L’obiettivo dichiarato di Popsophia, neologismo derivato dall’unione di pop e sophia, è realizzare una riflessione inedita sulla società contemporanea. Dal neologismo che gli dà nome, l’appuntamento marchigiano unisce il popular – con rimando alla cultura popolare e a ciò che ha a che fare con la vita quotidiana, i piaceri, il corpo e le emozioni, anche quelle che passano attraverso la televisione, il cinema e le canzonette – alla traslitterazione del termine greco σοφία (sofìa), col significato di possesso teorico di approfondita scienza e capacità morale di saggezza.
«Con Popsophia tentiamo di fare una cosa ingiustificabile: affiancare due opposti e in questo gioco, in questa tensione, la cultura popolare compromette la filosofia e la filosofia è condannata al carcere della realtà. Succede, speriamo che succeda, che la cultura popolare diventi quel bagaglio che ognuno di noi porta con sé, quel contenitore di mitologie, di immaginario, che condividiamo insieme». Prendendo spunto da questa dichiarazione e in previsione dell’appuntamento a Pesaro dal 6 al 9 luglio, abbiamo intervistato Lucrezia Ercoli, Direttrice artistica del festival.
Partiamo dalle origini, era l’inizio del 2010 quando si affermò Popsophia. Che strada ha percorso il festival?
«Il nome del nostro festival si ispira alla pop’philosophie di Gilles Deleuze che nel 1977 scriveva che “la filosofia è in un rapporto essenziale e positivo con la non-filosofia”. Il festival nasce da questa necessità: dare spazio alle connessioni tra il pensiero e il mondo, tra la filosofia e l’attualità. Popsophia dunque non è solo un neologismo, ma una “prassi”, un modo di fare filosofia su e con il presente, una postura nuova che cambia il modo in cui guardiamo la realtà. La strada del festival è stata subito in salita: la nostra sfida culturale non è passata inosservata e ha generato consensi e dissensi nel dibattito nazionale. Contro il conservatorismo asfittico di una certa Accademia, abbiamo frantumato il confine tra cultura alta e cultura bassa, lavorando con i fenomeni di massa e con la cultura pop. Abbiamo dimostrato che piacere e conoscenza, godimento e ragionamento non sono concetti alternativi. Convinti, parafrasando Roland Barthes, che “le cose intellettuali dovrebbero assomigliare alle cose amorose”».
A distanza di 13 anni, come è cambiato il rapporto tra cultura popolare e filosofia? Come era e come si è trasformato?
«In questi anni di grandi cambiamenti, Popsophia non è stata a guardare. Anche il festival è cambiato ed evoluto. Ci siamo resi conto che non bastava cambiare “l’oggetto” del discorso, bisognava stravolgere la “forma” dell’evento. Abbiamo abbandonato la formula stantia della lectio magistralis dei soliti volti televisivi e della passerella degli autori dei libri più venduti imposti dalle case editrici. Un pacchetto che rende i festival culturali italiani ripetitivi e intercambiabili. Forse può funzionare per il pubblico locale attratto dalla notorietà del personaggio, ma non ha nulla a che vedere con la vitalità della creazione culturale. Dopo il selfie con il volto famoso, non rimane nulla. “Fare” filosofia è un’altra cosa. Per questo abbiamo deciso di non essere il contenitore di presentazioni e spettacoli altrui, ma di fare produzione culturale. I nostri “philoshow” sono spettacoli di filosofia e musica che – con la nostra band, con la nostra regia, con la nostra sceneggiatura – mettono in scena il tema del festival. In questo modo il festival diventa davvero un evento che produce pensiero».
Quali sono gli strumenti e gli ambiti, di studio e di intervento, della pop filosofia?
«Per Popsophia non c’è niente di intoccabile: nulla di tanto alto da non poter essere criticato, nulla di così basso da non meritare considerazione. Quindi la moda, la pubblicità, il cinema, le serie tv, i fumetti, la musica, i social network – in quanto “oggetti pop” che determinano il nostro immaginario etico ed estetico – meritano più di una rapida e snobistica sottovalutazione a priori. Insomma, tutti i miti e i riti del mondo contemporaneo sono un sensibile sismografo del presente. Per questo diamo spazio a una nuova generazione di filosofe e filosofi desiderosi di sperimentare nuovi sentieri di ricerca: il festival è un laboratorio da cui sono germogliati incontri, pubblicazioni, riviste, collaborazioni. Fondamentale è stato non aver mai interrotto un dialogo costante con il pubblico e con le scuole: nel confronto con gli studenti e con gli insegnanti, abbiamo evitato il rischio dell’autoreferenzialità».
