. Tosatti, di contro, ha voluto invece
realizzare un progetto di più ampio respiro.

Così, nove curatori e quattro tra le più attive non profit sono stati invitati
a presentare delle proposte, mentre a quattro artisti è stato chiesto di
mettere a punto delle performance e, infine, due tavole rotonde consentiranno
un dibattito intorno ad alcune criticità del sistema dell’arte. I 3mila mq
dell’ex officina sono stati suddivisi in Share e Tunnel, ambienti
che ospiteranno gli specifici progetti: una grande (e bella) officina costruita
oltre cinquant’anni fa si trasformerà in una vera kunsthalle aperta tutti
giorni con eventi a rotazione. Dal 10 gennaio al 5 marzo si alterneranno, sulla
base di un programma ben scandito, i diversi attori del progetto.


Altro elemento da evidenziare è il territorio dove si collocano le ex
autofficine: il Pigneto. Nuovamente alla ribalta con la grande manifestazione
studentesca del 22 dicembre, un lungo elenco di iniziative testimonia la
vitalità di questo quartiere, una volta periferico. È qui infatti che registi –
tra cui Roberto Rossellini, Luchino Visconti, Nanni Loy, Dino Risi, Mario
Monicelli – e scrittori – uno su tutti Pier Paolo Pasolini – venivano a cercare
spunti letterali e soggetti di sceneggiature, girandovi spesso scene di loro
film. Il Pigneto è stato di recente trampolino di lancio per iniziative e spazi
d’arte (Dorothy Circus Gallery,
White Cube Pigneto, Mace, CCC, 26CC, Wunderkammern). Da oltre due lustri,
il celebre quartiere capitolino ha dichiarato la propria vocazione culturale,
accogliendo originali iniziative quali Invito
al Pigneto – Una passeggiata con l’arte
, o l’attuale Festivaletteratura.

Oggi al Pigneto si
sperimenta un nuovo modello. Un nuovo modello per molte realtà. Un nuovo
modello per gli imprenditori (che offrendo per un piccolo intervallo uno spazio
sfitto, sperano, legittimamente, di poterlo locare a clienti migliori dopo aver
beneficiato dell’ampia visibilità che una rassegna simile catalizza), un nuovo
modello per gli artisti, una boccata di ossigeno per i raggruppamenti non
profit, agonizzanti per mancanza di spazi e strozzati da un assurdo mercato
degli affitti, un nuovo modello per le amministrazioni pubbliche che davvero
potrebbero farci un pensierino ad aiutare chi volesse tentare di fare di spazi
come questo delle vere piattaforme dove aggregare arte contemporaea, teatro,
performance, musica, gastronomia con un approccio diverso da quello dei musei
che pure hanno aperto in gran quantità nella Capitale. E proprio perché ora ci
sono i musei che servono, che si sono generate le esigenze per robusti centri
di sperimentazione più o meno istituzionali. La risposta di Reload è
eccellente, ma ha una scadenza. Occorrono invece realtà strutturate e
strutturali, punti di riferimento per la classe creativa, per il pubblico, per
il turismo, per gli addetti ai lavori. La proposta inventata da Gian Maria
Tosatti (che qui di seguito risponde alle nostre domande) è un copione
applicabile immediatamente, la palla passa al Comune di Roma, alla Provincia,
alla Regione Lazio e, perché no, al Ministero dei Beni Culturali. Ché sperare
in qualche imprenditore illuminato o in qualche grande azienda, come succede in
tutta Europa da Istanbul a Londra, è ahinoi tempo perso…


Dal 10 gennaio prende avvio la singolare iniziativa Reload in una location altrettanto
inusuale, le ex officine automobilistiche di via Arcangelo Ghisleri, nel
quartiere Pigneto. Com’è nata l’idea?

L’idea è nata grazie ai
proprietari delle ex officine, che hanno scelto una pratica che negli Stati
Uniti è usuale, dove per via della crisi molte aree restano sfitte e si tenta
di tener vivo lo spazio con gli interventi di artisti. Si raggiungono così due
vantaggi: quello di non tenere vuote e abbandonate queste aree, e quello di
farle vedere alle persone, tra le quali ci potrebbero essere potenziali
acquirenti/locatari.

E perché si è pensato di realizzare Reload in questo luogo?

Edoardo Rosati, della famiglia
proprietaria dell’immobile, mi aveva invitato affinché realizzassi una mia
installazione. Dalle nostre conversazioni è nata l’idea di Reload, una sorta di prototipo affinché sia un esempio e un
esperimento da condividere con la città. Anche perché i privati difficilmente
destinano alla cultura delle loro proprietà, non essendo supportati da
un’appropriata legislazione.

Il luogo ha determinato l’idea o viceversa?

È stato un reciproco
riconoscersi. Se fosse stato un negozio, sicuramente sarebbe stato diverso,
perché il luogo si prestava a realizzare idee su pratiche da sperimentare.

È una coincidenza che Reload
si realizzi al Pigneto?

Non del tutto: le ex officine si
trovano in una zona che permette una simile operazione.

Dici che operazioni simili negli Stati Uniti sono abbastanza diffuse.
Tale conoscenza ti deriva da un’esperienza diretta?

Sì, perché gli ultimi tre anni li
ho vissuti in parte a New York dove ho visto, e ho incontrato, artisti che
realizzano installazioni ambientali vicine ai miei lavori. Ho avuto
l’opportunità di conoscere Manon Slome, direttrice di No Longer Empty, un gruppo di curatori che svolgono questo lavoro.
Klaus Overmeyer ha recentemente scritto un saggio sul riuso temporaneo,
dimostrando che è una pratica percorribile anche a Berlino e che permette di
una creare piccola economia indipendente nel sistema dell’arte.

