Play, cortocircuito | emotivo sulle sette note

di - 17 Ottobre 2014
“Play” è un invito: vuol dire suonare, ma in inglese significa anche giocare, recitare, agire. Il progetto Digital Life, alla sua quinta edizione, prende un titolo che conferma la volontà di estendere le possibilità creative sia degli artisti che dei visitatori, attraverso l’uso della tecnologia. La mostra è il nucleo interattivo del Romaeuropa Festival e si avvale della collaborazione di centri culturali internazionali, tra cui Le Fresnoy – Studio National des Arts Contemporains, da cui proviene la metà degli artisti in mostra.
Sono presenti anche talenti italiani come Donato Piccolo con la sua Orchestra stocastica, dal significativo sottotitolo Butterfly 2: gli oggetti diventano fonti di suono riproducendo il loro moto quotidiano, e insieme vivono e alimentano una consequenzialità inarrestabile.
L’idea dell’orchestra è interpretata anche dalla musicista e artista Zahra Poonawala: Tutti sono gli strumenti che attraverso amplificatori fissi e mobili seguono e vengono influenzati dalla presenza di chi si avvicina, suonando una composizione diretta da Gaëtan Gromer e ispirata all’opera di Giacinto Scelsi. La collocazione di quest’ensemble elettroacustico in una struttura industriale ancora intatta ne potenzia l’impatto e rivela la natura del luogo: la Pelanda dell’ex Mattatoio, ora diventato suggestivo spazio espositivo.

A questa carica storica si aggiunge un altro elemento essenziale per vedere la mostra: il buio. Si fa necessario per poter immaginare, come nei sogni, e per poter far apparire strumenti noti ma immateriali: l’Arpa di luce del compositore Pietro Pirelli e dell’ingegnere Gianpietro Grossi attraversa tutto un padiglione con raggi laser verdi. Un pendolo scende per poterli lambire, senza distinguere il confine tra suono e luce.
La collaborazione tra compositori, artisti, architetti e ingegneri, genera sculture come nuovi strumenti musicali, ma anche connubi artistici: Cod.Act è il nome in cui si associano André e Michel Décosterd. Cycloïd-e è la loro creatura: un ipnotico pendolo, in questo caso composto da tubi metallici con altoparlanti, che tramite movimenti rotatori fa risuonare l’aria e vibrare il pavimento, dando l’idea di essere in un film di fantascienza. Imprevedibile e armonioso, il suo giro appare come una danza, seguendo una sonorità e una «bellezza della traiettoria» simili a quelle dei pianeti immaginate da Johannes Kepler ne “La musica delle sfere”.

Dunque, la memoria persiste in queste trasformazioni elettroniche e rivive, con l’«esigenza di tradurre l’esperienza sonora tanto in immagine, quanto più in oggetto, scultura e installazione», afferma Daniele Spanò, consulente artistico della Fondazione Romaeuropa. Lo si può capire nella sala dove giochi, strumenti lontani e antichi riverberano di elettricità: la Balançoire di Veaceslav Druta è un’altalena musicale in un grande ingranaggio di legno che fa vibrare corde di chitarra in modo diverso a seconda del peso dell’ospite, dell’oscillazione e della posizione delle mani sulle barre. Damassama è quasi una formula magica: unisce il verbo francese che indica la lavorazione del metallo a samāʿ che vuol dire “ascolto” in Arabo e Persiano. È il nome del dispositivo acusmatico di Lèonore Mercier, dove ponendosi al centro di un anfiteatro di campane tibetane su due livelli, si diviene direttori d’orchestra attraverso gesti perentori o rotatori come i movimenti dei dervisci.
Antichi mestieri e parole si intrecciano nel telaio musicale di Kingsley Ng, Métier à tisser musical: «come negli haiku giapponesi, brevi parole e sillabe possono sprigionare un magnifico irraggiamento di immagini», spiega l’autore.

Lettere leggère come suono evaporano sullo schermo elettronico dai 108 carillon di Heewon Lee: una nota per ogni carattere, collegati da una banca dati informatica. Meno effimero il contenuto formato dalle parole: estratti dal libro Enfance sacrifiée, che raccoglie testimonianze di bambini orfani o abbandonati. Ancora le parole sono intonate da una Babele di voci nella torre elicoidale di Douglas Henderson che sale scomponendo e amplificando con altoparlanti i versi di Russell Edson: Dream man.
Questa mostra fa scintille e ne è d’esempio l’installazione Impacts di Alexandre Burton, dove bobine Tesla scoppiettano al passaggio del visitatore: reazioni e interazioni che simboleggiano la potenza della tecnologia, ma in chiave di possibilità. Didascalie e libro guida danno le istruzioni per poter creare con le opere in mostra, e “play” fa rima con “stay”: non c’è alcuna fretta quando il digitale inventa.
L’esposizione, aperta fino al 30 novembre (dalle 16 alle 22, chiusa il lunedì), ospita eventi e concerti serali ed ha una ulteriore sezione a Latina, a Palazzo M, visitabile fino al primo novembre.

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  • esperimenti contemporanei interessanti......alcuni di questi,in modo non dissimile sono stati presentati-creati negli u.s.a. e anche in italia, in campo prettamente elettronico-digitale, si fanno installazioni simili ( microfoni direzionali o a contatto, ambientali ecc. che captano il movimento di persone traducendolo in suoni-musica..) questa è arte con-tempora-nea..........

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