Popsophia si è arricchito, di recente, di una galleria espositiva modulare, MeGa, acronimo di Meta e Gallery. Come è nata l’idea e come dialogano, nella sua concettualità, tecnologia, arte e filosofia?
«MeGa è la galleria espositiva modulare prodotta e realizzata interamente dal team creativo di Popsophia. Uno spazio immersivo in grado di ospitare la narrazione visiva della pop filosofia, attraverso gli ultimi sviluppi delle tecnologie digitali e dell’arte contemporanea. La sfida culturale è stata mettere in mostra un pensiero, esporre un concetto. L’autre regard, l’altro sguardo rappresentato dalla sfida critica della Popsophia si intreccia con delle avanguardie artistiche del 900, con il genio di Marcel Duchamp, di Salvador Dalì e di Man Ray. Spazi immateriali e stanze dalla geometria instabile, plasmate in tempo reale soltanto da suoni e immagini: la nostra mostra virtuale – fruibile solo con i visori VR – ci interroga sul confine tra realtà e rappresentazione e sul nuovo statuto dell’immagine digitale. Insomma, anche in questo campo guardiamo al presente e al futuro, senza nessun rimpianto del pennello. Lasciamo la nostalgia del chiodo per aderire a questa irrealtà, molto più reale di tante anacronistiche tele alle pareti».
Amati Mostri è il tema scelto per l’edizione di Popsophia del 2023, che si svolgerà a Pesaro dal 6 al 9 luglio. Cosa si prefigge di indagare e come si inserisce nell’attualità?
«Il festival di quest’anno si prefigge di indagare la nostra fascinazione per il mostruoso. Il mostro – da sempre – incarna ciò che è diverso dalla norma, ciò che è deviante rispetto al canone, ciò che è sproporzionato nelle reazioni e deforme nelle dimensioni. Abbiamo bisogno dei mostri per definirci, per negazione, umani. I mostri oggi non sono scomparsi. Anzi, la società di massa – dal true crime alla serialità televisiva, dalla cronaca nera all’intelligenza artificiale – produce costantemente nuovi mostri, da deridere, da osannare, da sacrificare. Il mostro ispira paura e meraviglia, ci inquieta e ci attrae. Chi sono davvero “i mostri”, si chiedeva esattamente sessant’anni fa Dino Risi, in un film che ha messo alla berlina la crudeltà dell’italiano benpensante. Forse, a forza di cercare il mostro fuori da noi, non ci siamo accorti che il mostro che amiamo di più siamo noi stessi».
Come sarà articolato il festival, quali saranno gli appuntamenti e chi saranno gli ospiti?
«Il festival si declina in quattro giornate di incontri e spettacoli. I pomeriggi sono dedicati alla fenomenologia del mostruoso: dalla fascinazione per il crime alla passione per i serial killer, dal freak show alle riflessioni sui corpi non conformi, dai mostri dell’horror di Stephen King al demogorgone di Stranger Things o alla disumanità postapocalittica di The Last of Us. La sera debuttano i philoshow in Piazza del Popolo con l’ensemble musicale Factory. Il primo – venerdì 7 luglio – è dedicato al mondo del fantasy, fra draghi, creature fantastiche e terribili attraverso le saghe del Signore degli Anelli e del Trono di Spade, con Michele Bellone, giornalista e divulgatore scientifico e Licia Troisi, scrittrice fantasy e astrofisica. Sabato 8 luglio, con il filosofo Massimo Donà e il giornalista Leo Turrini, domina il palco il mito del rock demoniaco e della vita spericolata, con uno spettacolo dedicato al rocker italiano per eccellenza: Vasco Rossi. Domenica 9 Luglio chiude il festival un omaggio al centenario Disney con i filosofi Simone Regazzoni e Riccardo Dal Ferro. I villains più crudeli dei cartoni animati d’antan e i nuovi mostri fragili e buffi dei film più recenti sono da sempre accompagnati da colonne sonore indimenticabili».
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