Perché hai avvertito l’esigenza di una simile iniziativa?

Dall’osservazione di quello che
accade a Roma. Primo problema, le non profit sono in crisi, perché non esiste
nessun tipo di sostegno. Così il tentativo di vedere se un ampio ambiente dato
in co-gestione può funzionare. Altro problema, a Roma non esistono vere e
proprie project room all’interno dei musei. Il Tunnel, una parte delle ex officine, è dedicato a quest’idea, per
verificarne la gestibilità.

Quale obiettivo il progetto si auspica di ottenere?

Reload non vuole risolvere i problemi, ma proporre “cose”.
Come una fucina di pezzi di ricambio per il sistema culturale della società. Che
sia però l’inizio di qualcos’altro!

Invece tu quale obiettivo vuoi ottenere?

Tecnicamente, come artista,
nessuno, perché Reload rappresenta
tre mesi di lavoro non retribuito. Però, quando in una città come Roma si
presenta un’occasione, è opportuno coglierla. Inoltre, sono un artista
all’interno di questa città che si predispone a migliorare il sistema
dell’arte, perché tutti possono trarre benefici se si ampliano e si
diversificano gli spazi espositivi.


I curatori invitati, gli artisti coinvolti e le non profit a che
titolo hanno prestato la loro attività?

Il progetto è stato messo in
piedi a bassissimo budget. Esistono partnership importanti, come Rosati, che
dando lo spazio fa risparmiare l’affitto, e come l’agenzia Sup3rStudio. Volutamente
non si sono cercate sponsorizzazioni perché si vuole tentare un prototipo senza
essere legati a specifiche realtà.

Nei due mesi prossimi si alterneranno curatori, non profit e
performer. Come sono stati individuati e perché invitati?

Seguendo il lavoro di alcuni
curatori, mi sono fatto un’idea di quali fossero quelli più attivi e i
rispettivi ambiti di attività e che, di conseguenza, potessero rientrare nella
logica del progetto. Le non profit sono quelle principali e sono state invitate
per capire come superare le criticità insite nella loro attività. Mentre i
performer sono stati individuati tra coloro che compiono performance “di
confine”.

E cosa è stato chiesto?

Ai curatori una mostra che
riflettesse loro ricerca. Alle non profit di lavorare nello spazio e di
realizzare un intervento che riflettesse loro ricerca e attività.

Come sono stati suddivisi e assegnati gli spazi per le diverse
iniziative?

Il Tunnel, una sorta di corridoio, è stato destinato alle proposte dei
curatori, mentre l’ambiente più ampio, lo Share,
è stato riservato all’attività delle non profit e alle performance.

L’iniziativa, oltre ai progetti dei curatori e delle non profit,
prevede altro?

Due tavole rotonde, in cui si
cercherà di mettere a confronto realtà della cultura e non solo, affinché
prendano coscienza dello stato delle cose, e verificare se si possono
coinvolgere, nell’ottica del riuso temporaneo degli spazi vuoti, chi fa real estate.

A conclusione lavori, cosa accadrà?

Si sta pensando alla
pubblicazione di una documentazione atta a raccogliere la teoria. E il resto
dipenderà da chi verrà in seguito e se avrà intenzione di prendere qualcosa
dalla nostra iniziativa.

articoli correlati

Costellazione
non profit atto 5

a cura di daniela trincia

ha collaborato helga marsala


dal 10 gennaio al 5 marzo 2011

Reload

a cura di Gian Maria Tosatti

Ex officine automobilistiche

Viale Arcangelo Ghisleri, 44 (zona Pigneto) – 00176 Roma

Info: mob. +39 3490531868; info@reloadroma.com; www.reloadroma.com

[exibart]

Visualizza commenti

  • Da lunedì, dopo essere stato all’inaugurazione di Reload, mi capita di leggere articoli e intervista su questo “prototipo” di intervento. Sicuramente nuova per la città l’idea di chiamare le no profit e un certo numero di curatori, è vero…
    La cosa però che mi lascia un po’ perplesso è che tutti si entusiasmino per l’operazione, per il modo in cui è stata strutturata, per i pochi soldi disponibili. Ok, tutto ammirevole forse … va bene. Stiamo parlando del contenitore però, soltanto del contenitore … nessuno si sofferma su quello che abbiamo visto durante il primo opening di lunedì scorso. C’era tanta gente vero. Ma il resto? Il contenuto? Cosa abbiamo visto, cosa ci ha colpito lunedì 10 gennaio, visivamente e emotivamente intendo? Ne ho visti di eventi del genere in giro per il mondo; soltanto i conformisti si illudono che l’importante è che funzioni sulla carta…
    Concluderei con: “Non è il male che corre sulla terra, ma la mediocrità. Il crimine non è Nerone che suonava la lira mentre Roma bruciava, ma il fatto che egli suonava male”

  • -Il crimine non è Nerone che suonava la lira mentre Roma bruciava, ma il fatto che egli suonava male-

    mi sa che invece nerone fosse uno dei pochi che voleva salvare roma sotto gli attacchi TERRORistici nell'ombra dei primi cristiani .

  • è triste che si esalti l'operazione, quando poi i contenuti e l'organizzazione sono scadenti. è come dire: guarda il vestito, non fa niente se poi le ascelle puzzano! è come dire: l'operazione va bene, poi non è importante quello che c'è dentro, e per questo curato poco. invece dovrebbe essere il contrario, cioè: che il contenitore, affinché funzioni appieno, dovrebbe essere supportato anche da un bel contenuto proprio per dimostrare che entrambi vanno a pari passo e che entrambi hanno lo stesso valore e la stessa portata. è ancora più triste che ci si accontenti dell'evento di per sé, dell'idea.

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