L’obiettivo non è solo quello di creare dibattito ma anche di coinvolgere le alte sfere del Ministero ad un confronto, anche su internet…
Un corposo dossier di iniziative e progetti del Ministero frutto del dinamismo di un’Amministrazione che sembrerebbe improvvisamente attiva e efficiente dopo che per decenni – è il giudizio del ministro Melandri – è rimasta “inerte e passiva”.
Probabilmente la Ministra non conosce e non ha mai conosciuto il dinamismo e la qualità dei suoi tecnici che da sempre si sono adoperati nell’interesse dell’opera d’arte supplendo in maniera egregia all’inerzia ministeriale la cui presunta ritrovata efficacia, appare più di facciata che sostanziale.
Anche i progetti realizzati in quest’anno – nel volume si citano i musei riaperti, i ritrovamenti di opere, nuove attribuzioni – sono il frutto di una costante attività al servizio della tutela, portata avanti sistematicamente dagli storici dell’arte e dagli archeologi del Ministero che, guarda caso, nel dossier del Ministero non compaiono mai.
Forse il personale non è oggetto degli interessi ministeriali o il Ministro non si è ancora accorto che ci sono persone che continuamente mettono a disposizione la propria competenza per il buon esito delle iniziative.
Ma cosa è veramente cambiato nei cinque anni in cui il Ministero è stato guidato dall’Onorevole Veltroni prima, e dall’Onorevole Melandri poi?
E’ certamente cambiata la carta intestata; lo Spettacolo è stato assorbito dal Ministero che, per altro, sempre più tende allo spettacolare; sono stati presentati tanti grandi eventi apparentemente sempre più “grandi eventi” e sempre meno interessati alla tutela di quel vasto patrimonio che è il Museo Italia. Quel Museo sparso per le borgate e i non-centri che non interessa più a nessuno. Anche perché, si sa, non porta poi tanti voti. Eppure in esso si cela la vera storia dell’arte italiana, quella che fa di questo straordinario paese un luogo unico al mondo.
Eppure è sempre più facile vedere realizzata una “grande” mostra (se non c’è accanto l’appellativo “grande” non è una mostra significativa) che non un restauro a Canicattì o per le campagne romagnole.
Uno storico dell’arte con venti anni di anzianità, una laurea, una scuola di specializzazione post laurea, decine di articoli e saggi su riviste specializzate, spesso autore di numerose e importanti monografie, percepisce uno stipendio di £. 2.580.000 al mese più varie indennità. 1650 lire all’ora se si sposta per dei sopralluoghi sul territorio che vengono ridotte a 450 lire dopo le otto ore, ma ha diritto a pranzare. Se però non può pranzare perché, ad esempio, sta lavorando ad uno scavo in aperta campagna, percepirà lo stesso 450 lire l’ora.
Questo “storico” non ha diritto all’aggiornamento. Non può visitare una “grande” mostra, nemmeno quelle organizzate da altre soprintendenze. Per farlo deve andare in ferie. Non può partecipare ad un convegno di studi spesato dall’Amministrazione. Alle volte però, per gentile concessione, viene emanato un editto ministeriale che “concede” di partecipare al convegno, ma a spese proprie e con l’obbligo di recupero delle ore “perdute”.
Questa la situazione reale del Ministero in questo quinquennio che avrebbe dovuto vedere grandi trasformazioni stando alle promesse del Ministro Veltroni. A parte le parate e il fumo di cui si è detto, la situazione per chi lavora al Ministero per i Beni e le Attività Culturali è certamente peggiorata. Molte più responsabilità e uno stipendio inferiore a quello degli insegnati.
Eppure bisognerebbe capire che dietro ogni taglio di nastro, ogni inaugurazione di mostre o nuovi musei, non ci sono solo i custodi, ma anche chi organizza le collezioni, chi studia i materiali da esporre chi dirige i restauri. Senza queste persone il Ministero non esisterebbe o, forse, si limiterebbe ad appaltare progetti culturali alle tante ditte “specializzate”.
