Beep. Beep. Drooow. Broom. Broomm. Crash. Driiing. Beep. Beep. Clacson, rombi di motori, telefoni sono la cifra acustica delle città contemporanee. Ma quando si arriva alla seggiovia Agnello di Pampeago, che porta al parco di RespirArt, fondato nel 2011 da Beatrice Calamari e Marco Nones, la colonna sonora cambia e porta la firma di Miscele d’Aria Factory di Mariano De Tassis e Carlo Casillo.
«Terra. Vibrazione. Luce. Cura. Dentro. Madre. Vita. Ritmo. Vola. Oro. Forza». L’incontro con la natura inizia sulla seggiovia – che è una seminovia, grazie al gesto dei visitatori a cui viene data la possibilità, sorvolando il parco, di lanciare una manciata di semi estratti dal fieno dei prati della Val di Fiemme per arricchire di specie autoctone i prati più poveri rispettando gli equilibri ambientali – passando attraverso una sonorità, scandita da parole chiave, che stimola ad abbandonarsi all’ebbrezza della contemplazione e del sogno a occhi aperti.
Salendo, in un groviglio di emozioni amplificate dalla musicalità della prosa, Ouverture di Aldo Pallaro, con la complicità della luce, si impone allo sguardo suscitando meraviglia: un tronco di larice e lastre d’acciaio si apre, nudo, alla volta celeste, nutrendosi con gratitudine di ciò che l’atmosfera terrestre gli dona, che sia acqua, calore o energia.
Il parco di RespirArt, sotto tutela – nella bellezza del paesaggio e nelle energie positive che esso sprigiona – del Guerriero di pace delle Dolomiti, realizzato da Thorsten Schutt nel 2016 in larice, ferro e dolomia, è vasto, si muove lungo un giro ad anello di 3 km. Vasto è l’aggettivo a cui anche Charles Baudelaire è ricorso, preferibilmente, quando la grandiosità dei fenomeni del mondo apriva risonanze intime.
Come nella rêverie del poeta, così in RespirArt, la vastità è connessa alla profondità ed all’intensità dell’universo interiore: le 36 installazioni artistiche, le 19 opere sonore e le 2 opere letterarie, che portano la firma di Antonio Pascale e di Elena Guerri Dall’Oro e potranno essere ascoltate lungo il percorso, consentono un’esperienza sinestetica in cui si avverte il senso del coinvolgimento all’intera realtà, l’appartenenza di tutte le cose a un vasto intreccio di affinità, che spesso sfugge alla percezione visiva. Come una goccia di pioggia che scivola tra i rami, per esempio, che Federico Seppi ha fermato in immagine nell’opera in legno di nocciolo e rame (Simulacro, 2017).
Spostandosi dall’Arcanuvola di Elio Vanzo, composta simbolicamente da una nuvola che scende la pioggia, in forma di solidi pali acuminati, e da una barca che la raccoglie nel ventre – inducendo, in chiaro riferimento biblico, un profondo senso di salvezza, per l’uomo e per la Natura – è possibile raggiungere l’inedita opera di Marco Nones, realizzata e installata in occasione della nuova edizione. Conifera, che è stata creata con legno di abete bostricato – ovvero colpito dal parassita bostrico tipografo attraverso cui Nones vede straordinari e possibili nuovi utilizzi nell’arte come nel design – svetta con i suoi 6 metri di altezza all’arrivo della seggiovia, consentendo sosta e riparo al suo interno.
Da qui, muovendo verso destra, un pastore della Val di Fiemme, scolpito con il cirmolo, in intimo dialogo con il proprio cane, abita il parco mantenendo fermo lo sguardo verso Sud (Mediterraneo, Elio Vanzo, 2018), verso le origini, che anche Mariano Vasselai, poco distante e dinnanzi al Monte Cornon, recupera. Con Il nodo della strega (2018) fa memoria di quelle streghe del Cornon che, si diceva, gettassero in strada corde piene di nodi. E chi le raccoglieva doveva ricorrere a loro per essere liberato dal maleficio. Senza alcuna pretesa psicanalitica, è qui che (ri)scopriamo il nostro inconscio: qualcosa che avrebbe dovuto rimanere nascosto, invece affiora. Nella letteratura come in questa esperienza, è tutta una questione di occhi. Forse per caso, forse no, quel che conta è la meraviglia della scoperta, proprio qui si erge l’opera Vedo non vedo di Luca Prosser (2016) rappresentativa di uno sguardo lucido e commosso sulla montagna.
Possiamo, da qui, sederci e ammirare le Pale di San Martino o la Pala Santa, sull’opera in legno e canapa di Dorota Koziara, Harmonia, evocativa di due corpi, di schiena, protesi a ricevere l’energia solare, oppure proseguire verso L’ora d’oro di Alessandra Bruno, che ha dipinto un triangolo d’oro su un paravalanghe in un gesto di grande armonia tra l’uomo e la natura, perché «quando l’ora è d’oro, la vita è salva», suonano Miscele d’Aria Factory. Tornando verso il lato sinistro, non prima di essersi lasciati – emotivamente – travolgere dalla Valanga di bolle di pensieri di Thorsten Schütt e di aver ammirato il moschettone che Reinhard ha scolpito in un blocco di granito (Sicurezza, 2018) per ricordare che è salendo su una vetta che ci si può riconnettere alla vastità, raggiungiamo e godiamo di un’immensa vista sul Latemar con Natura viva (2012) di Mauro Lampo Olivotto.
È innegabile pensare alle cause degli agenti atmosferici che ogni giorno, di ogni stagione, sfiorano, toccano o accarezzano tutte queste opere. Ma perdendoci in questo panorama possiamo accogliere il senso più profondo dell’affidarsi, del lasciarsi e lasciare andare: è la vita stessa in continua trasformazione, il cambiamento non è da temere. Da qui, sul versante sinistro del giro ad anello, Jano Sicura installa una schiera di bozzoli su una scogliera di pietra, abbozzando una crisalide unica, una forma di vita possibile, che conduce a una misteriosa cupola in ferro, dalle linee e geometrie aliene, che sempre lei, nel 2023, ha incastonato tra due grandi pietre come a costruire un punto di sosta sotto l’immenso cielo aperto.
Raggiungendola possiamo attraversare Il Giardino di Danae (2013) di Hidetoshi Nagasawa realizzato in pietre di porfido trentino. Dedicato a Danae, questo labirinto in pietra (in inverno coperto dalla neve) abbraccia al suo interno un masso circondato di fiori. Abbraccia, dico, perché poco distante l’opera di Zest Artist Collective, Insecta residence (2022), restituisce – a prima impressione – un abbraccio. L’opera, ideata dal collettivo e realizzata da Imke Rust e Sally Kidall, è una casa per insetti in lana d’acciaio che interpreta, in termini umani, il loro modo di abitare, di costruire e di vivere insieme.
Il percorso è ancora lungo, c’è ancora tempo di rilassarsi nella mutevolezza della natura, di scoprire, di meravigliarsi e di cogliere la trasformazione come possibilità. C’è tempo anche di soffermarsi al Teatro del Latemar, che Marco Nones ha realizzato, nel 2013, riproducendo il profilo del massiccio dolomitico.
Inspira, trattieni, espira, trattieni. Quattro battiti ogni fase, che equivale circa a 6 secondi. Prendiamo aria e la lasciamo uscire in media venticinquemila volte al giorno, eppure, per quanto essenziale sia, il genere umano ha perso la capacità di respirare correttamente. Ma qui, qui esiste una cura. Esiste una cura per sempre.
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