Ancora qualche giorno per scoprire, al Museo Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare, in provincia di Bari, una triade di mostre che tracciano una costellazione eterogenea tra pittura, fotografia e luce. Partendo da unâartista pugliese che, come Pascali, se nâè andato giovane e che dellâanticonvenzionalitĂ aveva fatto un modus operandi: Cristiano De Gaetano.
Un lavoro biografico e autobiografico, una mostra sulla memoria, ancora piÚ dolente perchÊ  De Gaetano è scomparso nel 2013 a 37 anni.
Ecco âSpeed of lifeâ, la prima retrospettiva dedicata allâartista tarantino, a cura di Christian Caliandro, che cita nel titolo un brano di David Bowie, vitale e intenso. De Gaetano era un talento controcorrente, senza facili scorciatoie, inquieto, magnetico e instabile come le sue figure ritagliate su sagome di legno e âdipinteâ con la cera pongo ricavate da un fortuito ritrovamento di vecchie fotografie e da immagini di amici e familiari, in un repertorio quasi inesauribile di volti e persone.
Questi ritratti di dimensione variabile sono stati allestiti in un ambiente quasi domestico, e appaiono come una piccola folla capitata per caso nello spazio bianco del museo. Alcune sono appoggiate su piccole mensole e ce nâè una volutamente nascosta in una nicchia. Ă una donna con le gambe aperte. Del resto il sesso era una dei temi piĂš frequentati da De Gaetano, insieme alla malattia e alla morte addolcite però da una certa e insistente solidarietĂ , quella che porta alcune delle sue figure a tenersi per mano o ad abbracciarsi. Ritratti singoli o di gruppo, cosĂŹ reali e morfologicamente ingannevoli. Si compongono in unâumanitĂ vibratile e rivelano un medesimo campo semantico, quello della fragilitĂ che è anche quello del materiale di cui sono modellate. Spatolata, stesa con le dita che diventano quasi impronte, la plastilina con cui De Gaetano modella le sue opere innesta processi di osservazione e di dissoluzione, come in Collapse, del 2008, dove la catastrofe di una porzione di paesaggio urbano è anche la catastrofe della forma e della vita. In questo commosso repertorio umano, popolato anche dalle piccole sculture a lustro su cui stava lavorando nellâultima fase della vita, dimorano enigmi, sospensioni, affetti, e il gioco della texture di cera, che assedia le figure con un punto di vista tutto materiale, fa intendere come lâingannevolezza della visione contenga una massa dâinformazioni che ha che fare proprio con quel corpo e con quel ritratto.
Dalla forza degli affetti della mostra di De Gaetano si passa al tutto bianco delle opere di Francesco Bosso e Iginio Iurilli, in un cortocircuito espositivo in cui forma e natura sono le questioni dominanti. A cura di Antonio Frugis, la mostra âA white taleâ presenta il bianco e nero di Francesco Bosso, che in giro per il mondo ha fotografato porzioni di paesaggio con unâattenzione estrema alla loro resa visiva. Sottoposti a una logica dellâimpassibilitĂ , i ghiacciai, i deserti e le montagne sono oggetti immobili, liberi anche delle loro coordinate geografiche.
Conche di sale di Iurilli, realizzata per la sala centrale del museo, è una stratificazione geologica fatta di polvere di quarzo e di marmo con ondulazioni leggere e regolari da cui affiorano sculture-petali che hanno il carattere di materia mobile e in continua espansione. Un paesaggio bianco sabbioso che appare alieno e amico al tempo stesso. Le sculture a parete sono elementi organici e armonici, legati alla simbologia femminile (Lâimpronta di Giunone, Grembo) e al movimento del mare, attirano lo spettatore con lâintensitĂ del bianco, con il loro essere pervasi da un movimento trattenuto e silenzioso. E a Iurilli è dedicato anche il docufilm Iurilli â 1192 con la regia di Alessandro Piva, prodotto dalla Seminal Film, presentato in occasione della mostra insieme al catalogo LâEco della Memoria (Nicola Miulli Creations) di cui 60 copie riportano in copertina un intervento dellâartista.
Nella Project room del museo infine, âLuxâ, due progetti dellâartista toscano Carlo Battisti. Ping Pong e Le ombre delle parole sono parole implicano un intervento attivo del pubblico che, manovrando gli apparecchi, fa apparire i segni verbovisivi. Luce e linguaggio affiorano dalla serie di apparecchiature autocostruite, fatte di pezzi e strumenti vintage, con fuggevoli e struggenti visioni che mettono lo spettatore nella condizione di poter usufruire del potere istantaneo e fuggevole delle parole e con chiare connessioni alla tradizione della poesia visiva che proprio a Firenze ha le sue radici storiche. La mostra è inserita nel progetto âShowCaseâ che coinvolge le gallerie del territorio ed è presentata dalla galleria di Bari, Museo Nuova Era.