Apriamo un dibattito che coinvolga Ministro e tecnici del Ministero, e attraverso le pagine di Exibart – che ospita questo scritto con interessatissima imparzialità NdR – facciamo chiarezza sui compiti, il ruolo, le competenze, la preparazione e dunque anche lo stipendio di questi “impiegati”.
Il Ministro ha delle risposte a questi interrogativi? E’ disposto a dire la sua in un pubblico dibattito svolto tramite internet?
Franco Faranda
*Storico dell’Arte e Direttore nella Soprintendenza di Bologna.
[exibart]
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ho provveduto a rispondere alle persone che avevano un recapito di posta elettrronica. Non so come fare per rispondere a quelle persone che non hanno indirizzo di posta elettronica
Caro Faranda,
come mai non interviene nei messaggi? Non voleva lei il dibattito?
Gent.ma Maddy,
volentieri rispondo al suo articolato intervento, anche perché nella Soprintendenza in cui opero, da sempre abbiamo cercato di legare cultura con strategie di mercato. Le mostre che da decenni vengono organizzate nella sede della Pinacoteca Nazionale, il più delle volte si autofinanziano grazie alla promozione che la Soprintendenza è in grado di offrire agli sponsor. Un'attività che ha portato avanti con rara intelligenza il Prof Emiliani e che è adesso continuata dalla Dott.ssa Bentini.
Accanto a questa "grande" attività, la Soprintendenza bolognese si è impegnata ad attuare anche sul territorio di sua pertinenza tutte quelle condizioni che rendono possibile il proficuo intervento di sponsor che non sono cercati solo presso le Fondazioni delle Banche, ma nel tessuto vitale della città, coinvolgendo le industrie locali e anche i semplici cittadini.
Nell'area di cui mi occupo specificamente, il comprensorio di Cesena e Imola, in questi ultimi anni ho messo in piedi delle "imprese" culturali, grazie agli sponsor, che superano di gran lunga gli interventi ministeriali.
Ricorderò, ad esempio, il restauro delle dieci sculture in cotto di Alfonso Lombardi, a Castel Bolognese, nei pressi di Imola. Il restauro è stato interamente finanziato dalla Cooperativa Ceramica di Imola. La proposta alla cooperativa ceramica di Imola è stata avanzata nella convinzione - ed è convinzione che non risponde alla sola logica di mercato - che questo restauro avrebbe potuto tracciare un ponte tra chi oggi lavora la creta e coloro che la lavoravano nei secoli passati. Volevo evidenziare la continuità di una disciplina artigiana che vanta millenni di civiltà ed è ancora vitalissima.
Altro rilevante intervento - e cito solo quelli dovuti ad industrie - sono i restauri delle pale d'altare della Chiesa di San Domenico a Cesena, in buona parte finanziati dalla Orogel, sempre su mia richiesta e mio progetto.
E' possibile certamente coinvolgere ricchezze private anche in centri minori e questo non tanto per le leggi del mercato intese solo con "do per ricevere", ma perché c'è ancora, in Italia, un forte legame con il territorio e non è impossibile chiedere un restauro ad un'industria semplicemente perché l'opera da restaurare è nel territorio in cui opera. Forse sarà romanticismo, sarà affetto, ma è anche rispetto verso la propria terra, orgoglio per il proprio passato, sensibilità "umanista" che possiede anche il "vile" (per alcuni) mercante.
Per ottenere questi finanziamenti c'è stato soprattutto l'impegno personale del sottoscritto che oltre che a seguire i restauri ha promosso l'iniziativa presso le aziende, preparando siti internet ove far confluire i restauri effettuati, eseguendo dei cd multimediali ove venivano presentati i restauri, organizzando conferenze sul territorio ove opera l'azienda per far conosce questa attività collaterale dell'industria al "servizio della mia città" (anche lo slogan è mio).
La cosa strana è che parlo di questi interventi e di questa attività per la prima volta. La realtà è che a livello ministeriale il mio lavoro non esiste. Potevo fare o non fare questi interventi, potevo provare a coinvolgere queste industrie e potevo anche ignorarle, perché questa attività per il Ministero semplicemente non esiste. Il multimediale ho dovuto realizzarlo a casa mia perché in ufficio, a quel tempo, non avevo il computer. Il mio stipendio è rimasto immutato perché non segue logiche di mercato né è sottoposto a incentivo per procurato reddito allo Stato.
