Pillole di stelle

di - 26 Giugno 2015
È nata sei anni fa, nell’ambito di AstiTeatro. Stavolta però si è fatto un passo avanti e le “Scintille” sono arrivate al Teatro Menotti di Milano, uscite dal grembo materno piemontese. Si intitola proprio così il contest che per questa edizione ha visto l’application di oltre centocinquanta compagnie italiane under 35 (tra le quali ne sono state selezionate otto) che si sono sfidate a colpi di applausi sabato 20 e domenica 21 giugno scorso, alternativamente all’Alfieri di Asti e a Milano. Ma gli applausi non sono serviti tanto quanto la votazione di una giuria di esperti (presieduta da Emilio Russo, e composta da Angela Calicchio, Paolo Cantù, Rosario Coppolino, Milvia Marigliano, Mario Nosengo, Enza Pineda, Carlo Roncaglia, Giovanna Rossi, Giordano Sangiovanni, Paolo Zanchin) ma soprattutto del giudizio del pubblico, che è potuto entrare in sala gratuitamente per poter farsi un’idea di come si sta muovendo il giovane teatro, e scegliere a chi assegnare un premio produzione di 8mila euro e, soprattutto, un ideale premio “cartellone”.
Sì, perché la compagnia vincitrice vedrà materializzarsi la possibilità di mettere in scena il proprio spettacolo la prossima stagione, in entrambi i teatri.
Un’iniziativa a dir poco pregevole, e di qualità, vista la presenza scenica e l’originalità delle pillole delle rappresentazioni: ad ogni compagnia, infatti, è stato chiesto di condensare il proprio lavoro in venti minuti netti.
I migliori, a nostro giudizio? Senza dubbio i Proclami alla Nazione di S.N.C. Granara/Mariottini/Sorrentino/Strazza, che però non si sono beccati nulla, ma hanno fatto letteralmente impazzire la sala con una prosa contemporanea, urlata, sopra le righe, in un crescendo di paradossi esagerati visti attraverso quattro ideali finestre, illuminate a turno: un canto corale e lucidamente schizofrenico sui nostri giorni, dove i temi sembrano essere insensate banalità o rivelazioni quasi mistiche di un piattume che fa il verso ai media, alla comunicazione, alla politica. Chiudendo con un “Spesso essere sinceri non è facile, tantomeno avere qualcosa di importante da dire”.
A La marcia lunga, della compagnia calabrese Nastro di Möbius/Scenari Visibili, va una menzione speciale “Per la coraggiosa messa in scena di un tema delicato come la criminalità organizzata, attraverso la metafora sportiva e la multirazzialità”. Anche qui, in effetti, si poteva essere in odore di premiazione per la storia di una corsa paesana dove il professore di educazione fisica della scuola, “‘u prufessoricchio”, combatte la sua personale battaglia di riscatto (per vendicare idealmente un suo ex talentuoso studente portato via dalla ‘ndrangheta) aizzando una ragazza di origine marocchina, che invece rivendica la sua paura, il suo non sentirsi all’altezza. E la sua italianità.
Toccante, come è toccante la storia di MAT! Misure di annientamento totale de Lostello dei dispersi. Alena e Pavel sono fratello e sorella e hanno 11 e 13 anni, lei appassionata di Alice di Lewis Carrol, lui di scacchi. Cercheranno di combattere la loro battaglia verso il fondo, senza i genitori, prima deportati a Terezìn, il ghetto dei piccoli, in attesa di passare ad Auschwitz. Accompagnati da due sedie e dalle testimonianze del processo ad Eichmann e dal Primo Levi di Se questo è un uomo, tra gli altri, si consuma l’ennesima prova di una tragedia, messa in scena con semplicità e trasporto.
Poi c’è Maia, l’ape operaia nell’alveare del call center della milanese Giulia Lombezzi e del suo Quater, che finisce dissanguata per evitare di perdere la “media” delle sue interviste telefoniche una volta rimasta chiusa nella toilette: una macchietta metropolitana, nevrastenica, e allo stesso tempo spassosissima, in cerca di un famigerato lavoro che possa farla sentire affermata, parte della società, e che letteralmente si svena a costo di tracciare i suoi dati di mercato su carta igienica e piastrelle, per evitare di perdere il posto. Un tema, quest’ultimo, piuttosto ricorrente in questa mini rassegna, narrato anche dal gruppo torinese Tedacà (foto in home page), che racconta in Strani-Oggi Generazione Qualunque Qualsiasi Qualsivoglia proprio due età a confronto: quella dei trenta-quarantenni di oggi in relazione ai genitori: mentre questi hanno trovato la loro ricchezza scappando da un sud crudo e contadino, i figli plurilaureati e naturalizzati al nord sono strozzati da contratti a tempo determinato, condizioni di lavoro precarie, mancanza di prospettive: il sogno dei “vecchi” di veder scalare la piramide sociale da parte della prole si infrange di fronte a un Paese disorientato.
Amore invece per Quei Due di Roma e DUE-Come si fa a far andare bene una coppia? Ce lo chiediamo in molti, e qui tra musica e versi si consuma una sorta di “catalogo” di frasi, gesti, tic e rituali che ricordano anche i Frammenti di Roland Barthes, in versione più prosaica.
Ma veniamo ai vincitori: la seconda menzione speciale va alla compagnia nO (Dance first. Think later), con lo spettacolo Città/Inferno, “Per la qualità e l’originalità del linguaggio scenico sviluppato da un ottimo gruppo di interpreti, che alternano la recitazione alla danza, costruendo uno spettacolo di grande efficacia, ritmo e impatto”, e che racconta la storia di sette detenute, alle prese con le possibilità dell’innocenza, e della femminilità.
Gli applausi più scroscianti sono stati invece per il Teatro dei Gordi, compagnia milanese che è anche sul podio di Scintille 2015 con Sulla morte, senza esagerare (foto in alto). Uno spettacolo mimato, senza musica, con le maschere di Ilaria Ariemme sui volti degli attori (Giovanni Longhin, Andrea Panigatti, Sandro Pivotti e Matteo Vitanza, diretti da Riccardo Pippa), che racconta della Signora nera (qui senza falce) che attende stanca i suoi appuntamenti, seduta su una panchina con gli abiti sgualciti: tra giovani vittime di incidenti, coppie di anziani “trattenute” solo in parte e aspiranti suicidi che non riescono nell’impresa e vengono rispediti al mittente, si consuma la pantomima intorno alla figura nera, che però attende di essere sostituita, avendo già inviato la sua lettera di dimissioni. Ed ecco che sul finale arriva la “nuova morte”: un manager con la faccia di teschio e valigetta bianca. This is the end, anche per chi suona la campana? Forse.
Ma non per il palcoscenico italiano in erba, del quale in questo caso si scatta una fotografia viva, dinamica, ricca di inventiva, ed empatica, e mai come oggi questa pare essere una grande qualità.

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