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16
marzo 2016
Quel genio irriverente di Broodhtaers
Progetti e iniziative
Il MoMA ci regala un’assoluta immersione nell’universo dell’artista belga. Dove regna la poetica dell’assurdo, ma che sotto la coltre d’ironia nasconde l’animo di un romantico realista
La mostra “Marcel Broodhtaers. A Retrospective”, organizzata dal MoMA di New York insieme al Reina Sofía di Madrid (fino al 15 maggio), valorizza la complessità del lavoro di questo grande artista che ha fatto dell’ironia il suo marchio di fabbrica. Nonostante la leggerezza, le opere di Broodthears sono frutto di una riflessione e di una profonda analisi critica del ruolo dell’artista e dell’opera d’arte. Attraverso un profondo senso critico, Broodthaers s’interroga sul rapporto tra immagine e la sua rappresentazione, finzione e realtà, originale e copia. Lo scardinamento del linguaggio e lo studio delle sue possibili combinazioni e interpretazioni, la riappropriazione del lavoro di altri artisti, sono tutti elementi che costituiscono il centro nevralgico delle sue opere d’arte.
Nato a Bruxelles nel 1924 e morto a Colonia nel 1976, Marcel Broodthaers – pronunciato “Brotars”, come spiegato da lui stesso scherzando sul numero superfluo di lettere del suo cognome – è una delle figure più irriverenti e influenti del dopoguerra. Poeta, scrittore, fotografo, pittore, collocarlo all’interno di una corrente o gruppo artistico è impossibile. Surrealista, Dadaista o Concettuale? Marcel Broodthears è tutto questo e forse anche di più. Raramente si è avuto modo di vedere riunite quasi tutte le opere di Broodthaers. Questa è una diquelle. Sono presenti tuttele opere chiave dell’artista, dalle prime opere ermetiche, come La Tour visuelle (1966), ai più recenti Décors.
La mostra, che include oltre 200 opere dell’artista realizzate nel corso di soli dodici anni, si apre con Un jardind’Hiver II, décorrisalente al 1974. Qualcuno forse lo ricorderà esposto nel padiglione centrale della 56 Biennale di Venezia, un’installazione composta da trenta palme accompagnate da sedie, fotografie ed incisioni raffiguranti animali risalenti al XIX secolo. L’opera funge da anticamera e passandovi attraverso per raggiungere la prima sala, lo spettatore entra subito a contatto con l’universo di Marcel Broodthaers.
Organizzata in ordine cronologico, la prima parte dell’esposizione è dedicata all’attività poetica dell’artista. Abbandonati gli studi di chimica, fin da giovane Broodthaerssi si dedica alla poesia. Grande ammiratore di René Magritte e Stéphane Mallarmé, si interessa in particolar modo al rapporto tra immagine e testo. Il secondo capitolo della mostra inizia nel 1964 quando, all’età di quarant’anni, Broodthaers decide – quasi a tavolino – di fare il suo debutto nel mondo dell’arte. Stanco della gavetta da poeta e degli insuccessi Broodthaers presenta con un esplicito atto d’artista alla galleria St. Laurent di Bruxelles, le cinquanta copie invendute della sua raccolta di poesie Pense-Bête immerse nel gesso. Gesto di forte violenza, Pense-Bête contiene l’essenza della ricerca intellettuale e artistica che accompagna i lavori di Broodthaers, cioè la riflessione sul problema del valore della creazione dell’opera d’arte e il contesto economico e sociale in cui questa si inscrive.
Personalità eclettica, Broodthaers esplora i molteplici mezzi della produzione artistica: fotografia, scultura, scrittura e cinema, facendo del suo lavoro una vera e propria osmosi di tutte le discipline artistiche. Il cinema ricopre un ruolo essenziale nella produzione di Broodthaers, per lui rappresenta un’estensione del linguaggio e un modo di poter raggruppare i suoi differenti oggetti di ricerca: la scrittura (poesia), l’oggetto (le arti plastiche) e l’immagine (il cinema). Nel 1957 realizza Clefd’Horloge (Poèmecinémathographique en l’honneur de Kurt Schwitters), esposto in una delle sale iniziali della mostra, suo primo film girato nel Palais de Baeux-Arts di Bruxelles durante un’esposizione dell’artista dadaista Kurt Schwitters.
La terza parte della mostra è incentrata sulla visione del ruolo del museo da parte dell’artista. Da sempre in contrasto con l’istituzione museale e le sue modalità d’esposizione, nel 1968 Broodthaers si dedica alla realizzazione del suo progetto più ambizioso: il Musée d’art Moderne –Département des Aigles (Museo d’Arte Moderna – Dipartimento delle Aquile). Per quattro anni, dal 1968 al 1972, Marcel Broodthaers mette su un vero e proprio museo di cui egli stesso è direttore e curatore. Inizialmente creato nel suo appartamento a Düsseldorf, questo museo – che lui stesso definisce fittizio – è essenzialmente composto da cartoline, proiezioni, diapositive, ha delle sezioni che cambiano regolarmente (sezione pubblicitaria, sezione documentaria, sezione XIX secolo, sezione letteratura, cinema….). Museo itinerante, le Musée d’art Moderne – Département des Aigles, viene presentato in più luoghi e funziona come una vera e propria istituzione. Verrà definitivamente chiuso dall’artista nel 1972 in occasione della sua partecipazione a Documenta 5 di Kassel. Il museo di Broothaers rappresenta una critica pioneristica nei confronti del museo tradizionale, nonché la sua opera più didattica. Alimentato da un rifiuto del sistema in seguito ai fatti del maggio’68, Broodthaers riflette sui legami tra Stato e l’istituzione del museo prendendosi gioco di quest’ultimo e del permissivismo dell’arte contemporanea.
Così come è cominciata, l’esposizione termina con una sezione dedicata ai Décors, una serie di installazioni che evocano i set cinematografici e i lussuriosi saloni borghesi arredati in stile belle époque, una sorta di “period room” del XIX e XX secolo. Tra i vari Décors che il MoMA presenta, uno dei più importanti è sicuramente La Salle Blanche (1975), ricostruzione di una delle stanze appartamento dell’artista in rue de la Pépinière a Parigi. Una grande scatola di legno vuota che ha come unica decorazione delle scritte sui muri. Sono parole in libertà; parole chiave che hanno fatto parte del suo lavoro e delle esperienze vissute tra Bruxelles, Parigi e Düsseldorf.
Per chi vivesse o fosse di passaggio a New York, questa è una mostra da non perdere assolutamente.
Fabrizia Maselli