Per questo contesto il dossier del Ministro Melandri, A mio avviso non conosce o non tiene volutamente conto delle meritorie attività dei suoi funzionari che restano i peggio pagati d'Italia. Non esiste funzionario dello Stato Italiano che sia pagato meno di uno storico dell'arte o altro tecnico che opera per il Ministero per i Beni Culturali.
Sono contenta perché il signor Faranda ha toccato un questione nodale che speravo saltasse fuori nella discussione di questi temi. Eh già, il punto sta proprio nei “guadagni indotti” che l'industria della cultura produce. Musei e circuiti culturali causano ricchezza che ricade sul territorio. Ciò significa allora che l'azienda non è in perdita come dice la Acidini, semplicemente è male organizzata, non funziona con i criteri dell'azienda. Se appare giusto che esercizi commerciali, ristoranti e alberghi del territorio godano i frutti dei circuiti culturali, appare altrettanto giusto che una parte di quei guadagni torni nelle casse delle fonti di quel guadagno (i musei) per arricchirne l’offerta e per garantirne il sostentamento. Insomma sarebbe il caso di studiare delle strategie di marketing che tenessero conto di questi guadagni indotti (qualcuno li ha mai quantificati in una città come Roma, Firenze, Venezia?). Praticamente, lì per lì, mi vengono in mente la possibilità di stipulare delle convenzioni con le singole attività commerciali per praticare degli sconti con l’esibizione del biglietto del museo (un punto informativo al museo sulle possibilità di soggiorno e quant’altro convenzionato agevolerebbe il sistema) oppure incentivare forme di finanziamento alternative alle solite fondazioni bancarie, coinvolgendo le aziende e l’imprenditoria; ma lo sa che ad Exibart (l’ho saputo dalla chat di EX) scrivono grosse aziende per chiedere informazioni su monumenti ed opere che abbiano bisogno di restauri e recapiti cui rivolgersi per intraprendere questo genere di promozione? Ma le pare possibile e sensato che accada questo? Lei parla di zone “non commerciabili” Certo, se non studiamo dei programmi adeguati non cambierà mai nulla. Ma come spiega che un imprenditore della sua zona impianti in un’area che più periferica non si può come Pieve di Cento un museo d’arte contemporanea? Un pazzo? Non direi date le presenze dei visitatori. Siamo ancora agli inizi, ma quel museo nasce su sinergie precise con una casa editrice che pubblica una rivista piuttosto conosciuta nel bolognese; negli inviti alle mostre appaiono le pubblicità di ristoranti e alberghi della zona; quel museo non si limita a “vendere” (scusi il termine) la permanente che, una volta vista, uno non ci torna più, ma organizza dibattiti, conferenze, mostre temporanee, invita personalità autorevoli (ricordo Gorbachev, Andrea Emiliani, Concetto Pozzati, mentre il critico Di Genova è di casa). Insomma ci sta provando e con una buona dose di coraggio.
Bisogna investire di più nella promozione della cultura; basta con i soliti barbosi depliant distribuiti a pioggia in loco, si pensi a vere campagne di promozione su scala nazionale; spot e pubblicità sulla stampa e sui media (ivi compreso internet e, tenga conto, che il sitino locale è dimostrato che non paga assolutamente in termini promozionali in un panorama affollato come la rete, bisogna cercare le concentrazioni ed i catalizzatori di utenti) e in maniera continuativa, non solo per le occasioni particolari. Talvolta si dice che la cultura non interessa a nessuno, però i bar le società di trasporti di Venezia si arricchiscono praticando tariffe 3-4 volte superiori al normale. Mah, rimango del parere che ci sono molte cose che non funzionano e che non si vogliono far funzionare.
