Quanto è bella la residenza condivisa

di - 8 Gennaio 2014

S’intitola RAGAZZE, ma la Residenza Via Farini che è appena finita a Milano (settembre – dicembre 2013) è stata vissuta da otto ragazzi: tutti maschi, tutti italiani, tutti nati tra l’82 e l’88 tra la Puglia e il Piemonte, passando per la Lombardia.
Ho seguito questa residenza, a cura di Simone Frangi, dai primi mesi, tra assenti e presenti, tra colori, carta, gesso, marmi, legni e software che si stratificavano e si distruggevano sotto la luce a neon dei 240 metri quadrati dello spazio al 35 di Via Farini. Nel tempo è emerso un primo aspetto: la tenacia e la determinazione di un gruppo di giovani artisti che per la prima volta ha avuto l’occasione di operare insieme in uno spazio ampio e con un team che offriva coordinamento e relazioni. Un desiderio concretizzato in un Paese nel quale l’offerta di condivisione di spazi, di lavoro e di dialogo per artisti è un miraggio che segna la quasi totale assenza delle istituzioni museali e formative. Un secondo aspetto mi ha colpito: gli “8 ragazzi”, nelle singole esperienze, hanno saputo costruire un team flessibile ed efficace. Un fab-lab dove sistemi di mutua collaborazione si sono mescolati al divertimento. Un caso fortunato che conferma però l’esigenza di spazi ed esperienze di condivisione.
Infine, la registrazione di un terzo aspetto che ha interessato le ricerche proposte: l’attenzione ai processi del fare con una forte propensione alla manualità come dispositivo liberatorio, in parallelo l’interesse per i processi documentativi di opere invisibili riprodotte parzialmente in formato digitale.

Roberto Fassone (1986, Cuneo) apre lo spazio e accompagna gli ospiti dentro il suo Sibi, un software/gioco che in Via Farini ha raggiunto la terza edizione: a squadre o singolarmente permette di addentrarsi, mediante le nostre risposte, nell’analisi dei processi creativi (www.sibisibi.com dove leggiamo: “We are proud to announce that Sibi has been selected for the 17th Japan Media Arts Festival”). In team con Boccioletti anche il lancio di una linea di abbigliamento dove i nomi dell’arte sono brand per il consumo allargato.
A Enrico Boccioletti (1984, Pesaro), artista visuale e musicista, si lega una ricerca che si esprime nel web e privilegia un interesse per la documentazione delle opere e delle pratiche. La risultanza, sonora, visuale o stratificata, gioca sulle sovrapposizioni dell’estetica post internet: fotografie come sculture visuali hanno il loro soggetto nella documentazione di un processo di cui sono condensati i passaggi.
A Federico Tosi (1988, Milano) la realizzazione di un portale neo-esotico che, intagliato negli ultimi giorni della residenza, trasforma un muro divisorio in un ironico (e periglioso) accesso alla residenza. Un secondo portale, instabile e coperto di erba sintetica, si dispone nel grande salone anticipando l’abbraccio tra un cactus e un’edera.
Nel lavoro di Toni Fiorentino (1987, Barletta) giochi d’infanzia si mescolano a pratiche artigianali nella costruzione di spade in legno appoggiate contro il muro, come se la banda del quartiere avesse stabilito una pausa senza ritorno. Accanto un’antica palla di cannone aspetta di essere fusa, mentre su tutto s’impone un “busto marino” che avvia un processo di metamorfosi instabile dell’involucro umano. Ossa, ferro, gesso e legno: materiali plasmati e ricondotti a intuizioni intime vengono proposti da Fiorentino senza formalità estetiche. Una ricerca quasi opposta quella di Sebastiano Sofia (Verona, 1986) dove, tra natura e artificio, si gioca una rincorsa tra materiali sintetici, colori flou, elementi organici, metalli e carta a lustrini. Un accumulo di organismi neo pop, tra pittura e scultura, la cui esistenza sembra nascere dalla necessità di controllare un caos senza causa e senza limite. Dalla parete di fondo dello studio emerge l’enorme dipinto di Pasquale Gadaleta (1988, Bari). Tre settimane continue di pittura che è stata distesa per velature notturne e diurne su un nastro di carta di cinque metri per tre. Nessun soggetto visibile, nessuna astrazione riconoscibile, semplicemente il disfarsi del colore e della sua trasparenza sotto una superficie lucida che ci rimanda agli schermi digitali passando per la storia dell’arte. Quasi come un’icona o un logo su scala macro, il lavoro di Gadaleta ci sorprende per l’impatto frontale di una superficie satura.

Carlo Alberto Treccani (1984, Iseo) ci sposta, attraverso una manualità mimetica, dentro processi di duplicazione delle informazioni che utilizzano strumenti quasi desueti, come la fotocopiatrice o la lettura delle mani. Lincoln, che ci spia attraverso lo sguardo manipolato sulla sua cartamoneta, è il prototipo di un atlante per banconote che si controllano fra loro mediante gli sguardi; la Gioconda è scomparsa dentro 5000 fotocopie, in parallelo dieci chiromanti cinesi sovrappongono letture sul futuro dell’artista. Infine il lavoro di Luca Resta (Seriate, 1982) una sorta di trovaroba che nell’accumulo avvia un processo di cura e di destabilizzazione. Collezionista di posate in plastica per caffè da macchinette, trasforma questi oggetti in ceramiche finissime. Osservatore di stecchini per denti li replica in marmo mediante lunghi processi manuali: è la dilatazione del tempo industriale che sottrae ogni oggetto alla sua funzionalità. Così come la pila di cornici senza tempo che contengono paesaggi grigi: per ciascun paesaggio sono circa dieci ore di velatura monocromatica ottenuta dalla polvere da sparo estratta da petardi.
Appuntamento al prossimo ciclo di residenze: tra febbraio e aprile del 2014. Open call e informazioni su www.viafarini.org

Laureata e specializzata in storia dell’arte, docente, critica e curatrice. Mi interessa leggere, guardare, scrivere e viaggiare, fare talent scout, ascoltare gli artisti che si raccontano, seguire progetti e mostre, visitare musei e spazi alternativi, intrecciare le discipline e le generazioni, raggiungere missions impossible. Fondo e dirigo Contemporary Locus.

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