per Carlo Cavini
scusa per l'allucinazione. Spero di essere ancora in tempo a dibattere con tutti. Solo non sapevo come fare. Adesso tocca a te. Il mio editoriale è volutamente critico per stimolare il dibattito e per introlquire occorrono proposte o contestazioni
Mi piacerebbe sapere qualcosa sulla questione della defiscalizzazione applicata sull'acquisto di opere d'arte. All'estero questo è recepito dalla legge e consente un'attività più trasparente ai soggetti coinvolti nel mercato (gallerie, antiquari, case d'asta, ecc.). In Italia si dice che sia impossibile stabilire il vero volume d'affari del mercato perché a causa delle tassazioni il mercato segue per lo più strade sotterranee scavalcando il sistema fiscale. So che non c'entra molto con l'argomento dell'articolo, ma penso che, soprattutto per l'arte contemporanea (ma non solo a pensarci bene) le questioni di mercato e del collezionismo siano parte integrante dell'economia di una nazione in materia di bb.cc. (l'America insegna)
Mi sembra di intuire che stanno saltando fuori questioni legate al Testo Unico e, più in generale, a tutte la recente legislazione, regionale e nazionale, in materia di bb.cc. Più volte negli anni si è lamentato l'anacronismo delle vecchie leggi, ora che ne abbiamo di nuove si sentono pareri discordi, il più delle volte negativi (ricordo le considerazioni de Il Giornale dell'Arte). Il signor Faranda, da dentro il sistema e da addetto ai lavori, come lo vede il nuovo T.U.?
Carlo Cavini ha ragione, signor Faranda. Non può tagliarci fuori così. L'argomento è interessante, perché questi segreti? In Italia ce ne sono già troppi di segreti e ben più drammatici, almeno di questo argomento parliamo in modo franco e aperto. Giri anche nei commenti la sua e-mail "privata".
per jump e janaz
scusate il ritardo, ma ero fuori per lavoro. Provo a rispondere e con chi aveva un recapito di posta l'ho fatto privatamente (mi riprometto comunque di mettere le risposte a disposizione di tutti. Quanto a voi attendo un vostro articolato parere che consenta una risposta.
Cordialmente
Franco Faranda
Ora il suo articolo comincia ad assumere sfumature più dettagliate e comincio veramente a capire il suo disappunto. Sostanzialmente pare di capire che il Ministero chiacchiera di nuove gestioni manageriali, si assume il merito di questa nuova politica che però, di fatto e stando alle sue parole, rimane come fu un tempo legata alla volontà, alla capacità, alla professionalità di singole persone che non vengono messe nelle condizioni ottimali per lavorare, che non sono adeguatamente ricompensate per questa loro "missione" (a questo punto usiamo questo termine), né appaiono i segni che si stia provvedendo a realizzare strutture e a fornire gli strumenti idonei per proseguire su questa strada.
Ha fatto bene a citare Emiliani e la Bentini (per me 2 mostri sacri). Mi ha fatto venire alla mente che negli anni '60 proprio Emiliani intraprese una politica espositiva che, grazie anche ai finanziamenti bancari, permise di rivalutare tutto la favolosa cultura del manierismo tra Ferrara e Bologna, dando lustro anche a quella provincia che, nelle chiese soprattutto, conservava splendidi esempi di quella cultura. Saper capire e assecondare fattivamente opere come quella di Emiliani, della Bentini e di alcuni altri significherebbe veramente cominciare a lavorare sul serio, sfruttando le potenzialità inesauribili del nostro territorio. Purtroppo pare vincente invece la tecnica del "far apparire", del "gonfiare" il più possibile alcune iniziative di grande attrattiva per nascondere i veri "scheletri nell'armadio".
Facciamo qualcosa. Come? Lei ha qualche idea? Vede qualche possibile strada per risolvere questa cultura del "pressapochismo"? Lei considera che l'esempio di Cento, con la sua splendida pinacoteca, la sua rara ma sempre interessantissima attività espositiva (quella attuale, con le visite guidate ai luoghi guercineschi) e quella dell'anno scorso (mi pare) con i restauri delle tele manieriste delle chiese del territorio (non sempre restauri impeccabili, ma non entriamo nel merito e giudichiamo l'evento), lei considera, dicevo, che questo sia un esempio positivo e da seguire?